"La terra partoriva sotto il ferro e sotto il ferro lentamente moriva, perché non era stata amata né odiata, non aveva attratto preghiere né maledizioni".

tratto da "Furore" (cap.V); di John Steinbeck.

I proprietari arrivavano sui loro fondi, o più spesso arrivava un delegato dei proprietari; arrivavano a bordo di macchine coperte, e i mezzadri, sul limitare delle loro aie arse dal sole, guardavano inquieti le macchine che attraversavano i campi.

Le donne si affacciavano sulla soglia di casa per guardare, e dietro di loro c'erano i bambini, bambini biondi come il mais e con gli occhi spalancati; un piede nudo sopra l'altro e le dita nervose.

Le donne e i bambini guardavano i loro uomini parlare con i delegati dei proprietari; tacevano.

Se il proprietario del fondo era una banca o una società finanziaria, i delegati dicevano: "la banca ha bisogno...vuole...pretende...esige"; come se la banca fosse un mostro, dotato di pensieri e sentimenti, che li avesse soggiogati.

Questi delegati non si accollavano la responsabilità delle banche o delle società, perché loro erano uomini e schiavi, mentre le banche erano al tempo stesso macchine e padroni.

I delegati, seduti in macchina, spiegavano che la terra era povera e i mezzadri annuivano; lo sapeva Iddio quanto se ne rendevano conto.

Se solo non si fosse alzata la polvere, se solo se ne fosse rimasta dov'era... forse le cose non si sarebbero messe così male.

Gli uomini seduti in macchina continuavano il loro ragionamento: "Lo sapete che la terra diventa sempre più povera, lo sapete cosa fa il cotone alla terra; la spreme, le succhia tutto il sangue".

Gli uomini accoccolati annuivano, se solo avessero potuto ruotare le colture, magari sarebbero riusciti a ridare un po' di sangue alla terra; ma era troppo tardi.

I delegati dei proprietari illustravano le motivazioni e le logiche di quel mostro che era più forte di loro: "Un uomo può tenersi la terra finché ha di che mangiare e pagare le tasse.
Può farlo finché un giorno non gli va male un raccolto, e a quel punto deve farsi prestare i soldi dalla banca; ma vedete, una banca o una società questo non possono farlo, perché non sono creature che respirano aria, che mangiano carne.
Respirano profitti; mangiano interessi sul denaro: se non lo fanno, muoiono esattamente come morireste voi senza aria, senza carne.
La banca, o il mostro, deve fare utili continuamente: non può aspettare perché morirebbe; il profitto deve continuare perché se il mostro smette di crescere, muore.
Non può restare com'è".

E proseguivano: "Un uomo con un trattore può prendere il posto di 12 o 14 famiglie, gli si dà un salario e si prende tutto il raccolto; dobbiamo farlo.
Non ci fa piacere farlo ma il mostro è malato; al mostro è successo qualcosa.
Ve ne dovete andare".

Gli uomini accoccolati alzarono gli occhi allarmati: "Cosa sarà di noi e come faremo per mangiare"?

"Lo sappiamo, sappiamo tutto...", risposero i delegati.
"Non siamo noi, è la banca; una banca non è come un uomo, e manco uno che possiede 50.000 acri è come un uomo: è questo il mostro".

I mezzadri gridavano: "Questa terra è nostra; su questa terra siamo nati, ci siamo fatti uccidere, su questa terra siamo morti.
Ecco cosa la rende nostra: esserci nati, lavorarci, morirci; anche la banca è fatta di uomini".

"No", risposero i delegati, "La banca è qualcosa di diverso dagli uomini; gli uomini la creano, ma non possono controllarla: dovete andarvene; sarete ladri se tenterete di restare e sarete assassini se ucciderete per restare.
Il mostro non è fatto di uomini ma fa fare agli uomini quello che vuole".

Allora i delegati misero in moto le loro macchine e andarono via.

Gli uomini alzarono lo sguardo per un istante, e nei loro occhi divampava il dolore: "Dobbiamo andarcene; un trattore e un sorvegliante, come nelle fabbriche".

Il trattore non poteva vedere l'aspetto della terra, non poteva sentire l'odore della terra; i suoi piedi non toccavano le zolle ne' avvertivano il calore, il potere della terra.

E quando quel raccolto cresceva e veniva mietuto, nessun uomo aveva sbriciolato nel palmo una sola zolla, né lasciato stillare tra le dita la terra tiepida; nessun uomo aveva toccato i semi o agognato la crescita.

Gli uomini mangiavano ciò che non avevano coltivato, non avevano legami con il loro pane; la terra partoriva sotto il ferro e sotto il ferro lentamente moriva, perché non era stata né amata né odiata, non aveva attratto preghiere né maledizioni.

Il mezzadro ragionava: "È strano come vanno le cose; se un uomo ha una piccola proprietà, quella proprietà è lui, è parte di lui, è fatta come lui.
Se la sua proprietà è grande quanto basta per camminarci sopra e coltivarla, rattristarsi se non rende o rallegrarsi quando arriva la pioggia, quella proprietà è lui, e in fondo lui diventa più grande perché quella proprietà è sua; anche se non si arricchisce è grande, perché ha quella proprietà.
Ma se un uomo ha una proprietà senza vederla, o senza avere il tempo di infilarci le dita, o senza poterci stare per camminarci... be', allora la proprietà è l'uomo.
Lui non può fare quello che vuole, non può pensare quello che vuole: la proprietà è l'uomo, ed è più forte di lui; lui non è grande, è piccolo.
È il suo patrimonio ad essere grande; lui è il servitore della sua proprietà".

Rivolgendosi al trattorista il mezzadro chiese: "Quasi 100 persone sulla strada per i tuoi 3 dollari, che fine faremo?"

Il trattorista rispose: "Farai meglio a sloggiare in fretta, dopo la pausa pranzo devo passare sulla tua aia".

"L'ho costruita colle mie mani", rispose il mezzadro: "È mia, tu prova a buttarla giù e vedi come piglio il fucile; se fai tanto di venire troppo vicino ti stendo come un coniglio".

Il trattorista rispose: "Io non posso farci niente, se non lo faccio mi licenziano; ma mettiamo pure che mi ammazzi, sai cosa succede?
Succede che ti impiccano e arriva un altro trattorista che ti butta giù la casa; ammazzeresti la persona sbagliata".

"Capisco", diceva il mezzadro: "E a te chi te li dà gli ordini? 
Andrò da lui, è lui quello da ammazzare".

"Ti sbagli, lui piglia ordini dalla banca, la banca gli ha detto: o fai sloggiare quella gente o perdi il lavoro"; fu la risposta del trattorista.

"Beh, questa banca avrà un presidente, avrà un consiglio di amministrazione; io carico il fucile e vado dalla banca", insistette il mezzadro.

"Un tizio mi ha detto che la banca prende ordini da Est, e gli ordini sono: o quella proprietà fa profitti o vi chiudiamo"; rispondeva il trattorista.

"Ma dove finisce questa catena?
A chi possiamo sparare?
Non mi va di morire di fame senza ammazzare l'uomo che mi fa morire di fame", concluse il mezzadro.

"Non lo so", rispose il trattorista, "forse non c'entrano gli uomini, forse come hai detto tu è la proprietà la causa di tutto".

"Ci devo pensare", rifletteva il mezzadro: "C'è per forza un modo per fermare questa cosa; non è come i fulmini o i terremoti: questa è una cattiveria fatta dagli uomini, e le cattiverie fatte dagli uomini si possono cambiare, perdio".

Il mezzadro andava a sedersi sulla soglia e il trattorista metteva in moto, riprendendo il suo cammino di lame che squarciavano, di erpici che rastrellavano, di falli che inseminavano il terreno.

Il trattore proseguiva in linea retta, e l'aria e la terra vibravano sul suo rombo; il mezzadro lo seguiva con lo sguardo, il fucile in mano.

Sua moglie era accanto a lui, e dietro c'erano i bambini, silenziosi; i loro sguardi erano fissi sul trattore.



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