"Bisogna liberarsi delle molteplici colonizzazioni del patriarcato capitalista che ha ridotto la natura e le donne a una colonia".

Tratto da "Sopravvivere allo sviluppo"; di Vandana Shiva.



"Come membri della Famiglia della terra, co-creando con la Terra vivente, siamo potenti, in forma creativa e non violenta. 
Il futuro è nelle tue mani. 
Prenditi cura della Terra in modo che possa prendersi cura di te.”

Vandana Shiva, filosofa e scienziata indiana, offre un'analisi degli effetti del modello di sviluppo occidentale da un punto di vista femminista ed ecologista, mettendo in relazione due aspetti tra loro interconnessi: la natura e la distruzione ecologica, la donna e l'emarginazione femminile

Le tesi della pensatrice indiana possono essere così riassunte: la conoscenza scientifica moderna ha creato un concetto di sviluppo basato sulle categorie riduzioniste del pensiero e dell'azione scientifica. 
Il concetto di sviluppo in modo particolare si fonda sullo sfruttamento delle donne e della natura: la subordinazione legata al genere e il patriarcato sono le forme di oppressione più antiche e ancora oggi molto violente.

La scienza moderna è costruita sulla scorta di metafore chiaramente sessiste: la natura e la ricerca sono concettualizzate in metodi modellati sullo stupro e sulla tortura. 

La stessa caccia alle streghe in Europa, argomenta la filosofa indiana, rappresentò il processo di delegittimazione e di smantellamento della competenza medica delle donne europee; oggi l'esclusione assume forme ancora più violente: l' 80% dei soldi investiti nella ricerca sono utilizzati in maniera più o meno diretta dall'industria della guerra. 

Lo sviluppo, o meglio il "malsviluppo", invece di rispondere ai bisogni essenziali, minaccia la sopravvivenza del pianeta.
La riscoperta del principio femminile costituisce la sfida intellettuale e politica al "malsviluppo", inteso come progetto patriarcale.

Nel mito cosmologico indiano infatti il mondo è originato e rinnovato da un gioco dialettico di creazione e distruzione, coesione e disintegrazione, di tensione tra gli opposti che è descritta come la prima comparsa dell'energia dinamica e ha nome SAKTI. 

Ogni esistenza sorge da quest'energia primordiale, un principio femminile creativo, generatore dell'universo che esprime il suo impulso come volontà di essere molteplice e dinamico.

La manifestazione del potere e l'espressione dell'energia di SAKTI è chiamata natura (PRAKRTI). 

PRAKRTI, unendosi al principio maschile PARUSA, crea il mondo ed è venerata come l'inesauribile, la fonte dell'abbondanza.
PRAKRTI vive nella pietra, nell'albero, nello stagno, nel frutto, nell'animale, e con essi si identifica. 
Ciò significa che non vi è divisione tra uomo e natura e tra uomo e donna, perché la vita in tutte le sue forme si sprigiona dallo stesso principio femminile SAKTI, ed è, in ogni sua forma, PRAKRTI. 

Così nella cosmologia indiana PRAKTRI è un concetto che guida la vita quotidiana e si basa sulla continuità tra l'umano e il naturale.

Le interpretazioni del mondo elaborate da antiche civiltà e culture, sopravvissute in modo sostenibile per secoli, si basavano su un'ontologia del principio femminile come principio vitale e sulla continuità tra la società e la natura: l'umanizzazione della natura e la naturalizzazione della società.

Concettualmente, questa rappresentazione è molto distante dall'idea cartesiana di natura come ambiente e come risorsa. 

L'ambiente così concepito è il contorno dell'uomo e non la sua sostanza. 
Pensata in questo modo la natura è passiva e separata dall'uomo, è uniforme e meccanicistica, separabile e frammentata al suo interno, inferiore, fatta per essere dominata e sfruttata.

Così, prosegue, come la svalutazione e il misconoscimento del lavoro e della produttività della natura hanno condotto alle crisi ecologiche, allo stesso modo la svalutazione e il misconoscimento del lavoro femminile hanno creato sessismo e disuguaglianza tra uomini e donne.

Ciò è avvenuto associando attività e maschilità alla violenza, passività e femminilità alla non violenza.

Il femminismo occidentale ha opposto a questa ideologia risposte deboli e frammentarie, perché anch'esse marcate dal medesimo pensiero.

Ad esempio, secondo la femminista francese Simone de Beauvoir la liberazione delle donne passerebbe attraverso la mascolinizzazione del genere umano: la donna combatterebbe contro la schiavitù della biologia che la relega al ruolo di moglie e madre per essere libera di diventare attiva e padrona della sua vita come un uomo. 

La de Beauvoir, secondo la Shiva, resta in questo modo all'interno delle categorie create dall'ideologia del genere e ne accetta i miti patriarcali, primo tra tutti quello della femminilità come passività.

Anche chi non rifiuta la femminilità ma invece la pone come modello come il filosofo francofortese Herbert Marcuse, secondo il quale la liberazione dell'umanità è la femminilizzazione del mondo (intesa come recupero della passività), propone una visione frammentaria dell'umanità e del suo rapporto con la natura.

Entrambe le impostazioni infatti da un lato condividono gli assunti del maschile e femminile come tratti naturali e biologicamente definiti e dall'altro rispondono all'ideologia patriarcale della differenza tra i sessi con categorie create da questa stessa ideologia.

Il femminismo frammentario, intrappolato in un'ideologia della liberazione marcata dal genere produce una sindrome da "raggiungimento dell'uomo", oppure procede in un angusto biologismo che accetta il femminile come geneticamente determinato ed esclude la possibilità di riscoprire il principio femminile non solo nella natura e nella donna, ma anche nell'uomo.

Si resta, in entrambi i casi, nel modello dell'ideologia sessista dove maschile e femminile sono categorie determinate biologicamente.

Secondo la Shiva, al contrario, maschilità e femminilità sono costruite socialmente e culturalmente e non esiste una relazione esclusiva tra valori femminili ed essere donna: in un'ideologia non basata sul sesso non si possono separare veramente il maschile dal femminile e la persona dalla natura.

Il principio femminile, come espresso dal mito cosmologico indiano, è legato alla categoria non patriarcale e non fondata sul sesso, della non violenza creativa che Gandhi ha chiamato "potere creativo in forma pacifica". 

Il problema di una risposta sessista a un'ideologia sessista è che la risposta stessa considera come un dato naturale una categorizzazione di genere che ha una base ideologica. 

Violenza e non violenza sono una costruzione sociale e non devono essere associate al sesso.
L'input femminista le serve così a dire che i problemi che le donne del Terzo Mondo sollevano sono i problemi del mondo.

Il legame tra sviluppo e scienza, inteso come massimizzazione del profitto, che ha distrutto il sistema di equilibrio indiano e impedito il rispetto della natura nelle sue differenze, provoca la crisi alimentare e quella idrica che stanno distruggendo l'ecologia del pianeta.

Come rispondere a questa devastazione?
Mentre la distruzione è aggressiva dunque visibile, argomenta Vandana Shiva, l'equilibrio e l'armonia non sono visibili, si sperimentano. 

Il mantenimento della vita ad opera delle donne nella tradizione indiana si basa su questa attività invisibile. 
Una visione femminile nella donna come nell'uomo dunque, permette di vivere in una logica della sopravvivenza, in cui alla pianificazione a breve termine si sostituisce una visione di lungo periodo.

"Le donne del Sud del Mondo hanno conservato quelle categorie di pensiero e d'azione che rendono possibile la vita e quindi la giustizia e la pace. 
In tutto il mondo, i movimenti ecologisti, i movimenti femminili e quelli pacifisti possono ispirarsi a queste categorie in quanto forze di opposizione e sfida alle categorie dominanti del patriarcato occidentale, che oggi governa il mondo in nome dello sviluppo e del progresso, ma al tempo stesso distrugge la natura minacciando così la vita di intere culture e comunità".

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