Appropriazioni di risorse naturali per fini ambientali servono a ripulire l'immagine di chi inquina facendo profitti, con devastanti conseguenze sociali e ambientali.
I complessi impatti del cambiamento climatico sulla mobilità umana hanno attirato grande attenzione.
Cionostante, un numero crescente di persone "invisibili", viene sfollato, paradossalmente, dalle stesse misure adottate per la mitigazione.
Sebbene gli interventi di mitigazione e adattamento siano cruciali per ridurre la probabilità di sfollamento forzato, misure come la produzione di agrocarburanti e progetti come le "foreste di carbonio", sono state tra i principali motori della corsa globale alla terra, che è di portata senza precedenti dall'epoca coloniale.
Questi green grab , o “appropriazioni di risorse naturali per fini ambientali”, servono a ripulire l'immagine di chi inquina, con devastanti conseguenze sociali e ambientali.
La logica dietro le iniziative guidate dal mercato è che dovremmo "vendere la natura per salvarla" e che le pratiche non sostenibili in un luogo possono essere riparate da quelle sostenibili in un altro.
Per quanto riguarda gli sfollamenti, si presume che gli effetti negativi possano essere bilanciati dai vantaggi nella protezione dell'ambiente.
Sebbene sia proprio la presenza di aziende e industrie estrattive a comportare effetti negativi per l'ambiente, sono le popolazioni locali e le popolazioni indigene, con una capacità maggiore di proteggere le risorse naturali, ad essere sfrattate.
Sebbene non siano generalmente riconosciuti come parte del dibattito sulle migrazioni indotte dal clima o dall'ambiente, i collegamenti con l'accaparramento di terre sono duplici:
quando le politiche sul cambiamento climatico guidano l'accaparramento di terre e lo sfratto delle popolazioni locali;
quando i progetti di mitigazione o adattamento climatico distruggono le risorse locali, costringendo le persone a lasciare la propria terra.
Il modo in cui i diversi interventi "verdi" influiscono sulla mobilità umana delle popolazioni locali dipende da una varietà di fattori, che vanno dagli accordi sociali e di possesso già in atto, allo scopo del progetto, al potere negoziale delle popolazioni, al livello di stato di diritto in cui vive il paese ospitante, a come vengono distribuiti costi e benefici.
Nonostante gli accaparramenti di terra e di verde si stiano verificando in tutto il mondo, è nei paesi in cui la tutela dei diritti umani è scarsa, o inesistente, che hanno raggiunto i picchi più allarmanti.
A causa di una combinazione di fattori internazionali e nazionali, l'Africa è stata di gran lunga il continente più preso di mira.
Le foreste tropicali sono sotto il controllo formale del governo ed è relativamente semplice espropriare gli abitanti in nome della mitigazione del clima.
Le popolazioni hanno poco potere negoziale, possono essere etichettate come coloni illegali e sfrattate senza alcun indennizzo.
Ad esempio, nel delta del Rufiji in Tanzania, lo stato considerava gli abitanti che occupavano la terra, come migranti recenti piuttosto che millenari custodi della foresta di mangrovie quali erano.
Questa falsa rappresentazione ha giustificato la loro espulsione, li ha privati dei loro mezzi di sussistenza e ha creato notevoli conflitti.
Schemi di imboschimento e riforestazione in Uganda, hanno sfrattato circa 20.000 residenti che vivevano nella loro terra dal 1975.
Data la mancanza di diritti riconosciuti per le popolazioni e la diffusa corruzione, la distribuzione dei benefici di questi progetti è spesso catturata dalle élite locali e internazionali piuttosto che distribuita equamente tra le popolazioni locali.
Infatti, mentre la creazione di posti di lavoro è spesso presentata dai governi, dagli investitori e talvolta dalle stesse popolazioni locali, come il principale vantaggio delle piantagioni di biocarburanti su larga scala, la creazione di posti di lavoro di fatto tende a essere scarsa, stagionale o inaffidabile.
Ad esempio, intorno al Lac de Guiers in Senegal, i mezzi di sussistenza delle popolazioni di pastori seminomadi sono stati violati da un'acquisizione di terreni che sosteneva di produrre patate dolci per l'esportazione di etanolo in Europa, ma che non ha mantenuto le promesse di produzione e occupazione.
Poiché la terra precedentemente utilizzata per l'agricoltura e il pascolo è stata convertita, le comunità sono state sfollate o hanno avuto poche opzioni in più rispetto al trasferimento.
In effetti, le piantagioni sono spesso altamente meccanizzate e hanno un input di lavoro molto inferiore rispetto alle piccole aziende agricole familiari che spesso sostituiscono.
In Mozambico, un'azienda di biocarburanti che aveva stimato la creazione di posti di lavoro per 2.650 persone, aveva creato da 35 a 40 posti di lavoro a tempo pieno, ben due anni dopo la sua approvazione.
Inoltre, la crescente domanda di terreni per interventi climatici aumenta il valore del territorio da cui dipendono milioni di persone per il proprio sostentamento.
Sebbene ciò possa offrire opportunità ad alcuni agricoltori, può anche tradursi nell'impossibilità per i più poveri di accedere ai terreni agricoli necessari, aumentando ulteriormente il numero di migranti involontari.
Per quanto riguarda le destinazioni, e come accade per ogni altro tipo di spostamento, la migrazione tende a rimanere interna, interregionale e sud-sud.
Il principale fattore esplicativo è che le persone hanno bisogno di una maggiore quantità di capitale umano, finanziario, sociale e naturale per potersi spostare su distanze maggiori.
Poiché i green grab avvengono in paesi spesso incapaci di assorbire la manodopera che hanno espulso, gli accaparramenti stanno contribuendo a una maggiore disuguaglianza, esclusione e aumento della presenza negli slums.
Inoltre, lo sfollamento descrive anche situazioni in cui alcune persone sono private delle loro terre produttive o dei beni che generano reddito senza essere sfrattate fisicamente.
La mobilità è solo uno dei possibili esiti derivanti da un multiforme “pacchetto di perdite” che include la perdita di reti sociali e capitale, beni economici e materiali, potere, diritti politici e legali, persino tradizioni culturali.
Mancando i beni necessari per muoversi, molti di coloro che perdono la terra diventano “involontariamente immobili” e in condizioni di maggiore vulnerabilità sociale.
L'impatto perverso delle cattive “soluzioni”
Tra coloro che sono interessati alle migrazioni forzate, rimane la tendenza ad analizzare le cause dello sfollamento come risultato di disastri naturali, progetti di sviluppo falliti o guerre civili.
Allo stesso modo si interpretano i movimenti dovuti a mancanza di possesso, calamità di mercato o debiti, sfratti.
Ciò significa che le forze che costringono le persone a spostarsi, quelle che guidano l'accaparramento delle terre, rimangono spesso invisibili, e il fenomeno viene analizzato attraverso le lenti della “migrazione per lavoro”.
Tuttavia, quando i progetti per il clima vengono implementati in paesi in cui la protezione dei diritti umani è scarsa o inesistente, di fatto possono fungere da meccanismo per legittimare l'espulsione dei più vulnerabili e per rafforzare e centralizzare ulteriormente il controllo delle risorse naturali nelle mani delle élite politiche e aziendali responsabili del cambiamento climatico.
Pensare di poter risolvere il problema del cambiamento climatico antropogenico attraverso gli stessi meccanismi che lo hanno creato (ad esempio il mercato in assenza di protezione sociale), non solo ci allontanerà dall'impegno dei 2°C, ma contribuirà al tentativo di assolvere dalle proprie responsabilità storiche, il sistema che ha causato il cambiamento climatico.
Questi impatti indiretti della politica climatica dovrebbero quindi essere affrontati con urgenza, al fine di evitare ulteriori movimenti migratori indotti dall' "accaparramento verde" e per prevenire l'impoverimento delle popolazioni più vulnerabili dal punto di vista socio-ambientale.
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