tratto da "Giustizia, uguaglianza e differenza"; di B. Casalini e L. Cini.
https://www.academia.edu/4680734
La correlazione che la concezione welfarista tradizionale stabilisce tra aumento del reddito e aumento della soddisfazione per la propria vita, può essere messa in discussione, come era già avvenuto negli anni Settanta.
Paesi con un Pil basso non risultano necessariamente meno felici di paesi più ricchi.
La capacità di acquisto non è un indicatore adeguato della qualità della vita né a livello sociale né a livello individuale.
Due individui possono vivere nello stesso paese, avere lo stesso reddito e la stessa ricchezza, ma se uno soffre di una forma grave di disabilità la loro condizione sarà molto diversa.
Il secondo avrà infatti, con ogni probabilità, una minore capacità di trasformare le risorse a sua disposizione, in una qualità della vita paragonabile a quella del primo.
Le loro opportunità di raggiungere gli obiettivi che desiderano saranno necessariamente diverse.
La valutazione del benessere, secondo l’approccio delle capacità, deve tener conto di uno spazio multidimensionale, che va oltre la produzione e il possesso di beni, per includere la rete di relazioni umane che sostiene un individuo, il livello di autonomia individuale, la salute, il sistema di istruzione, la qualità dell’ambiente, il grado di democraticità delle istituzioni politiche e sociali, e tutto quel complesso insieme di fattori che può influire sull’andamento di una vita umana.
Per Amartya Sen, le visioni benesseriste commettono due errori fondamentali: in primo luogo, hanno una concezione riduttiva dei fini che una persona persegue e ai quali attribuisce valore; in secondo luogo, trascurano il meccanismo delle preferenze adattive.
Nelle visioni welfariste l’individuo è concepito come un contenitore passivo di utilità, intesa in termini di piacere, felicità o soddisfazione delle preferenze.
La motivazione umana è ridotta alla ricerca del piacere o alla soddisfazione di preferenze soggettive autoreferenziali.
Per Sen è, invece, fondamentale distinguere l’aspetto dello star bene da quello dell’agency ed è impossibile sovrapporre i due aspetti e ridurre le motivazioni della persona a una sola dimensione.
Se una persona aspira, poniamo, all’indipendenza del proprio paese o alla prosperità della propria comunità o a qualche altro obiettivo di carattere generale, le sue acquisizioni di agency coinvolgono una valutazione dello stato delle cose alla luce di questi obiettivi, e non semplicemente alla luce del grado in cui quelle acquisizioni contribuirebbero al suo star bene individuale.
In una prospettiva "benesserista", è impossibile distinguere la condizione di un individuo che decide di digiunare come atto politico non violento per affermare un principio e un ideale, godendo quindi di una piena libertà di agency; quella di un altro che digiuna perché non ha nulla da mangiare, che non ha né libertà di agency né libertà di benessere; e infine, quella di un terzo individuo che digiuna per restare magro, ma avrebbe reddito e ricchezza sufficiente per mangiare ostriche e salmone.
Al contrario dell’utilitarismo, Sen considera la persona in termini di agency, ovvero in relazione alla sua capacità di delineare i fini della propria azione, di considerare il benessere altrui come parte del proprio benessere (sympathy) di imporsi impegni, di vincolarsi rispetto a valori (commitment), anche a prescindere da considerazioni d’interesse personale.
Il benessere della persona allora deve essere ampliato per includere non solo la soddisfazione delle preferenze, e tutto ciò che una persona è, ma anche la libertà della persona, nel senso delle sue reali opportunità di realizzare i propri obiettivi.
In Sen il concetto di ‘benessere’ diviene sinonimo di ‘qualità della vita’.
Il welfarismo trascura, d’altra parte, gli effetti indesiderati derivanti dal meccanismo delle preferenze adattive, ovvero del meccanismo psicologico che scatta in situazioni di dissonanza cognitiva, quando l’individuo si trova ad avere credenze o comportamenti che sono tra loro in contraddizione.
In questi casi, la risposta attivata dalla mente consiste in un mutamento delle preferenze.
Nella favola la volpe desidera l’uva, ma vede che è troppo in alto e non riuscirà mai a raggiungerla; la mente la libera da questa sensazione di frustrazione producendo la convinzione che in fondo quell’uva è acerba, che non è pronta per essere colta.
Un mutamento di preferenze di questo tipo, attivato da rassegnazione o da abitudine, è diverso da un cambiamento di preferenze dovuto a un processo di apprendimento.
Un conto è decidere di vivere in campagna, dopo aver sperimentato la vita di città, un altro vivere in campagna perché lì sono nato, lì vivono i miei e penso di non essere un tipo capace di cambiare e di rompere con abitudini consolidate.
Nel primo caso la scelta avviene sulla base di preferenze che possono considerarsi preferenze informate, nel secondo di preferenze adattive.
Il meccanismo dell’uva acerba deve essere distinto anche dalla pianificazione del carattere, infatti esso ha luogo, per così dire, alle spalle del soggetto, non è frutto di una decisione intenzionale.
A quali esiti può portare il meccanismo delle preferenze adattive in una visione benesseristica?
I desideri di una persona possono essersi formati durante una vita di miseria e oppressione che ha profondamente minato la sua stessa capacità di avere aspirazioni proprie.
Una donna in estreme condizioni di indigenza, che ha subito per anni la violenza del marito, può avere come unico desiderio la fine di quella violenza.
Le sue aspettative possono risultare confinate a un ambito ristretto, limitato dall’abitudine e dalla rassegnazione.
In questo caso una teoria della giustizia welfarista che valuti la condizione degli individui sulla base della mera informazione relativa alla soddisfazione dei desideri, non sarà in grado di dare a questa donna ciò che sembrerebbe in assoluto più giusto per lei, ovvero ampliare l’orizzonte dei suoi stessi desideri, offrendole nuove opportunità.
Il problema – scrive Sen – è particolarmente grave in un contesto di radicate diseguaglianze e deprivazioni.
Una persona che vive in totale deprivazione e conduce una vita molto stentata può non apparire in una brutta condizione secondo la metrica mentale del desiderio e del suo appagamento, se accetta l’inclemenza del fato con rassegnata sopportazione.
In situazioni di persistente deprivazione, le vittime non stanno continuamente a lamentarsi e compiangersi, e molto spesso si sforzano enormemente di trarre piacere da piccole occasioni di conforto nonché di ridurre i desideri personali a proporzioni modeste – «realistiche».
Il grado di deprivazione di una persona, allora, può non essere assolutamente registrato dalla metrica dell’appagamento dei desideri.
L’approccio delle capacità va oltre questi limiti prestando attenzione alle reali opportunità e alla reale libertà di cui le persone godono.
L’insieme delle capacità riflette la libertà che un individuo ha di scegliere tra vite possibili, ovvero tra una molteplicità di funzionamenti o stati di essere e fare.
Secondo Sen, se si lavora sul rapporto beni/persone seguendo l’intuizione utilitaristica, ma abbandonando la visione della persona come contenitore di utilità, appaiono rilevanti non gli stati mentali, ma ciò che i beni consentono all’individuo di fare in termini di capacità e funzionamenti.
L’attenzione dovrebbe spostarsi dalle risorse o dalla soddisfazione delle preferenze, a ciò che di buono le persone fanno (funzionamenti) e possono fare (capacità) con i beni a loro disposizione.
Fine delle politiche sociali non deve essere tanto la distribuzione di risorse fondamentali, quanto la creazione di spazi di libertà reale affinché un individuo possa realizzare fini di valore, o, in altri termini, lo sviluppo delle capacità di scegliere la vita a cui si dà valore.
Insieme allo sviluppo delle capacità, ovvero dei poteri interni del soggetto e delle sue opportunità esterne, è necessario collocare un indice di funzionamenti fondamentali, che vanno dall’essere nutriti, all’avere mobilità, ecc.
Per Sen si devono considerare:
functionings e capabilities.
Capacità e funzionamenti non dipendono soltanto dai beni a disposizione di un individuo, ma anche da alcuni fattori di conversione, che possono essere personali (intelligenza, sesso, disabilità), sociali (quali l’assetto dell’istruzione scolastica pubblica, la qualità del sistema sanitario pubblico, il livello di violenza e di criminalità, ecc.), ambientali (clima, risorse idriche, livello di inquinamento ambientale) e relazionali (per esempio, relativi agli standard che sono richiesti per poter apparire in pubblico senza vergogna).
La qualità della vita di una persona è «un indice dei funzionamenti della persona», e più specificamente dei suoi funzionamenti di valore.
Sen non offre un elenco dei funzionamenti, ma ritiene che alcuni di essi siano essenziali per la definizione del well-being individuale, da quelli più elementari come nutrirsi e vivere una vita sana, fino ai più complessi come avere rispetto di sé e partecipare alla vita della comunità.
Sen evita di impegnarsi esplicitamente sul terreno di una visione oggettiva di ciò che costituisce una vita buona.
La scelta collettiva deve essere democratica: non può essere confiscata da una "espertocrazia".
L’approccio delle capacità può essere utilizzato con finalità molto diverse (per esempio, per costruire indici di povertà e di sviluppo); le capacità rilevanti non saranno quindi indipendenti da ciò che si intende misurare e saranno suscettibili di mutare nel tempo.
Se viene utilizzato nell’ambito delle scelte pubbliche, può essere solo il processo democratico a decidere quali capacità e quali funzionamenti privilegiare.
Sarà necessario, in tal caso, che la democrazia sia intesa come un processo deliberativo; la discussione pubblica e le relative decisioni possono favorire una migliore comprensione del ruolo, della portata e dell’importanza dei singoli funzionamenti e delle loro combinazioni.
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