Città Ribelli: centralità dei beni comuni come orizzonte politico e giuridico alternativo alla proprietà privata e al pubblico statale.

tratto da "Democrazia oltre lo stato: autonomia, confederalismo, neomunicipalismo"; di L. Recano.

https://www.academia.edu/40365803

Città ribelli: commons e nuove istituzioni.

Una convergenza internazionale di esperienze neomunicipaliste è accomunata da un rifiuto radicale della governance europea e delle politiche di austerity.

Sulla spinta di alcuni percorsi di movimento e di alcune esperienze amministrative, si sta costituendo sul piano internazionale un tentativo di convergenza, chiamato in modo evocativo "rete delle città ribelli". 

Anche in Italia si trovano esperienze interessanti in alcune città importanti – tra cui Napoli, Roma, Taranto, Bologna, Pisa, Palermo, Messina – e in molti piccoli centri: piattaforme partecipative neomunicipaliste che hanno fatto propri alcuni strumenti politici – assemblee di quartiere confederate tra loro; piattaforme partecipative per la costruzione di programmi politici di governo e di mobilitazione; audit sul debito pubblico e sulle politiche municipali. 

Il tema unificante è la decisionalità: la riformulazione democratica dei processi di decisione politica su programmi, deleghe, rappresentanze, iniziative. 

Gli assi fondamentali comuni a queste sperimentazioni sono: la produzione di modelli politici e giuridici di governo e autogoverno dei commons, e la produzione di nuovi modelli istituzionali orientati alla democrazia reale.
Processi partecipativi capaci di articolare un mandato di governo e di amministrazione dal basso verso l’alto e di spostare il baricentro della produzione e decisione politica dagli incarichi istituzionali ai soggetti sociali che ne sono interessati. 

Dall'incontro di numerose esperienze sono emersi notevoli punti di confluenza/convergenza: 

1. La possibilità di mettere in rete, o meglio, di federare le città ribelli (processo da pensare in modo necessariamente estensivo, coinvolgendo nuovi municipi e nuove città) come strada privilegiata.
La forma della federazione viene individuata come l’unica possibile: alla sovranità si sostituisce l’autonomia, intesa sia come «darsi le regole da sé» sia come «indipendenza relativa»; il tema della rottura delle compatibilità imposte dall’Unione Europea può essere così ripensato, senza rantoli sovranisti o nazionalisti, partendo dal rifiuto del debito delle città
Consolidando così, sul piano orizzontale, forme di contropotere in grando di accumulare forza, prima di ogni ipotesi di “verticalizzazione”. 

2. Le esperienze neomunicipaliste conferiscono nuova centralità alla partecipazione. 
A differenza del passato, anche recente, la partecipazione non si presenta più come funzione integrativa o compensativa del circuito rappresentativo, ma come istanza immediatamente decisionale, e dunque alternativa alla rappresentanza «fiduciaria». 
La partecipazione è immediato rapporto/scontro tra «il basso» e «l’alto»; il processo partecipativo-decisionale si articola in termini pienamente tecnopolitici, se con quest’ultimo termine intendiamo l’incursione nello spazio fisico, digitale e mediatico.
La riscoperta del piacere della corporeità, dell’esperienza sensibile, e la costruzione di un ecosistema digitale, segnato da flussi e passioni affermative, sono immediatamente interconnessi.

3.Infine, le esperienze neomunicipaliste stanno ricodificando la tematica dei commons, oltre la (falsa) alternativa tra beni comuni naturali e artificiali. 
I beni comuni urbani sono il prodotto dell’attività sociale. 
Se il diritto moderno si basava sul grande dualismo tra beni e servizi, oggi è l’attività di uso del bene a determinarne la natura.
Al di là della titolarità della proprietà, ciò che importa è l’uso che di quel bene viene fatto.
In questo modo, il diritto vivente diviene occasione di riunificazione delle lotte metropolitane per il sindacalismo sociale e le istanze democrazia reale. 

Le assemblee popolari, in prospettiva, dovranno sperimentarsi come prototipi consiliaristi.

La questione dei commons è particolarmente connessa ai problemi relativi alla gestione del territorio e delle risorse naturali, e rappresenta pertanto la declinazione locale di un problema generale e globale legato alla trasformazione dei modelli di sviluppo economico, energetico, industriale, urbano. 

La gestione dei territori e dei beni comuni richiede il controllo del modo in cui vengono prese le decisioni che riguardano il loro uso, a cominciare dal livello locale;  insistendo proprio sul nesso forte che c’è tra democrazia, territori e beni comuni.

La "seconda tecnica" e l’economia della decrescita, che possono "arrestare" la megamacchina della crescita infinita, sono per loro natura diffuse, molecolari, incardinate nel territorio e nei modi di vita degli abitanti. 

Esse investono ogni ambito della vita sociale, della mobilità e della produzione dei beni necessari alla conservazione della vita, influenzano anche il modo di gestire gli effetti di tale produzione (i rifiuti, ad esempio), l’abitare, le politiche urbanistiche. 

Nel primo decennio del nuovo secolo, in modo crescente benché poco visibile (a causa dello strabismo culturale e dell'asservimento dei media) è sorto un enorme movimento a difesa del territorio e per i beni comuni; oltre a dare tangibili prove politiche, determinando l'elezione di alcuni sindaci e i referendum su acqua e nucleare, esso ha elaborato una sua compiuta visione della società. 

Tale visione si è espressa nelle campagne chiamate "consumo di suolo zero", "acqua pubblica", "rifiuti zero", "salviamo il paesaggio", "contro le grandi opere" e altre. 

Esse sono tutte “locali”, cioè comunitarie, territoriali, "consiliari", estendendo a dimensioni nuove l’antico consiliarismo operaio di fabbrica. 

Tutte hanno forme di "coordinamento nazionale", che si dedicano prevalentemente alla elaborazione culturale e alla relazione reciproca, rispettando l'autonomia di ogni soggetto.

La sperimentazione di piattaforme neomunicipaliste e la costruzione di nuove istituzioni sociali, capaci di creare una situazione di doppio potere nei confronti delle istituzioni formalmente riconosciute dallo Stato, si confronta ovviamente col tema delle politiche pubbliche in materia economica, sociale, di sicurezza, coi problemi collegati alla gestione del patrimonio pubblico, delle reti e dei servizi. 

Uno dei problemi più urgenti riguarda la gestione dei servizi pubblici. 

In particolare in Italia, specie dopo le battaglie dei comitati e la vittoria del referendum contro la privatizzazione dei servizi idrici (giugno 2011) – la cui istituzione è stato uno dei risvolti pratici del lavoro giuridico compiuto dalla commissione Rodotà– la proprietà e la gestione, pubblica o privata, delle reti e delle aziende del ciclo dell’acqua è divenuto tra i temi più caldi e controversi nel dibattito politico e nella società. 

Nonostante il referendum, le amministrazioni di diversi enti locali hanno trovato escamotages per procedere alla privatizzazione di rami d’azienda e segmenti della gestione dei servizi idrici in diverse regioni e comuni italiani. 

Tuttavia esistono esperimenti che vanno in controtendenza. 

Se il neomunicipalismo intende se stesso come nuova forma di esercizio della sovranità popolare, esso deve capire che (nei fatti) va a riflettersi sulla legittimità quanto meno nelle forme attuali – di altri poteri, ridefinendone la natura ed il ruolo, e soprattutto l’ambito in cui si esercitano. 

A partire dalle assemblee elettive. 

Se infatti le assemblee popolari dialogano direttamente con le amministrazioni, contribuiscono de facto a quel processo di svuotamento delle assemblee elettive. 
Devono porsi quindi la questione del senso di queste ultime.

La questione della legittimità delle nuove istituzioni del neomunicipalismo impatta sulla giurisdizione e sui poteri della macchina amministrativa e ridefinisce il ruolo della rappresentanza. 

L’istituto della rappresentanza non viene cancellato, ma di fatto agganciato ad altre pratiche, svuotato della sua sacralità e anche salvato dal proprio fallimento, ritornando a essere uno strumento tra altri con una funzione relativa. 
Le assemblee, le reti sociali, i processi di autorganizzazione e di lotta rifiutano di porsi in una dimensione subalterna e rivendicativa e assumono su di sé il tema della decisione politica, della proposta, della deliberazione e dell’applicazione del governo della società. 
Si tratta di una continua sperimentazione che non ha programmi e tappe prescritte ma che si avvale dell’intelligenza creativa e s’incardina sui rapporti di forza che progressivamente essa stessa conquista. 

Perciò nulla è garantito o scritto sul futuro di questi processi, ed è probabile che molti di essi possano implodere, essere riassorbiti, schiacciati, ma ciò che essi sedimentano nell’abitudine, nelle prassi, nei cambiamenti delle mentalità, nella trasformazione dei luoghi della politica, i segni che lasciano nelle città, non sono facilmente eliminabili, sono anzi qualcosa di irreversibile, il carburante di nuove trasformazioni, la possibilità di nuove sperimentazioni.

Queste questioni s’intrecciano con la tensione crescente tra lo spazio di autonomia delle amministrazioni locali e regionali rispetto allo Stato. 

Oggi esiste a livello internazionale un ampio dibattito sul federalismo regionale e sul ruolo strategico dei comuni soprattutto rispetto alle grandi città. 

La sfida sarà quella, per i movimenti e le amministrazioni, di restituire a queste strategie un orizzonte realmente democratico, e tramutarli in un’occasione di sperimentazione di nuovi modelli istituzionali capaci di rispondere alle sfide del presente: la gestione dei servizi pubblici, le risorse comuni, lo sviluppo urbano, la sicurezza sociale, la salute pubblica, la funzione produttiva delle città e il contrasto alla gentrificazione. 

Il carattere delle nuove istituzioni può attingere a un vastissimo patrimonio tradizionale e di sperimentazioni di forme di democrazia diretta, mutualismo, processi deliberativi, che esistono e si sviluppano da millenni nella società, e che con il grado di socializzazione e di interazione prodotto dalla vita nelle metropoli, dallo sviluppo digitale, dalla scolarizzazione di massa e da altri fattori ad essi collegati, assumono possibilità nuove e radicali.


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