tratto da "Oltre il dualismo natura-cultura: Bateson, Ingold, Descola"; di M. Guerra.
La donna
Nel 1929 Virginia Woolf pubblicò "Una stanza tutta per sé", un saggio su la donna e il romanzo.
Quando la scrittrice inglese si ritrovò a dover comporre un intervento da tenere in un'università femminile su "la donna e il romanzo", interrogandosi su quali autrici affrontare e su come costruire il discorso, arrivò a porsi una domanda semplice, che capovolse completamente il suo punto di vista: perché, per secoli, le donne non hanno scritto?
Ecco allora che la Woolf arriva a trattare gli aspetti più materiali legati alla composizione dell'opera d'arte, del romanzo in particolare.
E non può fare a meno di notare, durante le sue ricerche, quanto le donne fossero povere «perché in primo luogo era loro impossibile guadagnare del denaro, e in secondo luogo, se fosse stato possibile, la legge negava loro diritto di possedere il denaro che avessero guadagnato».
La Woolf riconosce una terribile contraddizione tra la maniera in cui la donna veniva ritratta nella letteratura dell'età elisabettiana e la maniera in cui realmente viveva.
Ne emergeva un essere molto strano e composito.
Immaginativamente, ha un'importanza enorme; praticamente è del tutto insignificante.
Pervade la poesia, da una copertina all'altra; è quasi assente nella storia.
Nella letteratura, domina la vita dei re e dei conquistatori; nella realtà era schiava di qualunque ragazzo i cui genitori le avessero messo a forza un anello al dito.
Dalle sue labbra escono talune delle parole più ispirate, alcuni tra i pensieri più profondi della letteratura; nella vita reale non sapeva quasi leggere, scriveva a malapena ed era proprietà del marito.
Un'altra esigenza che la società moderna aveva nei confronti delle donne era la loro castità e il loro contegno.
Una donna non poteva andare a bussare alla porta di una compagnia teatrale per fare l'attrice, avrebbe perso la propria reputazione e le avrebbero comunque chiuso la porta in faccia.
E le scrittrici che nella storia della letteratura sono state pioniere dell'indipendenza femminile come Aphra Behn e George Eliot, hanno scontato tutto il biasimo e l'emarginazione sociale che derivò da quella scelta.
Le prime romanziere della storia della letteratura moderna come le sorelle Brönte, Jane Austen, la poetessa Emily Dickinson erano «donne con un'esperienza di vita non maggiore di quella che poteva entrare in casa di un rispettabile pastore».
A tutto questo si aggiungeva l'impossibilità di coltivare il proprio talento in ambienti privati, per esempio una stanza o uno studio.
Il saggio della Woolf prende il titolo appunto da questa considerazione: quanto sia importante avere una stanza tutta per sé, per scrivere.
Jane Austen scriveva nel soggiorno comune e la sua concentrazione era soggetta ad ogni tipo di interruzione e distrazione, eppure è riuscita a scrivere alcuni dei romanzi più belli della letteratura.
Questo non è un argomento per confutare la tesi della stanza, bensì per confermarla: le capacità non sono mai mancate alle donne, sono mancate le condizioni, e se Jane Austen avesse avuto una stanza per sé e denaro per viaggiare o la possibilità di essere consapevole del valore di ciò che scriveva, chissà che opere avrebbe potuto scrivere.
La donna è stata considerata naturalmente inferiore all'uomo fino a tempi molto recenti.
La Woolf elenca alcuni dei pareri di uomini che hanno scritto libri sulle donne, o di uomini che valutavano le donne per motivi accademici, per esempio nei primi college femminili d'Inghilterra, come il professor Oscar Browning che esaminava le studentesse di Girton e Newnham e sosteneva che: «l'impressione ricevuta dopo aver esaminato prove scritte è che, nonostante i voti assegnati, la migliore delle donne sia intellettualmente inferiore al peggiore degli uomini».
Sarebbe più interessante invece capire che cosa ha perso, secondo l'autrice, la letteratura tutta, dalla chiusura nei confronti delle donne.
Ad un certo punto della stesura del saggio Virginia Woolf si rende conto del fatto che «tutte le grandi donne della letteratura erano state, fino ai tempi di Jane Austen, non solo viste dall'altro sesso, ma viste esclusivamente in relazione all'altro sesso».
Quello che hanno fatto i colonizzatori europei ai popoli che hanno conquistato, cioè dargli una nuova identità in riferimento e in funzione della propria , è in qualche modo paragonabile a quello che l'uomo ha fatto nei confronti della donna nel corso di quasi tutta la sua storia.
Per farci comprendere l'entità della perdita, poco percepita, come tutte le cose ovvie e come le cose assenti che non sono state mai altro che assenti, la Woolf esercita un ribaltamento e mette in piedi una sorta di esperimento mentale.
Supponiamo ad esempio che gli uomini fossero rappresentati nella letteratura solo come amanti delle donne, e non fossero mai amici di altri uomini, pensatori o sognatori; che piccola parte dei drammi di Shakespeare sarebbe loro riservata; come ne soffrirebbe la letteratura!
Ci rimarrebbe forse gran parte di Otello; e buona parte di Antonio; ma niente Cesare, niente Bruto, niente Amleto, né Lear, né Jaques; la letteratura verrebbe incredibilmente impoverita, come infatti viene incalcolabilmente impoverita dalla sua chiusura alle donne.
Anche Virginia Woolf sostiene la fondamentale importanza della preservazione della diversità, in questo caso della diversità di genere.
Invita le giovani studentesse a cui sta parlando a sviluppare un linguaggio che gli appartenga, a scrivere quello che pensano davvero senza tenere in conto di dover dimostrare nulla a nessuno, e ad essere donne in maniera indipendente, cioè a rifiutare le definizioni che vengono date loro dagli uomini.
Ambire a fare le cose che fanno gli uomini, e farlo a pieno diritto, non deve significare perdere la propria preziosa differenza.
Sarebbe un gran peccato se le donne scrivessero come gli uomini, o vivessero come loro, o assumessero il loro aspetto; perché se due sessi non bastano, considerando la vastità e varietà del mondo, come potremmo cavarcela con uno solo?
Rispetto a quando Virginia Woolf scriveva queste parole, molte cose sono cambiate, almeno in Occidente, per quel che riguarda la donna.
Eppure, nella fragile emancipazione che la riguarda e nella posizione che oggi ricopre all'interno delle nostre società occidentali, crediamo di poter ancora intravedere i suoi trascorsi di prigionia e idealizzazione, e di sentire quell'assenza durata secoli, dalla storia della cultura di tutta l'umanità.
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