Comunità estranee al controllo della società capitalista globale, conservano maggiore consapevolezza della propria natura sistemica.
tratto da "Oltre il dualismo natura-cultura:
Bateson, Ingold, Descola"; di M. Guerra.
L'uomo e l'ambiente
Una delle grandi ambizioni dell'uomo moderno fu di sottomettere al proprio dominio la natura.
Quello di "conoscere e comprendere" la natura non era uno scopo, ma un mezzo per raggiungere il vero obiettivo: domarla e dominarla.
A metà del XVIII secolo il mondo biologico era attestato su queste posizioni: "una mente suprema stava in cima alla scala e questa mente era la spiegazione di tutte le cose che ne dipendevano".
La gerarchia procedeva dall'alto verso il basso, dall'essere più perfetto al meno, e ogni specie era considerata immutabile.
Fu Lamarck a rovesciare la scala, rovesciando quel tipo di classificazione.
Fu lui ad affermare che essa iniziava dagli infusori e che via via, per mutamenti, si giungeva all'uomo.
Il rovesciamento della scala tassonomica, da lui operato, fu uno degli avvenimenti più strabilianti che siano mai accaduti: fu l'equivalente, in biologia, di quella che era stata in astrologia la rivoluzione copernicana.
Con il ribaltamento della scala tassonomica avvenne anche il ribaltamento delle cause e degli effetti, e ciò che prima serviva per spiegare tutto - la mente divina da cui dipende ogni cosa - si ritrovava ad essere ciò che necessita di essere spiegato: in questo caso non la mente divina ma la mente umana, implicata in un processo biologico evolutivo.
La questione, rimasta in sospeso per centocinquant'anni, riprese durante la seconda guerra mondiale quando si scoprì quale sorta di complessità implicasse la mente; la complessità con cui abbiamo a che fare quando parliamo dell'individuo, della società e del sistema ambientale.
Il biologo e antropologo Gregory Bateson considerava "sistemi autoregolantisi": il processo di civilizzazione, l'umana organizzazione, il comportamento umano e tutti i sistemi biologici.
L'autoregolamentazione che riguarda il meccanismo di questi sistemi tende a conservare qualcosa, quindi tutti i cambiamenti compensativi che avvengono all'interno di un sistema al comparire di una variabile, avvengono con lo scopo di mantenere intatta «la validità di qualche affermazione, quale componente dello status quo».
La dinamicità continua di questi sistemi, mantiene viva la tensione tra competitività e dipendenze reciproche, (caratteristiche anche degli individui che fanno parte di sistemi siffatti); tensione che però viene di solito mantenuta, grazie ai meccanismi di autoregolazione, in una situazione di equilibrio dinamico.
Il movimento incessante che vede interagire le parti interdipendenti di un tutto è indispensabile alla vita di tutti e tutto, poiché «non si può fare a meno di ciascuna delle parti e organi in competizione».
Le scienze hanno invece adottato un atteggiamento ottusamente finalistico e strumentale, ignorando totalmente la natura organica e sistemica che riguarda l'uomo e l'ambiente in cui vive.
Il problema, per quanto riguarda la produzione dei saperi, è che anche la coscienza sembra organizzata in termini finalistici.
È un meccanismo rapido che rende capaci di ottenere in breve quello che si desidera; non per agire con la massima accortezza possibile nel vivere, ma per seguire la traiettoria logica affinché nel più breve tempo possibile venga soddisfatto il nostro prossimo desiderio, che potrebbe essere mangiare, ascoltare una sonata di Beethoven, soddisfare un desiderio sessuale.
Soprattutto, questo desiderio può essere denaro e potere.
Lo stesso Bateson si appella alla necessità di cambiare questa impronta finalista della mente e del sistema culturale umano; quindi, se ritiene possibile un simile cambiamento, non ritiene necessario il finalismo della nostra mente o almeno, non lo ritiene talmente vincolante da essere imprescindibile.
Inoltre, comunità estranee al controllo della società capitalista globale, conservano una maggiore consapevolezza, rispetto a noi, della loro dipendenza dall'equilibrio di un tutto e della propria natura sistemica.
Non tenere conto della natura sistemica del nostro organismo e dell'ambiente di cui facciamo parte ha grosse conseguenze sulla nostra condizione.
Nel periodo della rivoluzione industriale, la più grande catastrofe fu l'enorme aumento dell'arroganza scientifica.
Avevamo scoperto come fare i treni e altre macchine, e l'uomo occidentale si vide come un autocrate dal potere completo su un universo fatto di chimica e di fisica.
I fenomeni biologici alla fine dovevano essere controllati come processi in provetta.
L'evoluzione si riduceva alla storia dell'organismo che aveva imparato più trucchi per controllare l'ambiente e alla storia dell'uomo che aveva trucchi migliori di ogni altra creatura.
Quella arrogante filosofia scientifica è però adesso anacronistica.
In sua vece abbiamo scoperto che l'uomo è soltanto una parte di sistemi più vasti e che la parte non può mai controllare il tutto.
Il progresso scientifico, si è indissolubilmente legato al progresso tecnologico: è l'ultimo che spesso definisce il primo.
Questo slittamento del progresso tecnologico in progresso tout court, è stato portato avanti nel corso di secoli, come prova indiscutibile della superiorità della civiltà occidentale moderna rispetto alle altre.
Questa alta considerazione che l'uomo occidentale ha della tecnologia, deriva dalla concezione dualista che egli nutre nei confronti di ciò che distingue in natura e cultura.
L'uomo occidentale moderno vive in Stati-Nazione che egli considera il risultato razionale di un percorso progressivo di emancipazione dalla natura, in cui tutti gli altri sono rimasti indietro, che siano essi schiavi, indigeni o animali.
La prova dell'emancipazione sta proprio nel progresso tecnologico e nei mezzi che l'uomo occidentale ha escogitato per dominare la natura; e il progresso tecnologico, ricordiamolo, deriva da quel privilegio riservato all'uomo moderno occidentale: la ragione, che dà luogo alla cultura.
La tecnologia è cultura che domina la natura.
E' questo che dà all'uomo bianco, occidentale e moderno, il diritto di possedere il mondo e farne ciò che vuole: il suo potere tecnologico, usato non solo come mezzo per il dominio, ma anche come giustificazione, come prova della propria superiorità culturale rispetto ai popoli rimasti legati allo stato naturale.
Se però si incominciasse ad erodere proprio la solidità di questo dualismo, se si iniziasse a sospettare che i confini tra natura e cultura non sono così netti, forse si potrebbe anche arrivare alla conclusione logica che i saperi dei popoli non occidentali e non moderni possono essere considerati credibili e in alcuni casi addirittura saggi, se si intende con saggezza quella consapevolezza sistemica di cui parlava Gregory Bateson.
L'uomo occidentale non ha più il diritto di chiamare civilizzazione o progresso quel che, chi vive al di fuori dell'allucinazione capitalista, potrebbe definire senza troppi dubbi massacro o schiavitù.
Il pensiero occidentale ha molte cose da riconsiderare, se vuole cessare di essere la macchina da sterminio che è stata fino ad oggi.
Commenti
Posta un commento