tratto da "Convenzioni e generi. Donna (o uomo) si nasce o si diventa?"; di V. Tripodi.
Simone de Beauvoir ha affermato: «Donna non si nasce, piuttosto lo si diventa».
Quest’affermazione, divenuta ormai pari a uno slogan, riflette l’idea del genere come strettamente legato all’insieme di comportamenti, doveri, credenze, aspettative che un particolare gruppo culturale ritiene definisca la condizione della donna e quella dell’uomo.
Secondo tale prospettiva, appartenere a un genere significa in primo luogo appartenere a una comunità.
“Essere donna” ed “essere uomo” risultano, pertanto, prodotti della cultura umana strettamente connessi alle dinamiche sociali in cui gli individui sono coinvolti.
Se così, l’identità di genere si costruisce attraverso un lungo processo d’apprendimento, in cui l’esperienza e i comportamenti di un singolo si articolano con l’esperienza e i comportamenti degli altri: nasciamo femmine (o maschi) ma le nostre pratiche sociali ci impongono di diventare donne (o uomini) e di interpretare, su questa base, ruoli differenti.
Quello che appare come un fatto di natura è soltanto una una costruzione concettuale.
L’idea di collocare le radici del genere nel mondo naturale e di vincolarle al sesso è stata ampiamente criticata.
Non si può negare che sia corretto definire un particolare individuo donna o uomo perché presenta una morfologia femminile o maschile.
Anche se il sesso non dice cosa il genere propriamente sia, il fatto che la donna e l’uomo abbiano corpi con caratteristiche diverse rimane un dato essenziale che qui non si vuole certo contestare.
I due sessi rappresentano, infatti, due diversi aspetti della vita di specie e la caratteristica sessuale può essere uno di quelli che prendiamo in considerazione quando ci riferiamo a un individuo come donna o come uomo.
Pur non essendo l’unico legittimo, questo è di fatto uno dei modi riconosciuti per l’attribuzione di un genere.
L'anatomia non può però essere usata come base primaria per classificare gli individui in generi e tale ripartizione non può essere soltanto una questione di biologia.
Dobbiamo allora cercare di spiegare in che termini anche i dati della biologia entrano in parte in una definizione dei generi, e come debbano essere letti alla luce dei diversi contesti sociali.
Generi e convenzioni sociali: il genere come costruzione sociale
La tesi per cui il genere è socialmente costruito può apparire come estremamente vaga.
Inoltre, la nozione stessa di “costruzione sociale” si applica a una molteplicità di oggetti.
È opportuno pertanto tracciare di seguito alcune distinzioni.
In un senso generico, possiamo definire una costruzione sociale come il prodotto intenzionale di una pratica sociale.
Per esempio, è possibile sostenere che la categoria “studentessa universitaria” sia socialmente costruita, perché condizione per cadere sotto di essa è il possesso di alcune proprietà relazionali.
Per esempio, si è “studentessa universitaria” solo se si è parte di un sistema (di un network, diremo) che prevede un’istituzione come l’università.
Sullo sfondo di certe attività sociali, gli appartenenti a una comunità giocano dunque una parte importante nel conferire un ruolo agli oggetti e nell’istituire certe categorie.
In tal senso, una costruzione sociale può essere considerata un artefatto culturale.
Cosa vuol dire che il concetto di genere e le proprietà a cui esso si riferisce sono socialmente costruiti?
L'attribuzione alle donne di tratti considerati femminili e non maschili è causata almeno in parte da fattori sociali; così, per definire il genere dobbiamo allora prendere in considerazione anche le scienze sociali come la psicologia, la sociologia, l’antropologia o la storia.
La ragione di ciò è evidente.
Le nostre comunità sono formate da strutture sociali (costituite da norme, aspettative, relazioni) le quali causano il fatto che gli individui classifichino i propri simili usando categorie di genere.
Allo stesso tempo, queste strutture sociali sono responsabili del fatto che alcuni individui istanziano certi ruoli sociali piuttosto che altri o sono valutati in relazione a quelle norme, aspettative o relazioni.
Ciò determina, a sua volta, che gli individui cadano sotto una categoria di genere e non sotto un’altra.
Conseguentemente, i concetti e le categorie di genere che usiamo non hanno a che fare con una proprietà naturale, quanto piuttosto con una certa condizione o posizione nella società che quel particolare individuo a cui ci riferiamo condivide con gli altri membri del suo gruppo; in questo senso, il genere è una "costruzione causale".
A quale particolare tipo di pratica sociale è legato il genere?
A quella del nominare e del classificare; in tal senso, il genere è una costruzione linguistica, detta anche “discorsiva”.
La realtà non è già articolata in donne e uomini: piuttosto, tale ripartizione è argomento di stipulazione.
C’è un senso in cui si può legittimamente affermare che anche gli individui siano socialmente costruiti.
Infatti, le nostre stipulazioni linguistiche sono ciò attraverso cui articoliamo in generale la realtà.
Dato che la nostra relazione con il mondo è sempre mediata dal linguaggio e dai concetti, donne e uomini sono il risultato di ciò che viene attribuito loro (o che si auto-attribuiscono) e, al pari degli altri oggetti che fanno parte del mondo, il loro modo di essere è strettamente legato alle nostre pratiche descrittive e classificatorie.
Consideriamo un esempio
Posso classificare alcune persone come “simpatiche” o “antipatiche”.
Tuttavia, questa distinzione non cattura una differenza intrinseca propria dei singoli soggetti che così ho classificato.
Infatti, quando affermo che una persona è simpatica, propriamente parlando, non affermo che ci sia qualcosa di simpatico in lei.
Piuttosto, descrivo questa persona in un modo che è condizionato da dinamiche relazionali o da alcuni fatti che mi inducono a “vedere” o a “leggere” un suo comportamento in un certo modo.
Così, non c’è una persona simpatica in sé (né una proprietà oggettiva della simpatia) indipendentemente dal fatto che ci sia qualcuno in grado di valutare un individuo come tale.
Analogamente, donne e uomini sono artefatti culturali.
Essere una donna per esempio vuol dire “essere trattata” come una donna da una comunità.
Infatti, siamo il “tipo” di genere che siamo perché veniamo considerati e immaginati in un certo modo.
Dunque, dato che non è la natura, nè una qualche essenza, che fissa le proprietà caratterizzanti a cui l’espressione “donna” (“uomo”) si riferisce, è solo attraverso le stipulazioni convenzionali che istituiamo nel mondo le differenze tra individui, e regoliamo su questa base il nostro comportamento.
Non c’è un’oggettività del genere che fissa una volta per sempre che cosa conta veramente per l’appartenenza a un genere e che determina la correttezza di certe nostre classificazioni indipendentemente da quello che una data comunità (o una parte di essa) stabilisce.
Non esistono propriamente donne e uomini nel mondo
Piuttosto, veniamo classificati come appartenenti a uno dei due generi solo perché ci vengono attribuite alcune delle caratteristiche che si ritiene facciano parte del concetto di donna o d'uomo.
Ecco perché le nostre attribuzioni di genere sono per lo più uniformi.
Questa regolarità deriva dal fatto che ci si aspetta che il comportamento degli altri sia convenzionalmente lo stesso.
Pertanto, l’idea di donna o d’uomo è una sorta di “illusione” che proietta modi di interagire tra individui di sesso diverso ed è contaminata dalle nostre credenze o dai nostri pregiudizi socio-culturali.
Si tratta, in altre parole, di un’idea che rimanda a una costruzione filosofica-religiosa-medica-scientifica, soggetta a mutamenti di senso nel corso dei tempi.
Più precisamente, la costruzione sociale del genere è pragmaticamente influenzata da fattori extralinguistici di realtà sociali, ambientali, psicologiche e culturali autonome.
Vale a dire, i nostri schemi di catalogazione e discriminazione dei generi sono socialmente costruiti perché i loro usi sono, almeno in parte, determinati da fattori sociali e culturali storicamente contingenti.
Il significato delle espressioni di genere non è pertanto fissato definitivamente, piuttosto viene plasmato dal nostro uso comune.
Questi schemi di classificazione dunque non sono intesi come infallibili.
Data la plasmabilità delle convenzioni su cui questa si basa, la distinzione di generi non è un fatto compiuto.
Una comunità infatti può accettare alcune convenzioni come valide, in seguito può, sotto la pressione critica, cambiarle e conseguentemente correggere certi usi e i loro relativi criteri di correttezza o scorrettezza.
Riassumendo, secondo l’approccio qui analizzato, donne e uomini sono:
a) due gruppi distinti di individui definiti l’uno in riferimento all’altro;
b) causalmente costruiti;
c) discorsivamente costruiti.
Come risultato, il genere può essere definito solo in maniera relazionale.
Di qui, la validità delle differenze tra donna e uomo è concepibile solo all’interno di una cultura di riferimento ed è valida fin quando ci muoviamo all’interno di quel paradigma.
Non c’è un’identità sociale o un’essenza che tutte le donne o tutti gli uomini hanno in comune, esistono solo particolari individui con un determinato genere, ossia manifestazioni di proprietà particolari che possono esistere solo come localizzate a un tempo "t".
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