Alla fine restano monnezze, il loro grado di invincibile evidenza, ingombro, tossicità, insolubilità e irriducibilità.

tratto da "Quello che resta: monnezze globalizzate"; di M.F.Minervino.

https://oaj.fupress.net/index.php/techne/article/view/11539

Uno dei caratteri fondamentali del contemporaneo consiste oggi "nella sua illimitata e incontrollata esorbitanza". 

Ovvero in quell'irrisolto accumulo di scorie e prodotti secondari caratterizzanti sia gli eccessi dello sviluppo materiale, che la dimensione della vita quotidiana.

Il nostro è un tempo sempre più scandito dall’espansione capitalistica e dall’invadenza delle cosmo-tecnologie.

Una sovrabbondanza di resti, avanzi e scorie eterogenee a cui corrisponde un progressivo, quanto allarmante, ritiro della ragione critica e il fallimento dei sistemi complessi; un pieno contro-vuoto che va dalla politica alla scienza, dall’economia all’estetica. 

Ci si pongono oggi di fronte questioni cruciali, riguardo i limiti reali delle capacità di carico di ambienti naturali e assetti sociali, circa lo sviluppo e l’avanzamento della civiltà su scala planetaria. 

Ci ritroviamo così ad affrontare un tema carico di significati come quello dei rifiuti: un catalogo che va "dagli oggetti distrutti e superati nella loro funzione tecnica e materiale, alle cose, alle persone espulse o abbandonate dai cicli produttivi, ai luoghi degradati e inquinati dall’uomo, agli ambienti divenuti obsoleti e deprivati di natura e vita sociale". 

Siamo dunque già ben oltre il tema delle rovine che si trasformano nella nostra complicata e irrisolta contemporaneità, abitiamo già macerie che precipitano sempre più velocemente verso l’apocalisse ambientale-sociale.

Il crescente disagio collettivo patito da grandi masse umane prive di status, sino alle minacce di autodistruzione globale del pianeta (oramai oberato da rifiuti e discariche e da plurime e colpevoli mostrificazioni prodotte dalle modificazioni del capitalismo industriale e post-industriale), fa apparire la nostra come la prima società della storia umana incapace di affrontare l’esorbitanza e la pervasività del degrado sociale, delle sue aree disabilitate e dei suoi scarti; ovvero di dare statuto, significato ed elaborazione culturale ai suoi avanzi, alle sue infinite monnezze, ormai globalizzate. 

Con l’avvento della crisi climatica e con la crescita dell’inquinamento incontrollato, proveniente dai residui non smaltiti delle produzioni industriali e dall’accumulo dei resti del consumo, anche nel nostro Paese si pone da tempo l’irrisolta questione di "come affrontare più efficacemente i temi della sostenibilità ambientale" e le reazioni di risposta civile ai numerosi processi di inquinamento e di degrado. 

Non è un esercizio inutile ricordare che "il benessere del territorio e dei suoi abitanti è connesso strettamente al grado di benessere degli ecosistemi, di tutte le forme viventi e dei suoi dimoranti, umani e non".

Il crescente inquinamento ambientale rappresenta in questa prospettiva una pericolosa forma di violenza lenta, graduale, ma sempre più drammatica e pervasiva, e purtroppo paradossale. 

Spesso il danno è così vistoso da essere sottovalutato, come minaccia a noi prossima, o ancora troppo lontano dalla vista dei gruppi sociali e dai riflettori dei media per diventare un problema globale. 

Di fatto accade sempre più spesso che per incuria, ignoranza o peggio «per interessi economici, l’essere umano contamini persino il territorio sul quale vive e dei cui frutti si nutre, ignaro del fatto che tra le innumerevoli forme di sopraffazione,  il dominio della natura è quello le cui conseguenze ricadono in maniera più distruttiva su chi lo esercita».

«Noi – noialtri, noi Occidente – non possiamo continuare a vivere com’eravamo abituati, spingendo il pattume (materiale e spirituale) sotto il tappeto», continuando a rifiutare perciò «di ammettere che andiamo incontro all’estinzione come specie».

Persino la pratica ecologica, passando per le mode “verdi” e “bio” sino alla classica contemplazione della natura dal vivo entro i parchi e le aree protette (o diversamente, nelle forme d’arte dell’estetica contemporanea e nelle opere letterarie), risentono oggi del confinamento di queste forme comuni di godimento degli ambiti naturali tipiche del mondo capitalistico e delle società consumistiche avanzate, all’interno di un pericoloso “stato di latenza” sociale. 

L' alterata relazione vitale con la natura, messa in atto nel mondo contemporaneo, alimenta un’idea dell’ambiente e dei sistemi naturali come "apparati instabili" e "correggibili", manipolabili dall’azione illimitata della tecnica per mano dell’uomo.

Accade così che, per una intrinseca eterogenesi dei fini (che contraddistingue l’agire umano), la natura ferita re-istauri catastroficamente le sue regole, del tutto indifferenti e sovrastanti rispetto alle pretese umane. 

L’infinita complessità del sistema sfugge a ogni pretesa di controllo. 

Siamo così distanti dall’ordine della natura e dai suoi segreti poteri di dominio e di controllo sugli elementi tipici delle nostre società ipertecnologiche, che per noi moderni complesse interazioni si riducono a "valutare le immagini della natura e i suoi fenomeni secondo il gusto personale".

Residui

Oggi sappiamo che la mania di contornarsi di oggetti-spazzatura può degenerare in patologia, un profondo malessere, già conosciuto come disposofobia.

Gli uomini sin dall’antichità hanno continuato a inumare i resti dei loro consumi materiali, dando loro significato ben oltre le necessità contingenti. 

La trasformazione in rifiuto tipica delle nuove tendenze del riuso, rappresenta semplicemente una fase di defunzionalizzazione nella quale un oggetto perde il suo primario valore d’uso e acquisisce forme latenti in attesa di destinazione. 

Successivamente a questa neutralizzazione esso può riacquistare valore o, più precisamente, può assurgere a simbolo di un valore.

I residuati però non si possono mai recuperare integralmente. 

Alla fine restano le monnezze, il loro grado di invincibile evidenza, ingombro, tossicità, insolubilità e irriducibilità. 

E l’uomo culturale dai tempi delle caverne ad oggi, non è riuscito a fare di meglio che seppellirle, a inumare in qualche modo le scorie della vita, come fa con le spoglie dei propri morti, in modo cerimoniale e più o meno consapevolmente tramandato. 

Per i nostri tentativi di comprensione significativa e per le pratiche presenti e future di archiviazione, i rifiuti sono e restano strutturalmente importanti tanto quanto l’oblio per la memoria. 

Questo è quanto oggi portano alla coscienza i racconti, le pratiche più avanzate del riciclo, le opere d’arte di plastica ed i racconti paradossali, o fantastici, che tentano tutti insieme l’esperimento di una redenzione culturale e di un’archiviazione globale della spazzatura.

Intanto la monnezza cresce intorno a noi e minaccia di sommergerci; in attesa di farne buon uso.

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