I prossimi anni saranno decisivi per il nostro futuro.
L’ultimo rapporto dell’Ipcc lancia l’allarme su diverse zone del mondo, compreso il Mediterraneo, e parla di alcuni cambiamenti climatici che sarebbero già irreversibili.
Non c’è alcun luogo, in tutto il Pianeta, al sicuro dagli effetti della crisi del clima.
Ed il bacino del Mediterraneo, Italia compresa, è tra le aree più a rischio, tra siccità e innalzamento del livello del mare.
“Per evitare una perdita crescente di vite umane, biodiversità e infrastrutture, urge un’azione ambiziosa e accelerata per adattarsi ai cambiamenti climatici, riducendo nel contempo in modo rapido e profondo le emissioni di gas serra”, spiega l’Ipcc.
“Finora i progressi in materia di adattamento non sono uniformi, con divari sempre più grandi per le popolazioni a basso reddito; ogni ritardo nelle azioni globali comporterà ulteriori gravi impatti, e non basteranno più le mezze misure“.
“L’aumento delle condizioni meteorologiche e climatiche estreme ha avuto alcuni impatti irreversibili, poiché i sistemi naturali e umani sono spinti oltre la loro capacità di adattamento, causando una moria di massa tra specie come alberi e coralli” – si legge ancora nel rapporto.
“Questi eventi meteorologici estremi hanno impatti a cascata sempre più difficili da gestire, ed espongono milioni di persone a una grave insicurezza alimentare e idrica, soprattutto in Africa, Asia, Centro e Sud America, nelle Piccole Isole e nell’Artico“.
La situazione in Europa, e specialmente nel bacino del Mediterraneo, non è migliore.
Nel Vecchio Continente sono state individuate quattro categorie di rischi-chiave:
1) ondate di calore;
2) rischi per la produzione agricola;
3) scarsità di risorse idriche;
4) inondazioni più frequenti e violente.
L’accento viene posto sulla siccità e sulla scarsità idrica in tutta Europa, mentre per il Mediterraneo il rischio più grande è costituito dall’innalzamento del livello del mare (1,4 millimetri ogni anno per tutto il corso del XX secolo, ma con un’accelerazione sempre maggiore negli ultimi 20 anni).
Secondo gli esperti dell’Ipcc, in Europa ci sono almeno 170 milioni di persone che rischiano di subire le conseguenze del cambiamento climatico, ma senza azioni concrete nel mar Mediterraneo è previsto l’innalzamento di 1 metro entro il 2100.
Le conseguenze potranno essere inondazioni costiere, erosione e salinizzazione.
La coste sabbiose strette, di grande valore per gli ecosistemi costieri e per il turismo, rischiano di scomparire.
E tutte le possibili azioni di adattamento, tra l’altro, non prendono in considerazione aumenti più marcati del livello del mare.[1]
“Quello di cui parliamo è la seconda parte del report di sintesi che l’Ipcc, organismo dell’Onu, ha pubblicato tra il 2021 e il 2022; c’è anche una terza parte, che sarà pubblicata tra un mese, e che riguarda le soluzioni.
Questa seconda parte si concentra sugli impatti della crisi climatica e sulle possibilità di adattamento, mentre la prima parlava della cause, qui si parla di soluzioni, a livello di risposta.
Il report è molto corposo: oltre 3.500 pagine che mettono insieme il meglio della scienza degli ultimi anni.
Ci sono focus geografici e focus su ecosistemi specifici: le principali aree del mondo, tra cui l’Europa e il Mediterraneo, e i punti di maggiore fragilità, come le foreste tropicali, gli oceani e le montagne.
L’allarme sul Mediterraneo mette a rischio la stessa esistenza delle città costiere, comprese quelle italiane.
L’aumento del livello del mare è uno dei quattro rischi fondamentali identificati dal rapporto per le aree sud-europee e quindi mediterranee.
A differenza di altri impatti del cambiamento climatico (come l’aumento delle temperature o la siccità), che si fermerebbero poco dopo il conseguimento delle emissioni zero, l’aumento del livello del mare si ripercuoterebbe molto più a lungo.
In quest’ultimo caso, si parla di minaccia esistenziale per le comunità costiere, per gli ecosistemi costieri e per le città sul livello del mare.
Il rapporto introduce anche un concetto molto importante, quello di ‘maladaptation’.
In italiano potremmo tradurlo con disadattamento, cioè soluzioni che migliorano il problema sul breve termine ma lo peggiorano nel lungo periodo.
Pensiamo ad esempio alle barriere artificiali, che nel breve possono arginare l’innalzamento del livello del mare, ma che nel lungo termine potrebbero alterare gli ecosistemi costieri, modificando il flusso delle correnti e l’apporto di sedimenti o ‘mangiando’ le spiagge.
Il rapporto sottolinea come gli ecosistemi integri siano l’unica chance per lottare contro la crisi climatica.
Difenderci da una minaccia ma, al tempo stesso, degradare un ecosistema che ci serve come difesa, è una misura che potremmo definire autolesionista.
Il rapporto invita quindi a privilegiare le soluzioni di lungo termine, ricordandoci che viviamo altre due crisi contemporanee e connesse: quella della biodiversità e quella della salute.
Un report congiunto dell’Ipcc e dell’Ipbes, che si occupano rispettivamente di clima e di biodiversità, ci metteva in guardia sul voler risolvere il problema climatico rischiando di favorire la perdita di biodiversità.
Una delle buone notizie del report è che gli ecosistemi sono molto più capaci di quanto pensassimo ad aiutarci contro la crisi climatica, ma vanno preservati bene.
Dobbiamo capire bene come funzionano e mantenere questo funzionamento.
Se arriviamo ad un riscaldamento troppo forte, come quello di 3°C, rischiamo di compromettere gli ecosistemi.
"Stiamo segando il ramo su cui siamo seduti, dobbiamo mantenere tutte le opzioni che sono in grado di salvarci e di aiutarci, compresi ecosistemi integri“.[2]
Dunque attenzione: se le temperature salgono a piu' di 3°C sopra i livelli preindustriali, i rischi climatici saranno cosi' gravi che anche il massimo adattamento non sara' sufficiente.
Per esempio, a 3°C, il rischio di morte durante le ondate di calore raddoppiera' o addirittura triplichera'.
Sopra i 3°C, i nostri sistemi sanitari potrebbero non essere in grado di farcela e si prevedono perdite sostanziali nelle rese agricole.
Questo colpira' in particolare i paesi dell'Europa meridionale e non sara' compensato da migliori rendimenti nel nord.
Mentre l'irrigazione potrebbe essere una soluzione adattiva sotto 2°C di riscaldamento, la scarsita' d'acqua con un clima piu' caldo di 3°C limitera' questa opportunita'.
Gli stress idrici colpiranno un terzo della popolazione dell'Europa meridionale a +2°C e due terzi a +3°C.
E sopra i 3°C, la scarsita' d'acqua diventera' estremamente acuta nelle citta' dell'Europa occidentale, centrale e meridionale.
Inoltre, senza un adeguato adattamento, i danni causati dalle inondazioni costiere aumenteranno di dieci volte entro la fine del secolo.
Per il momento le politiche di adattamento europeo non sono sufficienti.
Questo e' dovuto alle risorse limitate, alla mancanza di impegno da parte del settore privato, all'insufficiente mobilitazione di fondi e alla mancanza di impegno politico su questi temi.
Con una popolazione urbana in crescita, gli esperti del clima puntano anche sul potenziale delle citta' per adattarsi al cambiamento climatico.
''Alcune citta' sono attualmente in costruzione e potrebbero gia' incorporare questi dati nella loro edificazione''.
Alloggi ecologici, fonti di energia rinnovabile, trasporti piu' verdi che collegano le aree urbane e rurali per una maggiore inclusione sociale e uguaglianza.
Queste sono tutte risorse che le citta' dovranno integrare nelle loro specifiche strategie.
Le scelte sociali e le azioni messe in atto nel prossimo decennio, determineranno le traiettorie di resilienza al cambiamento climatico, avvertono gli esperti.
La comunita' internazionale deve prendere in seria considerazione una vera "trasformazione della societa".
''Molte iniziative danno la priorita' alla riduzione immediata e a breve termine del rischio climatico, il che riduce lo spazio per l'adattamento trasformazionale'', lamentano.
Eppure, aggiungono: ''dobbiamo trasformare il modo in cui facciamo le scelte''.
Gli obiettivi climatici di riduzione delle emissioni di gas serra, ma anche di riduzione dei danni alla biodiversita' (preservandola o ripristinandola) devono essere al centro delle nostre preoccupazioni; per migliorare la salute e il benessere umano e ridurre la poverta' e la fame.
"Questa azione deve essere compiuta da tutti: a livello della politica, della societa' civile e della finanza; senza dimenticare che non ci possono essere soluzioni a un problema globale senza la cooperazione internazionale''.[3]
[1]www.teleambiente.it/clima_rapporto_ipcc
[2]www.teleambiente.it/clima_prof_giorgio_vacchiano_rapporto_ipcc
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