tratto da "L’analisi dei food regimes"; di Philip McMichael.
Agricolture e cibo
L’analisi dei regimi alimentari nell’era del capitalismo industriale, è costituita da tre fasi di ordinamento geopolitico della produzione e della circolazione del cibo a livello internazionale, regolate da prezzi mondiali che determinano la dipendenza del capitale da alimenti a basso costo, per comprimere i salari e aprire nuovi mercati.
Gli ordini geopolitici egemonici in questione sono:
1) quello britannico (dagli anni settanta dell’Ottocento al 1914);
2) quello americano (dagli anni quaranta agli anni settanta del Novecento);
3) quello neoliberista o delle corporation (dagli anni ottanta del Novecento ad oggi).
Tali ordini geopolitici entrano in crisi e in transizione, insieme con la riorganizzazione delle relazioni agroalimentari, quando il sistema interstatale si trasforma.
Attualmente viviamo un momento di transizione, di crisi e trasformazione.
Il regime alimentare imperiale centrato sull’Inghilterra (1870-1930) ha combinato le tradizionali importazioni tropicali coloniali con i cereali di base e le proteine animali, importate dalle nuove colonie di frontiera, per fondare la «fabbrica del mondo» della Gran Bretagna.
In seguito all’abrogazione delle Leggi sul grano (Corn Laws) nel 1846, finalizzata a ridurre il costo del lavoro della classe operaia in crescita, la Gran Bretagna esternalizzò la sua produzione alimentare di base verso le colonie, sfruttando le frontiere dal suolo vergine nel Nuovo Mondo per fornire cibo a buon mercato all’Europa che si stava industrializzando.
Dal 1859 al 1889, la produzione di grano e mais negli Stati Uniti quasi triplicò; lo stesso fece, tra il 1860 e il 1900, il numero delle aziende agricole (passando da 2 a 5,7 milioni).
Tra il 1870 e il 1913 emerse un unico prezzo mondiale del grano.
Dalla prima metà del Novecento l'agricoltura di frontiera arrivò a stabilizzare i nuovi Stati ex colonie, integrando i «settori» agricoli e industriali nazionali, che divennero il modello ideale statunitense di sviluppo capitalistico.
Questo modello a sua volta definì il successivo «progetto sviluppo» (development project) della metà del ventesimo secolo.
Il regime centrato sugli Stati Uniti si basò su un programma di aiuti pubblici che vendeva le eccedenze alimentari come cibo per le classi salariate (wage-foods) a prezzi agevolati, per sostenere durante la guerra fredda l’industrializzazione a livello nazionale in Paesi strategici del Terzo mondo (ad esempio, Corea del Sud, India, Pakistan, Israele, Egitto, Colombia), insieme alle tecnologie della Rivoluzione Verde, per produrre cibo a livelli salariali per le popolazioni urbane.
Allo stesso tempo, i cereali, insieme allo zucchero e agli olii, determinarono nuovi complessi (complexes) internazionali di proteine animali e alimenti durevoli, mentre la trasformazione industriale del cibo intensificò l’accumulazione di capitale.
Questi complessi alimentari hanno contribuito all’emergere dell’economia globale delle catene di approvvigionamento (supply chains) agro-alimentare.
Negli anni Settanta l’attività delle imprese multinazionali, le operazioni bancarie offshore e la circolazione del dollaro statunitense, stimolarono la deregolamentazione finanziaria e l’emissione di prestiti bancari a livello globale per i Paesi in via di sviluppo.
Negli anni Ottanta seguì la crisi del debito, che consentì l’imposizione di politiche neoliberali di austerità agli Stati del Sud indebitati, come prova generale del nuovo «progetto di globalizzazione».
La globalizzazione del paradigma dello sviluppo ha significato che gli Stati, precedentemente serviti dai mercati, da quel momento in poi con l’intensificarsi della mobilità del capitale, abbiano servito in maniera crescente i mercati globali.
Questa ristrutturazione ha prodotto un regime alimentare multipolare, come conseguenza dell’intensificazione delle esportazioni agricole, prima dagli Stati Uniti e dall’Ue, poi sui mercati terzi con prodotti alimentari «a basso costo» verso il Sud del mondo, e successivamente dalle regioni agroesportatrici emergenti dell’Est Europa e dello stesso Sud.
Le agro-esportazioni attraverso le catene agroalimentari sono aumentate notevolmente mentre gli Stati privilegiavano le relazioni di mercato.
In tre decenni, le agro-esportazioni si sono incentrate sempre meno sui commercianti di cereali degli Usa e dell’Ue, espandendosi per includere commercianti di materie prime agricole, multinazionali del cibo, fornitori di fattori di produzione agricoli, retailers (imprese della distribuzione organizzata) e imprese statali.
Il regime alimentare delle corporation (corporate food regime) ha avuto inizio con le Politiche di Aggiustamento Strutturale imposte dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale a partire dagli anni Ottanta, che pretesero, dagli Stati del Sud indebitati, di smantellare le protezioni del settore agricolo e di espandere le esportazioni di prodotti agricoli per ripagare il debito.
Negli anni Novanta, gli accordi commerciali multilaterali promossi dagli Stati – in particolare l’Accordo Nordamericano di Libero Commercio (NAFTA) e l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) – hanno avviato misure di liberalizzazione per universalizzare la libertà di investimento e commercio dei prodotti agricoli.
La promozione, ad opera dell’Omc, dell’agrobusiness transnazionale ha implementato la rivendicazione neoliberista della «sicurezza alimentare globale».
Le sovvenzioni (nascoste) di Usa e Ue per i produttori industriali di cibo, hanno ridotto artificialmente i prezzi dei cereali, riversati nei mercati mondiali a scapito degli agricoltori del Sud, ormai in gran parte privi di protezione, con i prezzi mondiali del cibo che, alla fine del Novecento, hanno raggiunto il livello più basso in 150 anni.
Nel frattempo, gli investimenti delle aziende agro-esportatrici nel settore agroalimentare e l’agricoltura a contratto dei retailers si sono espansi nel Sud del mondo, fornendo frutta, verdura e prodotti del mare ai consumatori delle rispettive regioni e del Nord.
Questa ampia divisione internazionale del lavoro agricolo ha accresciuto la dipendenza alimentare «periferica» e ha intensificato l’esportazione di alimenti ad alto valore aggiunto dal Sud, imponendo relazioni di mercato ai piccoli agricoltori e contadini, attraverso le catene del valore e/o la concorrenza sleale che espande i processi di decontadinizzazione.
La ristrutturazione dei regimi alimentari durante questo lungo secolo (industriale) ha diffuso i principi imperialistici, nazionali e transnazionali/globali attraverso il cambio della guardia egemonica e un mutuo condizionamento delle relazioni geopolitiche e agroalimentari mondiali.
I tre momenti dei regimi alimentari coinvolgono distinte relazioni geopolitiche ed economiche:
1) il sistema statale imperiale del diciannovesimo secolo;
2) l'ordine internazionale della metà del ventesimo secolo (il cui il principio organizzativo è lo Stato-nazione);
3) l'attuale ordine globale neoliberale (con le relazioni di valore come principio organizzativo).
Quest’ultimo ordine è stato istituzionalizzato tramite accordi di libero scambio multilaterali e regionali che accrescono l'egemonia delle corporation e la loro «capacità di modellare le regole in base alle quali [le stesse] operano nello spazio di mezzo che occupano nell'economia alimentare mondiale», tra produttori e consumatori.
In generale, le fasi dei regimi alimentari sono fasi cicliche (sincroniche) del continuo (diacronico) fabbisogno di un regime alimentare da parte del capitale.
Ogni regime alimentare comprende relazioni residuali ed emergenti, che strutturano sia le sue tensioni interne che il processo cumulativo di successione (di fase).
Pertanto, il regime alimentare, come il capitalismo, assume varie forme storiche; la ristrutturazione dei regimi alimentari rivela dialettiche organizzative e di potere che portano alla trasformazione e/o alla transizione verso un regime successivo.
1) Il primo regime alimentare è incentrato sulla sostituzione di approvvigionamenti di alimenti da zone temperate con quelli da aree tropicali, per l’Europa in via di industrializzazione.
2) Il secondo regime alimentare è imperniato sulla costruzione di settori agricoli nazionali organizzata a livello internazionale.
3) Il terzo regime alimentare si basa su una crescente tensione tra l’approvvigionamento globale e locale di prodotti alimentari, sovradeterminata dalle preoccupazioni socio-ecologiche.
Ovunque, le corporation sostituiscono colture agricole stabili, con una «agricoltura senza agricoltori», attraverso operazioni di approvvigionamento globale che configurano un «dominio biofisico».
Ne derivano tre specifici effetti:
1) l’espulsione degli agricoltori in una congiuntura di occupazione urbana precaria;
2) l’aumento dell’insicurezza alimentare con sistemi locali di approvvigionamento compromessi che espandono i circuiti del lavoro migrante (anche in agricoltura);
3) il progressivo degrado degli ecosistemi.
Questi effetti esprimono la diffusione del principio dell’agro-esportazione proprio del regime alimentare delle corporation.
Da qui la proliferazione di Nuovi Paesi agricoli, forza strutturante del mercato alimentare mondiale all’alba del Ventunesimo secolo, che esportano colture speciali (in particolare nel Nord globale) e modellano le catene agroalimentari del valore.
Le terre del Sud sono state così convertite dall’approvvigionamento alimentare locale in agricoltura a contratto e in grandi aziende agro-industriali, nella costituzione della «grande enclosure globale».
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