Democrazia dei luoghi: azioni e forme di autogoverno comunitario.


tratto da "Si scrive cibo (agro-ecologico e territorializzato), si legge democrazia (di luogo)."; di Fabio Parascandolo e Paola De Meo.


Sistemi agroalimentari del nostro tempo e ingiustizie alimentari.

Una straordinaria espansione delle monocolture agricole e degli allevamenti intensivi si è sviluppata a partire dagli anni Trenta del secolo scorso e ha massicciamente trasformato i processi di approvvigionamento di cibo per gli esseri umani. 

Sulla scorta di un paradigma tecnologico e di mercato, che nella seconda metà del Novecento si è diffuso a partire dai più influenti Paesi OCSE, modelli organizzativi che intrecciano strettamente filiere di approvvigionamento alimentare (supplychains) e lunghe catene del valore (valuechains), sono stati trasferiti verso il resto (e in particolare il Sud) del mondo.

Sono stati così realizzati schemi economici confliggenti con i multiformi modi di vita fondati sull'agricoltura contadina. 

L'applicazione di uno schema 'fordista' alla riproduzione del vivente si è spesso tradotta in un'intensa meccanizzazione colturale e zootecnica.

I processi produttivi hanno conosciuto standardizzazioni basate su selezioni sempre più meticolose di varietà vegetali e razze animali ad alta resa, e su massicce immissioni di elementi di sintesi (fertilizzanti, pesticidi, erbicidi, ecc.) negli agro-ecosistemi.

Nelle comunità rurali premoderne (anche europee) il possesso e l'uso dei beni naturali non comportavano la loro sistematica appropriazione privata a fini estrattivi di valore monetario. 

Ma in quanto "market-oriented" e prevalentemente improntate al modello giuridico dell'individualismo proprietario, le innovazioni agrarie e agricole conseguite su scala globale nel secolo XX, hanno osteggiato il governo collettivo dei beni comuni da parte delle popolazioni locali e contraddetto le loro tradizionali aspettative sociali, talvolta fino a negarne le più elementari istanze di diritto al cibo. 

Sta di fatto che, a causa delle difficoltà di accesso alle risorse di base, centinaia di milioni di persone in tutto il mondo non sono oggi in grado di ottenere alimenti sufficienti a condurre una vita sana.

Il campanello d'allarme ha iniziato a suonare soprattutto dall'estate del 2008, quando la crisi finanziaria globale ha segnato la transizione verso un futuro molto incerto, gravato da complicazioni energetiche e climatiche.

Il lavoro umano nella produzione agro-alimentare è stato, nel frattempo, declassato alla condizione di merce  nell'impiego di manodopera locale o migrante. 

Un bilancio decisamente critico delle tecnologie agro-alimentari convenzionali si impone sulla base dei conclamati danni ambientali, sociali e sanitari, che le  monocolture agrochimiche e agro-industriali hanno provocato.

Le degradazioni dei suoli, i consumi di acqua dolce e le immense quantità di gas serra e altre sostanze nocive risultanti da produzione, trasformazione, commercializzazione, consumo e smaltimento di alimenti vegetali, mangimi, bevande, fibre, agro-carburanti, animali da carne e loro derivati, comportano pressioni insostenibili sugli ecosistemi naturali.

Sistemi alimentari tra diseguaglianze e malesseri, e ricerca di alternative

Oggi i sistemi del cibo vivono profondi e conflittuali cambiamenti, in presenza di molteplici forme di insufficiente o cattiva nutrizione. 
Sono sempre più evidenti i limiti di diete basate su ristretti panieri di alimenti trasformati a partire da poche monocolture. 

Cibi altamente processati e contenenti materie prime importate, sono stati artificialmente resi economicamente piu' accessibili, rispetto a filiere alimentari locali. 

Al crescere delle precarietà economiche e ambientali per i piccoli produttori di cibo del mondo intero, i movimenti contadini transnazionali hanno elaborato, fin dagli scorsi anni Novanta, la nozione di "Sovranità Alimentare", per disegnare proposte alternative alle politiche neoliberali in materia di agricoltura e alimentazione.

Questi movimenti rivestono tutt'oggi, in ogni continente, un ruolo d'avanguardia nella conduzione di pratiche e programmi politici di resistenza ai dettami economici delle istituzioni dominanti. 

Ribaltando i presupposti di una trasformazione delle diete in chiave di mere decisioni individuali, la loro visione mira a un'alimentazione salubre e sostenibile come 'bene comune' e istanza collettiva. 

Parallelamente all'imponente aumento della popolazione urbana, negli ultimi quarant'anni si è assistito nel mondo al progressivo riconoscimento della necessità di nuove politiche citta-campagna e sono emerse due visioni differenti del concetto di "trasformazione". 

Spesso considerato come sinonimo di innovazione, esso si è in realtà dimostrato un campo di contesa tra due approcci:
il primo indirizzato all'agro-industria con le sue specializzazioni tecnologiche; 
l'altro verso i saperi tradizionali, inclusi quelli dei popoli indigeni (conoscenza della biodiversità agricola, legame culturale e spirituale con la terra). 

Questo secondo approccio include anche molte "retro-innovazioni", frutto di saperi indigeni, a lungo liquidate come inefficienti o retrograde e che si stanno invece rivelando quanto mai necessarie per fronteggiare le attuali crisi.

L'innovazione è un leitmotiv apparentemente neutro, presente nella maggior parte delle proposte istituzionali dei Paesi occidentali, per veicolare "soluzioni tecnologiche miranti a ottimizzare i modelli produttivi".

Tuttavia, senza passare per un rinnovamento integrale dei modelli di trasformazione e consumo degli alimenti, tali approcci finiscono col convalidare le agende politiche convenzionali. 

Il rischio è di sottrarre attenzione a visioni sistemiche orientate a ridurre drasticamente emissioni inquinanti e rischi ambientali. 

Molti processi innovativi non modificano affatto strutture di potere, diseguaglianze socio-economiche e schemi organizzativi mainstream. 

Si rende necessaria una riflessione in termini di "giustizia alimentare", che si richiami alla produzione di cibo e all'equità sociale.

Se vogliamo 'rientrare nei limiti del pianeta' sono necessarie azioni collettive e integrate, basate su alleanze trasversali.

Molte delle crisi (economiche, ambientali, climatiche, sanitarie, umanitarie) che investono un mondo post-globalizzato, colpiscono popolazioni e impegnano governi, rivelando tutti i limiti di politiche nazionaliste a contrasto di fattori ritenuti  indesiderati. 

Riteniamo che ogni società civile possa e debba attrezzarsi costruttivamente per la mitigazione dei rischi, adottando in primo luogo modelli piu resilienti e autosufficienti di soddisfacimento dei bisogni primari. 

Particolarmente i sistemi del cibo andrebbero rifondati in base a criteri lungimiranti di conversione ecologica e bioregionale delle economie e dei territori.

Democratizzare le decisioni in campo alimentare significa ridare voce a coloro ai quali è stata sottratta nel tempo, sia come produttori che come consumatori; significa recuperare discussioni trasparenti permettendo la partecipazione dei cittadini alle scelte agro-alimentari. 

"Consigli del cibo" e iniziative tematiche parallele, potrebbero fornire consistenti opportunità di tutela dei beni comuni, tenendo conto dei rapporti di potere in gioco. 

La praticabilità della democrazia di luogo si rivela nei margini di manovra riconosciuti alle iniziative dei cittadini, e specialmente nell'esercizio del "potere dei più poveri".

Le riforme neoliberali degli ultimi decenni hanno, infatti, reso debordante il potere della finanza globale e di aziende transnazionali che, in materia di bisogni sociali e usi delle risorse naturali, manifestano importanti conflitti di interesse. 

Vanno perciò incoraggiati sistemi "riterritorializzati" di produzione, distribuzione e consumo di alimenti e altri beni indispensabili alla sussistenza quotidiana delle popolazioni.

Realizzando misure atte ad affrontare le cause delle attuali crisi, senza limitarsi alla gestione delle loro conseguenze regressive, si può promuovere il diritto a un'alimentazione adeguata. 

In questo modo il riconoscimento dei diritti sociali può saldarsi alla tutela dei sistemi naturali e collettivi di sostegno della vita, ma per riuscirci occorre dare  priorità alla dignità umana e alla sostenibilità ecologica rispetto ai convenzionali obiettivi di crescita e sviluppo 'ad ogni costo'.

Entro questa cornice di riferimenti etico-politici il sistema cibo torna a costituire un bene comune.


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