L' Antropocene è una narrazione politica che rappresenta una versione della storia basata sul “racconto del padrone”, la cui voce e il cui punto di vista sul mondo acquistano legittimità attraverso il silenziamento delle voci a lui subalterne.
Tale è il nome proposto per designare una nuova epoca geologica, chiaramente distinguibile dall’Olocene, originata dall’impatto delle attività umane sull’atmosfera, misurabili stratigraficamente al livello della litosfera, cioè la superficie terrestre.
Un marcato aumento degli eventi climatici catastrofici, la fusione dei ghiacciai e l’innalzamento del livello dei mari, l’acidificazione degli oceani, una diffusa contaminazione del suolo e dell’acqua da parte di radionuclidi e sedimenti “tecnofossili” e una nuova ondata di estinzioni, sono i principali indicatori del fatto che il futuro dell’umanità come specie è stato messo a rischio.
Quali conseguenze trarre da questa nuova evidenza scientifica è tuttavia tema controverso.
Possiamo riassumerne sommariamente i termini nella contrapposizione tra due posizioni: da un lato, vi sono coloro che leggono l’Antropocene dentro il paradigma della Modernizzazione Ecologica; dall’altro coloro che si ispirano ai principi della Giustizia Ambientale (Environmental Justice, EJ), nella sua versione planetaria (o di giustizia climatica).
Il paradigma della Modernizzazione Ecologica è stato ed è tuttora quello dominante, ma una crescente insoddisfazione è emersa ormai a causa della manifesta inerzia ed iniquità delle sue politiche, tra cui gli accordi sulle emissioni di carbonio dal protocollo di Kyoto in poi.
È necessario un cambio di paradigma che poggi su tre pilastri fondamentali della critica del DOMINIO: patriarcale, coloniale e razziale, di specie.
Una nuova narrazione?
La narrazione mainstream presenta un “noi”, soggetto collettivo non specificato, che, dopo aver migliorato la vita di miliardi di esseri umani, è diventato un fattore di cambiamento planetario paragonabile alle forze della natura e che sta mettendo a rischio la continuazione della vita sulla terra.
Nonostante la lunga lista di rischi planetari che caratterizzano la nuova epoca – continua la narrazione – non c’è da disperare: le conquiste del passato dimostrano infatti che “noi” è una forza in grado di plasmare il suo destino, insieme a quello del pianeta, e che può ancora salvare il mondo trovando il suo “spazio operativo sicuro” entro i limiti bio-geo-chimici stabiliti dal sistema Terra.
Nel suo essere racconto della modernità occidentale, la narrazione valuta positivamente il bilancio storico della colonizzazione, in quanto questa avrebbe permesso la diffusione del modello di successo economico occidentale nel resto del mondo; questa storia di successo poggia su una presunta eccezionalità europea in termini di ingegno (miglioramento tecnico), e istituzioni (proprietà privata).
Come tale è stata – ed è tuttora – una narrazione dominante (master narrative) poiché rappresenta una versione della storia basata sul “racconto del padrone” (master’s narrative) nel senso coloniale e patriarcale del termine: il capo della tenuta, della fabbrica, della società commerciale, il proprietario di schiavi e il titolare dell’autorità legale su donne, animali e soggetti colonizzati.
Una storia che si basa su una totale cancellazione dei costi sociali ed ecologici associati all’aumento globale del consumo di energia, ed è quindi completamente muta sulla iniqua distribuzione di tali costi tra classi sociali, generi, aree geografiche, e tra le specie che popolano il pianeta; in particolare, tra la specie umana e quelle a cui essa attribuisce maggiore valore e tutte le altre.
Dagli anni ’90, la Modernizzazione Ecologica ha offerto una visione positiva e progressiva della storia, in cui la crisi ecologica si risolverà lasciando fare il mercato, come predicato del resto dall’ideologia dello sviluppo sostenibile,(Rio 2012), ormai ribattezzato ufficialmente come “crescita verde”.
La sua inefficacia e inefficienza sono evidenti, tuttavia non possiamo liberarcene, è una manifestazione sorprendente della supremazia dell’uomo bianco: la narrazione del padrone si traduce in un dogma politico globale.
Le principali versioni aggiornate della Modernizzazione Ecologica sono due: la teoria dei “confini planetari” (Planetary Boundaries), in cui non è necessario alcun cambiamento sistemico che coinvolga le strutture sociali e l’economia politica globale (dove lo sviluppo sostenibile è ancora possibile, soprattutto diffondendo la conoscenza scientifica e tecnologica dai paesi industrializzati occidentali ai paesi in via di sviluppo in modo che questi ultimi possano adottare le migliori soluzioni tecniche disponibili), la seconda si trova nel Manifesto Ecomodernista, promosso da una rete di think-tanks, centri di ricerca e istituzioni finanziarie.
Quest’ultimo approccio propone l’adozione diffusa dell’energia nucleare, dei cibi geneticamente modificati e della geoingegneria come soluzioni definitive ai cambiamenti climatici.
In sintesi, il paradosso del discorso egemonico sull’Antropocene è che le soluzioni tecnocratiche attualmente offerte nella governance globale climatica e ambientale “si basano su molte delle stesse soluzioni patriarcali e androcentriche che hanno creato il problema in primo luogo”, ostacolando così le possibilità di sviluppare una politica di giustizia ambientale globale.
Altre narrazioni: la storia ambientale
La storia ufficiale dell’Antropocene è dunque una narrazione neocoloniale e androcentrica che è stata prodotta educando la società nel paradigma eco-modernista.
La sua enfasi sul progresso tecnico e sul mercato rende invisibili due aspetti chiave del cambiamento ecologico in corso: da un lato, le disuguaglianze sociali, spaziali, e di specie che lo hanno prodotto e che fanno sì che i suoi costi siano distribuiti disegualmente; dall’altro il valore socio-ecologico e neghentropico del lavoro riproduttivo e di cura nel contrastare il degrado dei sistemi terrestri e in sostegno della vita.
La storia ambientale ha ampiamente documentato il ruolo dominante giocato dalla civiltà occidentale (Europa e neo/colonie) nel determinare il degrado progressivo e incrementale della biosfera a partire dall’era delle scoperte geografiche.
Si capisce dunque quanto la teoria della Modernizzazione Ecologica si basi sull’esistenza di un rapporto neocoloniale tra i paesi capitalisti e il resto del mondo.
I costi ambientali, come dimostra una ormai consolidata letteratura socio-statistica ed epidemiologica nel campo della Giustizia Ambientale (Environmental Justice), non sono equamente distribuiti ma tendono a concentrarsi nelle cosiddette ‘zone di sacrificio’: territori marginali abitati da comunità di cittadini/e di serie b, alle cui vite, per ragioni diverse, viene attribuito un valore minore rispetto alla media nazionale o regionale.
Causa strutturale del degrado ambientale, dalla scala locale a quella globale, sono i dualismi natura/cultura, maschile/femminile, occidente/resto del mondo, tipici del pensiero occidentale moderno, substrato ideologico della crisi stessa.
L’Antropocene può essere considerato come una "rivoluzione ecologica"(C.Merchant) in corso, di carattere globale, segnata da una triplice trasformazione:
1) quella del modo di produzione, dal predominio del settore manifatturiero a quello dei settori informatico, finanziario, e dei servizi alla persona;
2) quella delle forme della riproduzione, tanto umana (nuova ondata di migrazioni di massa, nuove transizioni epidemiologica e demografica), quanto non-umana (la sesta grande estinzione nella storia del pianeta);
3) la trasformazione ecologica, segnalata dall’alterazione permanente della composizione chimica dell’atmosfera e della superficie terrestre.
Come le precedenti, questa nuova rivoluzione ecologica è segnata da cambiamenti radicali nei rapporti di genere, con una intensa femminilizzazione della forza lavoro a livello globale, ed una crescente importanza economica del lavoro di cura e di riproduzione.
Al tempo stesso, essa è accompagnata da una nuova trasformazione della coscienza ecologica collettiva, segnata da nuove forme di consapevolezza e di mobilitazione ecologica, tra cui spiccano le lotte per la giustizia ambientale e climatica.
Le forze in campo, infatti, sono diverse: da un lato, la triade capitalismo/neocolonialismo/patriarcato, resa ancora più potente e diffusa dalla globalizzazione neoliberista, che continua a produrre crisi ecologica (in quanto riduce tutto: persone, lavoro, ambiente, saperi, al solo valore di scambio, la cui massimizzazione è ottenuta con lo sfruttamento e il degrado di corpi, risorse, ecosistemi); dall'altra le forze che contrastano le tendenze distruttive delle trasformazioni in atto; da queste forze dipende, in ultima analisi, l’esito della rivoluzione ecologica corrente.
Tra queste, vorrei sottolineare le “forze della riproduzione”: il lavoro di cura, sostentamento, ri/generazione, conservazione e trasmissione intergenerazionale della vita umana, animale e vegetale, così come delle condizioni geofisiche che la rendono possibile, e dei saperi che promuovono relazioni di interdipendenza tra produzione, riproduzione ed ecologia.
Data la divisione sessuale del lavoro che caratterizza tanto le società ricche quanto quelle povere, questo lavoro è svolto in maggioranza dalle donne, spesso in forma non salariata, ed è dunque sottostimato nelle statistiche ufficiali e sottovalutato nei rendiconti del PIL.
A livello globale, scrive Greta Gaard, le donne “lavorano 2/3 delle ore totali di lavoro, producono metà del cibo consumato nel mondo e guadagnano il 10% del reddito globale”; si tratta di un contributo del tutto invisibile nella narrazione ufficiale dell’Antropocene.
Questa invisibilità, e la de-valorizzazione del lavoro di riproduzione che essa comporta, concorrono a determinare il fatto che, pur essendo le maggiori produttrici del “valore metabolico” che tiene in vita la specie umana e riproduce le sue condizioni di sussistenza, le donne sono oggi la popolazione più vulnerabile ai cambiamenti catastrofici in atto nel sistema terrestre; una vulnerabilità che è l’effetto congiunto di maggiore povertà e minore accesso alle risorse rispetto agli uomini.
Risulta da quanto esposto, secondo l’approccio ecofemminista materialista, che le donne costituiscano non soltanto la categoria sociale più oppressa dalla triade capitalismo/neocolonialismo/patriarcato, ma al tempo stesso quella con il maggiore interesse nel suo rovesciamento e sostituzione con un nuovo sistema di relazioni socio-ecologiche.
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