Ecologia sociale: tutti i problemi ecologici sono problemi sociali, e non semplicemente il risultato di concezioni religiose, spirituali o politiche.
Non dimenticherò tanto facilmente la mostra «ambientalista» organizzata negli anni Settanta dall’American Museum of Natural History di New York, con una lunga serie di scenografie che mostravano al pubblico esempi di inquinamento e distruzione ecologica.
L’ultima di esse, quella che concludeva la mostra, aveva l’incredibile titolo: "L’animale più pericoloso della terra", e consisteva in un grande specchio che rifletteva l’immagine del visitatore che si fosse trovato a sostare di fronte a esso.
Ho ancora in mente l’immagine di un bambinetto nero che guardava lo specchio, mentre il suo maestro bianco cercava di spiegargli il messaggio che l’arrogante scenografia tentava di comunicare.
Non c’erano invece scenografie che rappresentassero i vertici manageriali delle grandi industrie nel momento in cui decidono di disboscare montagne intere, né i funzionari governativi che agiscono in collusione con i primi.
Il messaggio della rappresentazione era uno solo: sono gli individui in quanto tali, non la società rapace e coloro che ne beneficiano, a essere responsabili degli squilibri ecologici; i ceti poveri non meno di quelli ricchi, la gente di colore non meno dei bianchi privilegiati, le donne non meno degli uomini, gli oppressi non meno degli oppressori.
Una «specie umana» astratta rimpiazza così le classi, gli individui rimpiazzano le gerarchie, i gusti personali (molti dei quali modellati dai media) rimpiazzano i rapporti sociali, e i diseredati che vivono stentate e isolate esistenze rimpiazzano le multinazionali aggressive, le burocrazie conniventi e le reazioni violente dello Stato: scandalose rappresentazioni che mettono sullo stesso livello i privilegiati e i diseredati.
Termini come «umanita'» o vocaboli zoologici come Homo sapiens, servono a celare le grandi differenze, e spesso gli aspri conflitti, che esistono tra i bianchi privilegiati e la gente di colore, tra gli oppressori e gli oppressi.
Oggi, un gran numero di persone crede che una società di mercato fondata sullo scambio e sulla concorrenza sia sempre esistita, anche se c’è ancora qualcuno vagamente consapevole dell’esistenza di società pre-mercantili fondate sul dono e sulla cooperazione.
Ma per la maggioranza delle persone certi tipi di lavoro, ad esempio quelli particolarmente faticosi come il minatore, non sono occupazioni liberamente scelte; al contrario, sono il frutto di bisogni materiali e soprattutto sono il prodotto di assetti sociali sui quali le persone comuni non hanno alcuna possibilità di controllo.
Parlando di «società» in senso astratto e generale (ma ricordiamoci che ogni società è unica e completamente diversa dalle altre dal punto di vista storico), dobbiamo obbligatoriamente prendere in esame ciò che, più che «società», andrebbe definito come «socializzazione».
La società è un particolare assetto di rapporti che spesso prendiamo come dati di fatto, come qualcosa di «fisso».
La socializzazione, invece, è un processo, allo stesso modo in cui la singola esistenza è un processo, e l’ecologia sociale dice chiaramente che la società non è una «eruzione» improvvisa nel mondo.
Nella fase iniziale, è più che verosimile che la socializzazione degli esseri umani si sia sviluppata a partire da vincoli di sangue specificamente materni.
In seguito, le strutture e le istituzioni che hanno segnato il progredire dell’umanità dalle semplici forme di una comunità animale verso una società vera e propria hanno iniziato a modificarsi, e tali modificazioni hanno assunto grande importanza dal punto di vista dell’ecologia sociale.
Positivo o negativo che sia stato, le società si sono sviluppate intorno a gruppi di status, gerarchie, classi e formazioni statuali.
Socializzazione
A paragone dei piccoli di altre specie, i bambini crescono lentamente e nell’arco di un periodo assai lungo.
Il prolungarsi di un tale periodo di plasticità mentale, dipendenza e creatività sociale porta a due risultati molto importanti.
In primo luogo, le forme più antiche di associazione umana devono aver favorito una forte predisposizione all’interdipendenza tra i membri di un certo gruppo, e non al rozzo individualismo che generalmente associamo con l’indipendenza.
L’amore reciproco doveva apparire come il prodotto del tutto naturale di un essere altamente acculturato, chiaramente bisognoso di cure continue.
La moderna versione dell’individualismo, o più precisamente dell'egoismo, non avrebbe potuto convivere con questa antica concezione basata sulla solidarietà e l’aiuto reciproco, senza la quale, vorrei aggiungere, un animale fisicamente fragile come l’essere umano difficilmente avrebbe potuto sopravvivere, sia nell’età adulta sia, a maggior ragione, nell’età infantile.
In secondo luogo, l’interdipendenza tra gli umani deve aver assunto una forma altamente strutturata.
Non c’è alcun dubbio che i vincoli umani, in particolari momenti di radicale trasformazione o decadimento culturale, possano sciogliersi o de-istituzionalizzarsi.
Ma in condizioni relativamente stabili, la società umana non è mai stata l’orda che secondo gli antropologi ottocenteschi stava alla base della vita sociale primordiale.
La peculiarità che distingue la vita sociale umana da quella delle comunità animali, consiste nella possibilità di modificare la società, nel bene e nel male, e i fattori che producono siffatte modificazioni.
Riducendo a una semplice comunità quella che è una società complessa, non riusciamo a capire l’evoluzione delle differenze di status in gerarchie consolidate, e delle gerarchie in classi economiche.
Insomma, rischiamo di perdere completamente il senso reale di concetti come «gerarchia», cioè un sistema di comando/obbedienza altamente organizzato, nettamente distinto dalle differenze personali, individuali, di status, spesso di breve durata e non necessariamente caratterizzato da azioni coercitive.
L’ecologia sociale
Dobbiamo riportare l’unicità specifica dell’umanità, segnata da una ricca capacità intellettuale, sociale, immaginativa e costruttiva, a una sintonia con la fecondità, diversità e creatività della natura.
È importante per l’ecologia sociale riuscire a spiegare come molti esseri umani si siano trasformati in parassiti delle altre forme di vita, invece che in partner attivi dell’evoluzione organica.
La contrapposizione tra società e natura ha le sue radici in talune contrapposizioni che esistono in seno alla società, in taluni conflitti profondi tra umani diversi che spesso celiamo con l’uso allargato del termine «umanità».
Dall’epoca classica a oggi, è universalmente accettata l’idea che per impedire che «l’uomo sia dominato dalla natura» sia indispensabile il dominio dell’uomo sull’uomo come primo mezzo di produzione e come strumento per sottomettere il mondo naturale.
Per secoli è stato asserito che per sottomettere il mondo naturale era necessario sottomettere gli esseri umani, sotto forma di schiavi, di servi o di salariati.
Il mito di una natura «avara» è stato sempre usato per giustificare l’avarizia degli sfruttatori e la crudeltà del trattamento da essi riservato agli sfruttati.
Il mondo naturale è infatti concepito come un dittatore, dal quale bisogna liberarsi o al quale bisogna obbedire.
L’ecologia sociale sfugge a questa trappola riconsiderando l’intero concetto di dominio, tanto in natura e società quanto nelle cosiddette «leggi naturali» e «leggi sociali».
Ciò che normalmente viene definito come «dominio» in natura non è che una proiezione dei nostri sistemi di controllo sociale, altamente strutturati, sulle forme comportamentali proprie delle comunità animali, individualistiche, asimmetriche e il più delle volte solo blandamente coercitive.
In altre parole, gli animali non «dominano» nel medesimo modo in cui lo fanno le élite umane, che spesso sfruttano a proprio beneficio i gruppi sociali oppressi; e nemmeno «comandano» per mezzo di forme istituzionalizzate di violenza sistematica, come invece accade nelle società umane.
È vero, in natura esiste la coercizione, e anche il dolore e la sofferenza ma non esiste la crudeltà.
L’intenzionalità e la volontà animali sono troppo limitate per poter produrre un’etica del bene e del male, o della bontà e della crudeltà.
La società dominante serve più a inibire che a porre in atto le nostre potenzialità umane.
Non riusciamo ancora a immaginare quanto le nostre più intime caratteristiche potrebbero espandersi se le vicende umane fossero realmente affrontate in modo etico, ecologico e razionale.
Viceversa, il mondo non umano conosciuto sembra aver palesemente raggiunto i suoi limiti per quanto riguarda la capacità di sopravvivere alle modificazioni ambientali.
La natura non è un bel panorama da ammirare attraverso la finestra o da immobilizzare su una cartolina, non è una rappresentazione statica del mondo naturale: è la storia dell’evoluzione, lunga e comprensiva di tutti gli avvenimenti che l’hanno caratterizzata.
La natura non è una «persona», né una «madre amorevole» e non è «materia e morte»; piuttosto, la storia naturale è un’evoluzione cumulativa verso forme e relazioni sempre diverse, sempre più differenziate e complesse.
Tale sviluppo verso esseri sempre più variegati, cioè verso nuove forme di vita, contiene – latenti – numerose quanto eccitanti possibilità.
La varietà, la differenziazione e la complessità aprono alla natura, man mano che questa si espande, nuove direzioni per un ulteriore sviluppo e linee alternative di evoluzione.
Via via che gli animali diventano più complessi e consapevoli di sé, più intelligenti, cominciano a compiere quelle scelte elementari capaci di influenzare la loro stessa evoluzione.
Sono sempre meno oggetti passivi della selezione naturale e sempre più soggetti attivi del proprio autosviluppo.
Un essere non si limita ad adattarsi per sopravvivere, ma agisce in funzione della propria sopravvivenza.
Non è solo l’ambiente che lo seleziona, ma è anch’esso a selezionare il proprio ambiente, e di conseguenza compie una scelta che esprime una sia pur modesta capacità di giudizio e soggettività.
Con questa concezione della natura, intesa come storia cumulativa dei livelli via via più differenziati di organizzazione materiale (specialmente di forme di vita) e di crescente soggettività, l’ecologia sociale pone le basi per una più ampia comprensione dell’umanità e della collocazione della società nell’evoluzione naturale.
La storia naturale non è un fenomeno meramente casuale, è segnata da tendenze, direzioni, e per quanto concerne gli umani, da fini consapevolmente perseguiti.
La capacità di essere razionali, o liberi, non garantisce però che tale capacità debba automaticamente essere messa in atto.
La spaccatura tra evoluzione naturale ed evoluzione sociale, tra vita umana e vita non umana, tra una natura ritenuta avara e ostile e un’umanità ritenuta avida e distruttiva, è speciosa e fuorviante.
Ciò che ha trasformato gli esseri umani in «alieni» nel mondo naturale sono state le mutazioni sociali che hanno trasformato molti esseri umani in «alieni» nel loro stesso mondo sociale, ovvero il dominio degli anziani sui giovani, degli uomini sulle donne e di alcuni uomini su altri uomini.
Ancor oggi, come nei secoli passati, esistono esseri umani che possiedono la società e altri che ne sono invece posseduti.
Fintantoché la società non sarà restituita a un’umanità indivisa capace di usare la sua saggezza collettiva, le sue conquiste culturali, le sue innovazioni tecnologiche, le sue conoscenze scientifiche, la sua creatività innata, a beneficio proprio e del mondo naturale, tutti i problemi ecologici continueranno ad avere le proprie radici nei problemi sociali.
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