Secondo la definizione classica, l'homo œconomicus è un agente pienamente razionale e auto-interessato, volto alla massimizzazione del proprio benessere.
tratto da "Sui fondamenti antropologici dell’economia: homo œconomicus e ricchezza antropologica"; di B. Giovanola.
www.anthropologica.eu/wp-content/uploads/2020/09/10-Giovanola.pdf
Di questo imperialismo economico abbiamo molteplici esempi oggi, non solo a livello teorico, ma anche pratico.
L’economia, infatti, regola le nostre vite quotidiane ed è ormai radicalmente penetrata nel nostro immaginario collettivo, così come nei processi di formazione della nostra identità individuale e sociale.Pensiamo, ad esempio, alla funzione “identitaria” dei beni che acquistiamo, o alle nostre scelte di consumo, che contribuiscono a una progressiva estensione del mercato nella società.
Viviamo una fase in cui si assiste all’ascesa di una vera e propria "lex mercatoria", in virtù della quale i grandi interessi economici non avrebbero neanche più bisogno della mediazione delle istituzioni politiche, ma agirebbero ormai direttamente anche sul terreno della produzione di regole.
La situazione è, per certi versi, paradossale.
Da un lato infatti, l’economia si estende, sempre più, ad ambiti extra-economici, come l’ambito politico, quello delle relazioni interpersonali e della formazione dell’identità individuale, assurgendo a criterio di valore.
Dall’altro lato però, nella sua versione mainstream si pone come “zona franca” dal punto di vista etico (ethics-free zone) e mira ad essere neutrale rispetto alle questioni di valore.
Questo apparente paradosso, in realtà, può essere superato, se solo riconosciamo che l’economia non è mai neutrale rispetto alle questioni di valore.
Dietro ogni teoria c’è una determinata idea dell’essere umano e di ciò che è bene per l’individuo e per la collettività; questioni eminentemente etiche.
HOMO ŒCONOMICUS, RAZIONALITÀ E BENESSERE INDIVIDUALE
Secondo una definizione standard, l’homo œconomicus è un "agente pienamente razionale e auto-interessato, volto alla massimizzazione del proprio benessere".
Tuttavia, questa visione della razionalità, che si basa su requisiti di "completezza informativa" e di capacità di rappresentazione simultanea di tutte le alternative di scelta possibili, risulta piuttosto inaffidabile, specie quando si esamina la scelta in condizioni di rischio o incertezza.
La nostra razionalità, infatti, lungi dall’essere illimitata, è una razionalità limitata da una molteplicità di limiti - informativi, cognitivi, temporali - che interferiscono e dunque limitano il dispiegamento di un processo decisionale pienamente razionale.
Affermando, inoltre, che le scelte razionali degli agenti devono essere orientate alla massimizzazione dell’utilità, si pone proprio l’utilità come criterio ultimo di valore.
Assumere l’utilità quale criterio ultimo di valore e renderla il perno del concetto di benessere, significa assumere una precisa impostazione etica, quella dell’utilitarismo.
Infatti, com’è stato sottolineato dagli studi nell’ambito dei beni relazionali o in quelli delle scienze cognitive, non solo il "self-interest", ma anche la promozione delle relazioni interpersonali e la cooperazione (per fini non esclusivamente auto-interessati) sono "parti integranti" della razionalità ed elementi costitutivi del benessere individuale.
Tanto la riflessione etica, quanto le recenti ricerche nell’ambito delle scienze cognitive, mostrano che l’homo œconomicus è un modello inadeguato sia dal punto di vista teorico, sia in ordine alla sua capacità di spiegare, prevedere e orientare gli effettivi comportamenti degli agenti.
Tra i tentativi di elaborare un modello antropologico più ricco ed etico, assume un’importanza particolare il "capability approach", sviluppato a partire dagli anni ’80 del secolo scorso dall’economista indiano Amartya Sen e, poi, dalla filosofa americana Martha Nussbaum.
Sen, in particolare, critica aspramente la «visione ristretta» dell’essere umano alla base della teoria economica mainstream.
Nei suoi scritti dimostra che, se gli agenti si comportassero come prescritto dalla teoria economica, ovvero secondo il modello dell’homo œconomicus, agirebbero come «sciocchi razionali».
Le sue riflessioni comportano, innanzitutto, una ridefinizione della nozione di razionalità: Sen sostiene, infatti, che la razionalità dovrebbe essere ridefinita in «senso ampio», come «sistematico uso della ragione», tale da includere «un’analisi critica degli obiettivi e dei valori che sottostanno a ciascun comportamento massimizzante».
Questa ridefinizione della razionalità è collegata, al contempo, a una ridefinizione del benessere individuale, non più inteso come utilità, ma come uno "star bene" derivante dalla possibilità di dispiegare le proprie capacità di fare e di essere (le proprie capabilities, appunto); le capacità sono l'espressione di una libertà d'agire reale e sostanziale.
In questo modo Sen supera anche l’enfasi posta dall’economia mainstream sul concetto di benessere (well-being) inteso come raggiungimento di un determinato "stato", a sua volta misurato secondo il criterio dell’utilità, e sposta l’attenzione sulla capacità di raggiungere uno star bene (being-well) non riducibile a una sola variabile.
Sen afferma che, nel caso della teoria economica mainstream, una volta considerata l’utilità individuale, non viene richiesta nessun’altra informazione ai fini dei giudizi valutativi.
Nonostante il benessere sia di certo importante nella formulazione dei giudizi valutativi, non è l’unica variabile che conta.
Non tutte le azioni sono orientate al raggiungimento del benessere, poiché esistono dimensioni dotate d’importanza intrinseca, come, innanzitutto, l’agency o "facoltà di agire".
C’è una sfera in cui il ruolo dell’agency è particolarmente importante: la sfera della "vita della persona".
Alla base del superamento di un’accezione ristretta del benessere, vi è, dunque, la necessità di superare la visione ristretta dell’homo œconomicus, elaborando modelli antropologici più ricchi.
Lo stesso Sen parla di ricchezza in senso qualitativo, piuttosto che quantitativo, e ne mette in luce l’importanza ai fini della fioritura della persona.
In una delle più note definizioni di ricchezza e miseria, Marx afferma:
«Si vede come al posto della ricchezza e della miseria, come le considera l’economia politica, subentri l’uomo ricco e la ricchezza dei bisogni umani».
Marx auspicava che l’uomo potesse arrivare a sentire, "come bisogno", la più grande delle ricchezze: l’altro uomo.
L’uomo ricco, allora, non è solo l’uomo che ha bisogno di una pluralità di capacità e dimensioni, come afferma Sen, ma anche l’uomo che ha bisogno dell’altro uomo, poiché l’altro uomo è la più grande ricchezza che possa esistere per lui.
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