tratto da "Life vs Capital"; di FFF Italia.
Capire la crisi, cambiare il mondo.
Il cambiamento climatico, il collasso degli ecosistemi terrestri e la sesta estinzione di massa, dicono chiaramente che il capitale è incompatibile con la riproduzione della vita.
Nonostante i mezzi di informazione e il sistema educativo nel suo complesso non rappresentino adeguatamente questa realtà, è ormai sempre più evidente come la crisi ecologica globale sia il risultato di un lungo processo storico.
Il capitalismo, nella sua storia, si è riprodotto ai danni del “vivente” attraverso quattro meccanismi di dominio, tra loro interconnessi: di classe, genere, razza e specie.
Quello che sta uccidendo la terra è dunque un sistema insieme classista, patriarcale, coloniale e specista: il capitalismo dell’estinzione.
Per contrastarlo, abbiamo bisogno di "alleanze anti-estinzione intersezionali", che affrontino cioè insieme tutti e quattro gli assi del dominio capitalista, con l’obiettivo ulteriore di fronteggiare il rischio di deriva autoritaria connesso alla logica dello stato di emergenza.
Crisi climatica e fonti energetiche: dall’emergenza alle alternative
Sulle scelte in materia energetica si concentra gran parte del dibattito riguardante le emissioni climalteranti.
La tendenza dominante è quella di comparare le diverse opzioni su un piano meramente tecnico/economico, come se non riguardassero vite, corpi e territori portatori di saperi ed esperienze, segnati da disuguaglianze di potere.
In breve, come se l’energia non fosse una questione politica.
Vogliamo porci il problema di come affrontare l’emergenza climatica senza cadere nella trappola delle decisioni autoritarie e dei ‘sacrifici’ necessari, come se il costo delle devastazioni ambientali e climatiche non fosse già abbastanza disegualmente distribuito.
Decolonizzare la terra/corpo/territorio,
lotte anti estrattive e per l’ecoautonomia
Dalla deforestazione dell’Amazzonia alle nostre terre dei fuochi, il capitalismo neoestrattivista considera interi territori, città e popolazioni sia come fonte inesauribile di energie (risorse naturali e lavoro umano), che come recettrici degli scarti tossici di quella stessa produzione (terra, aria e acque rese discariche, corpi umani e non umani che si ammalano).
In questo processo, si scopre la più violenta delle rotture: si depredano ricchezze biofisiche, si contaminano irrimediabilmente ecosistemi, mutano per sempre o cessano di esistere le forme di vita, socialità, cosmologie e tradizioni che nella continuità "socio-ecologica" prosperavano.
È necessario discutere delle teorie e delle esperienze che "decolonizzano" il pensiero.
La vita umana e non umana, forte delle sue diversità, e contrapposta alla violenza di una postura universale, è il seme della resistenza al sistema di sfruttamento.
Serve ripensare l’economia per sottrarre territori e corpi alla violenza del Capitalocene.
Femminismi e lotte per il comune:
terreni per nuove alleanze.
Quali sono le alternative possibili ad un sistema che sfrutta e devasta la vita umana e non?
E quali sono le alleanze politiche che possono (e devono) stringersi nel contesto della lotta alla crisi ecologica?
Per cercare risposte dobbiamo adottare una prospettiva intersezionale, rivolgendo lo sguardo alle mobilitazioni che nascono dal bisogno di difendere la vita e la riproduzione di spazi e relazioni, alternative alla modernità capitalista.
1) Dobbiamo conoscere i movimenti femministi e transfemministi che riempiono le piazze in tutto il mondo e gli strumenti teorici che ci offrono.
2) Possiamo osservare il pensiero e le pratiche coltivate dal movimento dei beni comuni, fondate su mutualismo, condivisione, cura collettiva e democrazia dal basso.
3) Serve un'ampia discussione sulle connessioni tra lavoro di cura, riproduzione sociale e nascita/riappropriazione dei beni comuni.
Occupy Climate Change!
Emergenza climatica e movimenti urbani
Si potrebbe pensare che il cambiamento del clima e le occupazioni non appartengano allo stesso discorso.
Ci si aspetta che il cambiamento climatico sia trattato con i protocolli del metodo scientifico piuttosto che occupato come se fosse una piazza pubblica o una fabbrica.
Dunque, perché Occupare il Cambiamento Climatico?
Occupy parla chiaramente di un atto politico militante, la pratica politica distintiva dei movimenti sociali urbani che hanno scelto di riappropriarsi degli spazi pubblici.
Per noi, “occupare il cambiamento climatico” ha due significati: resistere ai discorsi mainstream che depoliticizzano la questione e allo stesso tempo prendere il controllo del discorso sui cambiamenti climatici, costruendo un’agenda radicale delle azioni possibili.
Adottando questo approccio e guardando alle città come terreni di sperimentazione privilegiati delle lotte per la giustizia climatica, la governance assume un ruolo di primo piano.
Pratiche di cittadinanza insorgenti, governance urbana e risposte attivate a livello locale, per costruire immaginari radicali e pratiche resistenti su cui puntare, per favorire risposte adeguate ai diversi contesti socio-ecologici.
I movimenti sociali che sono emersi in tutto il pianeta negli ultimi anni stanno costruendo un nuovo scenario politico, in cui i vari elementi che hanno prodotto la crisi globale si sovrappongono e trovano risposte inedite e conflittuali.
All’interno delle varie esperienze di conflitto, emerge con forza l’idea che non si può risolvere la questione della giustizia climatica separatamente dal resto delle grandi contraddizioni del sistema sociale.
Non si può immaginare un cambiamento che non sia in grado di superare tutte le forme di oppressione.
La crisi ecologica globale, la permanenza dei modelli patriarcali, le negazione di tutti i diritti collettivi sono nodi di un unico sistema di sfruttamento.
La presenza all’interno dei vari conflitti sociali di nuove forme di alleanza offre una nuova possibilità per la costruzione di un percorso politico che miri al superamento del nostro sistema, con la consapevolezza che un mondo differente può essere costruito solo attraverso la liberazione di tutte le soggettività.
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