CITTÀ GIARDINO: "I limiti della libertà vi si allargheranno, e un popolo felice potrà godere dei migliori frutti dell’accordo e della cooperazione".
tratto da "La città giardino del domani"; di E. Howard.
http://www.asterios.it/sites/default/files/Impaginato%20CITTA'%20GIARDINO%20PAG.3-48.pdf
Queste cause possono tutte essere riassuntivamente definite come «attrazioni».
È ovvio che nessun rimedio può essere efficiente, se non offre agli uomini, o almeno ad una gran parte di essi, maggiori «attrazioni» di quelle offerte dalle nostre città.
Cosicché la forza delle vecchie «attrazioni» sia superata dalla forza delle nuove «attrazioni» che si devono creare.
Ogni città può essere considerata come una calamita, ed ogni persona come un ago magnetico e, sotto questo profilo, appare subito chiaro come soltanto la scoperta di un metodo per costruire calamite, dotate di un potere ancor maggiore di quello posseduto dalle nostre città, possa effettivamente provocare la ridistribuzione della popolazione in modo spontaneo e salutare.
Così presentato, il problema può apparire a prima vista diffìcile, se non impossibile, da risolvere.
«Cosa mai si può fare» – taluni diranno – "per rendere la campagna più attraente, per il lavoratore quotidiano della città – per rendere i salari, o almeno lo standard di comfort fisico, più alti nella campagna che in città, per assicurare eguali possibilità di relazioni sociali nell’ambiente rurale ed offrire agli uomini ed alle donne comuni prospettive di avanzamenti eguali, per non dire superiori, a quelle di cui godono nelle nostre grandi città"?
La questione viene costantemente presentata pressapoco in questi termini.
L’argomento compare sempre sui giornali o nelle discussioni d’ogni tipo, come se gli uomini, o per lo meno i lavoratori, non avessero, né mai potessero avere alcuna altra scelta o alternativa fuorché l’una, di soffocare il loro affetto per il consorzio umano –perlomeno inteso in un quadro di relazioni più vasto di quello che caratterizza la vita di un isolato villaggio –oppure, l’altra, di rinunciare quasi completamente a tutte le schiette e pure delizie della campagna.
Il problema, generalmente, viene posto come se ora non fosse possibile, né mai potesse essere possibile, che i lavoratori vivano nella campagna senza tuttavia svolgere altra attività che quella agricola; come se le città affollate e malsane fossero l’ultima parola in fatto di scienza economica; e come se la nostra presente struttura produttiva, nella quale esiste una rigida separazione fra le attività agricole e quelle industriali, dovesse necessariamente essere permanente.
Questo è il solito equivoco che deriva dall’ignorare qualsiasi possibilità di alternative, fuori di quelle che conosciamo.
Ma in realtà, non vi sono solo due alternative, come sempre si suppone, – vita urbana e vita rurale – ma una terza ancora, nella quale tutti i vantaggi della vita cittadina più esuberante ed attiva e tutte le gioie e bellezze della campagna, si ritrovano in una perfetta combinazione.
La certezza di poter vivere questa vita costituisce la calamita per lo spontaneo muoversi della popolazione dalle nostre affollate città verso il cuore della nostra buona madre terra, fonte, insieme, di vita e felicità, ricchezza e potere.
Possiamo dunque considerare la città e la campagna, come due calamite, ciascuna protesa ad attrarre gli uomini verso se stessa, una contesa in cui interviene una nuova forma di vita partecipe della natura d’ambedue.
Questo può essere illustrato da un diagramma con «Tre Calamite», dove i principali vantaggi della città e della campagna sono espressi assieme agli svantaggi corrispondenti, mentre i vantaggi della Città Giardino appaiono liberi dagli svantaggi di ambedue.
La calamita Città offre, in confronto alla calamita campagna, i vantaggi dei salari più alti, delle occasioni di impiego, di attraenti prospettive di avanzamento, ma questi sono ampiamente sbilanciati da canoni e prezzi elevati.La facilità di relazioni ed i locali di divertimento sono molto seducenti, ma gli orari di lavoro eccessivi, le distanze dal lavoro e la solitudine della folla, finiscono per infirmare di molto il valore di queste buone cose.
Le strade ben illuminate hanno grande attrattiva, specie d’inverno, ma il sole vi appare sempre meno, mentre l’aria vi è così viziata, che gli eleganti edifici pubblici, ed i passeri persino, acquistano presto una patina tetra, e s’adombrano le statue.
Edifici monumentali e spaventosi tuguri, ecco gli aspetti stranamente complementari delle città moderne.
La calamita campagna, si annuncia come la portatrice d’ogni bellezza e salute; ma la calamita città ironicamente le rinfaccia la monotonia delle sue scarse relazioni sociali, la rozzezza dei suoi doni per mancanza di capitali.
In campagna si godono meravigliosi panorami, parchi sontuosi, boschi ombrosi, aria pura ed acque mormoranti; ma troppo spesso s’incontrano le minacciose parole:
«Contro chi oltrepassa questi confini si procederà a termini di legge».
I canoni, se valutati a metro quadro, sono certamente bassi, ma questi canoni esigui sono la naturale conseguenza dei bassi salari agricoli piuttosto che un motivo di sostanziale benessere; mentre i lunghi turni di lavoro e l’assenza di divertimenti impediscono al sole splendente ed all’aria pura di allietare i cuori degli uomini.
La sola attività, l’agricoltura, soffre spesso per le piogge; ma la meravigliosa messe di nubi, troppo raramente raccolta in modi appropriati, consente ben poche scorte d’acqua, per i periodi di siccità, anche solo per uso personale.
Persino la naturale salubrità della campagna è ampiamente infirmata dalla carenza di fognature appropriate e di impianti igienici, e si dà il caso, in zone semispopolate, che i pochi abitanti si affollino insieme, quasi a far concorrenza ai tuguri delle nostre città.
Ma né la calamita città, né la calamita campagna interpretano appieno i disegni della natura.
Le due calamite devono fondersi in una sola.
La Città è il simbolo della società, dell’aiuto reciproco, della cooperazione amichevole, degli affetti verso il padre, la madre, i fratelli e le sorelle; delle complesse relazioni fra uomo e uomo – delle simpatie vaste ed aperte – della scienza, dell’arte, della cultura e della religione.
Ma la campagna!
Tutto ciò che siamo e tutto ciò che abbiamo viene da essa.
I nostri corpi sono formati di terra; ad essa ritornano; ricaviamo da essa nutrimento, vestimenti, calore e protezione.
Nel suo seno riposiamo; le sue bellezze ispirano l’arte, la musica e la poesia.
Le sue forze azionano gli ingranaggi dell’industria.
Essa è fonte di salute, ricchezza e conoscenza.
Ma il suo patrimonio di gioie e saggezza non è stato ancora dischiuso all’uomo, né potrà esserlo fintantoché questa empia, innaturale separazione di società e natura persiste.
Da questa gioiosa unione tra città e campagna nascerà una nuova speranza, una nuova vita ed una nuova civiltà.
Costruire una calamita Città-campagna è fattibile, qui ed ora, e secondo i principi più validi, sia dal punto di vista morale che economico.
Nella Città-campagna si possono godere eguali, se non maggiori, opportunità di relazioni che in una qualsiasi città affollata, pur se le bellezze della natura circondano ed allietano ogni suo abitante.
In essa gli alti salari possono conciliarsi con i canoni e le imposte meno alte; le più impeccabili attrezzature igieniche possono esservi instaurate; vi si troveranno belle case e giardini in ogni dove.
I limiti della libertà vi si allargheranno, e un popolo felice potrà godere dei migliori frutti dell’accordo e della cooperazione.
La costruzione di una simile calamita, qualora venisse portata a termine, seguita dalla costruzione di molte altre ancora, consentirebbe di affrontare uno scottante problema: «Come respingere l’ondata migratoria della popolazione verso la città, e riportarla alla terra».
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