L'incontrollata crescita industriale e il deterioramento ambientale causano carestie, guerre e un collasso biologico.

tratto da "Nicholas Georgescu-Roegen (1906-1994)"; di Giorgio Nebbia.


Verso un’economia umana

La casa comune, il pianeta Terra, si avvicina ad una crisi dal cui superamento dipende la sopravvivenza dell'uomo.

Una crisi la cui portata appare evidente esaminando l'incontrollata crescita industriale e il deterioramento ambientale, e le conseguenti minacce di carestie, guerre e di un collasso biologico. 

L'attuale tendenza nell'evoluzione del pianeta non dipende soltanto da leggi inesorabili della natura ma è una conseguenza delle deliberate azioni esercitate dall'uomo sulla natura stessa. 

L'uomo ha deciso il corso della storia attraverso decisioni di cui è responsabile: ha cambiato il corso del suo destino con deliberate decisioni attuate di sua volontà. 

A questo punto deve cominciare ad elaborare una nuova visione del mondo. 

Gli economisti hanno il compito di descrivere e analizzare i processi economici cosi' come si osservano nella realtà. 

Nel corso degli ultimi due secoli gli economisti sono stati portati sempre più spesso non solo a misurare, analizzare e teorizzare la realtà economica, ma anche a consigliare, pianificare e prendere parte attiva nelle decisioni politiche: il potere, e quindi la responsabilità degli economisti sono perciò diventati grandissimi. 

Di recente sono apparsi evidenti i costi che la produzione di merci comporta mentre in passato questa è sempre stata considerata un fatto positivo.

La produzione sottrae materie prime ed energia dalle loro riserve naturali di dimensioni finite: i rifiuti dei processi invadono il nostro ecosistema, la cui capacità di ricevere e assimilare tali rifiuti è anch'essa finita. 

La crescita ha rappresentato finora per gli economisti l'indice con cui misurare il benessere nazionale e sociale, ma ora appare chiaro che l'aumento dell'industrializzazione in zone già congestionate può continuare soltanto per poco.
L'attuale aumento della produzione comprometterebbe la possibilità di produrre in futuro e avrebbe luogo, sempre di più, a spese di un ambiente naturale delicato ed in pericolo. 

La constatazione che il sistema in cui viviamo ha dimensioni finite e che i consumi di energia comportano costi crescenti impone delle decisioni morali nelle varie fasi del processo economico, nella pianificazione, nello sviluppo e nella produzione. 

Che fare?
Quali sono gli effettivi costi, a lungo termine, della produzione di merci e chi finirà per pagarli?
Che cosa è veramente nell'interesse non solo attuale dell'uomo, ma nell'interesse dell'uomo come specie vivente destinata a continuare? 

La chiara formulazione, secondo il punto di vista dell'economista, delle alternative possibili è un compito non soltanto analitico, ma etico e gli economisti devono accettare le implicazioni etiche del loro lavoro. 

Noi invitiamo i colleghi economisti ad assumere un loro ruolo nella gestione del nostro pianeta e ad unirsi, per assicurare la sopravvivenza umana, agli sforzi degli altri scienziati e pianificatori, anzi di tutte le donne e gli uomini che operano in qualsiasi campo del pensiero e del lavoro. 

La scienza dell'economia, come altri settori di indagine che si propongono la precisione e l'obiettività, ha avuto la tendenza, nell'ultimo secolo, ad isolarsi gradualmente dagli altri campi, ma oggi non è più possibile che gli economisti lavorino isolati con qualche speranza di successo. 

Dobbiamo inventare una nuova economia il cui scopo sia la gestione delle risorse e il controllo razionale del progresso e delle applicazioni della tecnica, per servire i reali bisogni umani, invece che l'aumento dei profitti o del prestigio nazionale o le crudeltà della guerra. 

Dobbiamo elaborare un'economia della sopravvivenza, anzi della speranza, la teoria di un'economia globale basata sulla giustizia, che consenta l'equa distribuzione delle ricchezze della Terra fra i suoi abitanti, attuali e futuri. 

È ormai evidente che non possiamo più considerare le economie nazionali come separate, isolate dal più vasto sistema globale. 

Come economisti, oltre a misurare e descrivere le complesse interrelazioni fra grandezze economiche, possiamo indicare delle nuove priorità che superino gli stretti interessi delle sovranità nazionali e che servano invece gli interessi della comunità  mondiale. 

Dobbiamo sostituire all'ideale della crescita, che è servito come surrogato della giusta distribuzione del benessere, una visione più umana in cui produzione e consumo siano subordinati ai fini della sopravvivenza e della giustizia. 

Attualmente una minoranza della popolazione della Terra dispone della maggior parte delle risorse naturali e della produzione mondiale. 

Le economie industriali devono  collaborare con le economie in via di sviluppo per correggere gli squilibri rinunciando alla concorrenza ideologica o imperialista e allo sfruttamento dei popoli che dicono di voler aiutare. 

Per realizzare una giusta distribuzione del benessere nel mondo, i popoli dei paesi industrializzati devono abbandonare quello che oggi sembra un diritto irrinunciabile, cioè l'uso incontrollato delle risorse naturali, e noi economisti abbiamo la responsabilità di orientare i valori umani verso questo fine. 

Le situazioni storiche o geografiche non possono essere più invocate come giustificazione dell'ingiustizia. 

Gli economisti hanno quindi di fronte un compito nuovo e difficile. 

Molti guardano alle attuali tendenze di aumento della popolazione, di impoverimento delle risorse naturali, di aumento delle tensioni sociali, e si scoraggiano. 

Noi dobbiamo rifiutare questa posizione e abbiamo l'obbligo morale di elaborare una nuova visione del mondo, di tracciare la strada verso la sopravvivenza, anche se il territorio da attraversare è pieno di trappole e di ostacoli. 

Attualmente l'uomo possiede le risorse economiche e tecnologiche non solo per salvare sé stesso per il futuro, ma anche per realizzare, per sé e per tutti i suoi discendenti, un mondo in cui sia possibile vivere con dignità, speranza e benessere. 

Per ottenere questo scopo deve però prendere delle decisioni e subito. 

Noi invitiamo i nostri colleghi economisti a collaborare perchè lo sviluppo corrisponda ai reali bisogni dell'uomo: saremo forse divisi nei particolari del metodo da seguire e delle politiche da adottare, ma dobbiamo essere uniti nel desiderio di raggiungere l'obiettivo della sopravvivenza e della giustizia. 

Nicholas Georgescu-Roegen: padre di una "economia radicale".

Nelle sue opere sostiene che qualsiasi scienza che si occupa del futuro dell'uomo, come la scienza economica, non può procedere senza tenere conto della ineluttabilità delle leggi della fisica. 

La principale, espressa dal secondo principio della termodinamica, spiega che alla fine di ogni processo la qualità dell'energia peggiora sempre. 

Per qualità va intesa la "qualità merceologica", cioè l'attitudine dell'energia ad essere ancora utilizzata da qualcun altro. 

Qualsiasi processo che fabbrica merci e cose materiali impoverisce, insomma, la disponibilità di energia nel futuro e quindi la possibilità di produrre altre merci e cose materiali. 

Ma, si potrebbe obiettare, il pianeta Terra nasconde nel suo ventre ancora riserve grandissime (ovviamente non illimitate) di fonti energetiche costituite da carbone, petrolio, metano, cioè dall'energia solare utilizzata centinaia di milioni di anni fa da vegetali e animali divenuti poi materia "fossile": a tali riserve la società industriale può attingere a piene mani. 

È vero che un giorno tali riserve potranno esaurirsi, ma è un problema che riguarda chi vivrà nel XXI o nel XXII secolo. 

Georgescu Roegen ribatte che non si tratta solo di una scarsità, sia pure remota, di energia: la scarsità riguarda anche i materiali, i minerali, i prodotti agricoli. 

Guardate come procedono i cicli biologici, che riciclano tutte le scorie vegetali e animali le quali diventano materie per la propagazione della vita, e guardate invece come procedete voi, per raggiungere il vostro mito di ricchezza economica, per moltiplicare i vostri strumenti esosomatici: voi umani operate per cicli sempre più aperti, per cui al fianco di una crescente quantità di beni materiali e merci, state producendo una molto più grande quantità di scorie con cui dovrete un giorno fare i conti. 

Se volete salvarvi dovete sviluppare una "bioeconomia", affiancando alla contabilità dei flussi di denaro che descrivono la "vecchia" economia, una descrizione delle risorse naturali materiali e delle scorie fisiche per il cui ottenimento e smaltimento dovrete spendere crescente fatica di energia e soldi. 

Una proposta di "matrice intersettoriale" integrata dei flussi economici ed ecologici.

Solo la "bioeconomia" vi darà utili indicazioni per le decisioni politiche che dovrete prendere, vi aiuterà a scansare molte trappole. 

Calma, dicono i critici: sarà invece la tecnica che ci salverà, per esempio permettendoci di riciclare le scorie, proprio come fa la natura, per ricavarne altre materie prime per il futuro. 

Folli!, replica Georgescu-Roegen. 

Perché anche la materia si degrada: "Matter matters, too", un principio che egli ripete innumerevoli volte e a cui addirittura attribuisce, scherzosamente, il valore di "principio": il quarto principio della termodinamica, secondo cui, proprio come avviene per l'energia, la materia disponibile non scompare, ovviamente, ma "si degrada continuamente e irreversibilmente in materia non più utilizzabile" a fini umani, merceologici, economici. 

Per sopravvivere sul pianeta Terra, di dimensioni e risorse limitate, la produzione e l'uso di beni materiali non solo non possono continuare a "crescere", e non basta neanche che diventino stazionari: devono "diminuire". 

E non compiacetevi troppo, avverte Georgescu-Roegen, nelle illusioni dell'uso dell'energia solare: la sua cattura con "macchine" umane comporta un costo di materiali, e quindi di energia, che può superare la quantità di energia commerciale che le macchine "solari" possono dare. 

Un messaggio di disperazione, allora? 

Georgescu-Roegen di speranze sulla salvezza umana non ne lascia molte: anche una "salvezza ecologica" deve fare i conti con i principi della termodinamica.

Il messaggio complessivo dell'opera di Georgescu-Roegen è che comunque, poiché la vita umana deve andare avanti, bisogna almeno cambiare le attuali regole economiche se non si vuole che una catastrofe, dovuta alla scarsità delle risorse naturali, invece di arrivare fra secoli arrivi fra pochi decenni. 

Ma pare, invece, che il mondo da questo orecchio non ci senta proprio per niente. 

Per concludere può valere la pena di rileggere il “manifesto” per un’economia umana redatto nell'ottobre 1973, a Nyach, nello stato di New York, da Nicholas Georgescu-Roegen, Kenneth Boulding e Herman Daly e firmato da oltre 200 economisti.

La proposta era partita dall'associazione internazionale "Dai Dong", un nome che corrisponde ad un antico concetto cinese di un mondo: "in cui la famiglia di ciascun uomo non è soltanto la sua famiglia, i figli di ciascun uomo non sono soltanto i suoi figli, ma tutto il mondo è la sua famiglia, tutti i bambini sono suoi figli".

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