Le attuali battaglie ambientali sono strettamente connesse all’ascesa dell’autoritarismo su scala globale.
tratto da «Sul ruolo della giustizia ambientale oggi: una conversazione con Julie Sze»; intervista di S.P. De Rosa.
Imparare dai movimenti per la giustizia ambientale
Come definire le situazioni di pericolo che viviamo quotidianamente, e in che modo l’attivismo ambientale può rivelarsi fondamentale in questo momento storico?
Le attuali battaglie ambientali sono strettamente connesse all’ascesa dell’autoritarismo su scala globale.
Quello che è avvenuto negli Stati Uniti durante la presidenza Trump, ha rappresentato una minaccia non solo per l’ambiente, ma anche per i richiedenti asilo, i migranti, i lavoratori e le donne.
Il modello di potere che Trump portava avanti, il populismo autoritario, è lo stesso che ritroviamo, ad esempio, in Brasile, India e Ungheria.
Questi pericoli sono globali e interconnessi tra loro, ma è oggi possibile osservare come i movimenti di giustizia ambientale stiano, a loro volta, costruendo legami attraverso spazi e questioni differenti.
Sembra un’ovvietà dire che «qualsiasi cosa è connessa ad altre»: le diseguaglianze ambientali e sociali sono intrecciate ai diritti dei lavoratori e al diritto al lavoro, per esempio.
È questa la più potente lezione che possiamo apprendere dai movimenti che lottano per la giustizia ambientale, in particolare dagli attivisti che in America Latina perdono la vita per la difesa delle foreste.
I movimenti che propongono idee di giustizia creano sempre dei legami con altri movimenti e in particolare legami di solidarietà.
Non si possono giudicare i movimenti solo guardando gli effetti che essi hanno in termini di impatto legislativo e istituzionale; essi vanno letti come tentativi di cambiare l’approccio al contesto in cui viviamo nel medio e lungo periodo.
I movimenti offrono una prospettiva interpretativa e creativa, che contribuisce a rendere nuove argomentazioni ed elementi di dibattito disponibili a tutti.
Le proteste che ci sono state a Standing Rock, ad esempio, hanno creato legami di solidarietà, innescati dalla reazione alla violenza contro l’ambiente e a quella operata dalla polizia.
Un altro esempio di connessione tra violenza della polizia e giustizia ambientale, sono i cosiddetti poverty crimes, le morti degli e delle afro-americani/e nelle città statunitensi.
«I can’t breathe» è la frase pronunciata da Eric Garner e da George Floyd.
Sappiamo che George Floyd, si trovava già in una condizione di vulnerabilità quando la polizia lo ha ucciso perché aveva perso il lavoro e aveva contratto il COVID-19.
Il «New York Times» ha affermato che si sarebbero verificati, per mano della polizia, almeno 70 omicidi e in tutti i casi si è trattato di persone in condizione di vulnerabilità; sottolinea, inoltre, che la frase «I can’t breathe» è sia una metafora, sia una realtà di fatto.
L’attivismo e i movimenti per la giustizia ambientale parlano del modo in cui le condizioni di vita effettivamente «ti soffochino»; tali movimenti guardano anche alla dimensione individuale e sociale della giustizia.
Un ginocchio sul collo è sia una forma di violenza individuale, sia una forma di violenza sociale, e non è avulsa dalle lotte delle comunità indigene contro l’economia estrattivista e dalla resilienza delle comunità contro gli eventi climatici estremi.
Ci saranno sempre forze e gruppi sociali che non le sosterranno ma, dopo la morte di Floyd, si sono prodotte un elevato numero di azioni e proteste, proprio perché esse si fondavano su anni di mobilitazione e battaglie della comunità afro-americana.
In molti hanno messo in discussione l’utilità e le risorse allocate alla polizia americana, mentre molti altri servizi sono stati privatizzati e ridotti all’osso.
Nonostante questa reazione dell’opinione pubblica, negli Stati Uniti ci saranno sempre vittime e persone che non prenderanno parte ai movimenti per la giustizia.
La domanda è: come coinvolgere sempre più persone e stimolare un pensiero critico in loro?
La pandemia sta offrendo un punto di partenza privilegiato, per analizzare l’intersezione dei vari livelli di ingiustizia e per provare a immaginare un’alternativa a un contesto così terribile.
La mancanza di un sistema sanitario pubblico, in grado di garantire cure a tutti e tutte e la concomitanza di diverse vulnerabilità, rende i movimenti per la giustizia estremamente rilevanti per un pubblico più ampio.
Proprio ora che lo Stato sta abdicando nel garantire alcuni diritti fondamentali, fuori da ogni intento celebrativo, possiamo dire che la solidarietà dal basso sta riguadagnando terreno e consenso.
Tutte le questioni ambientali, da Standing Rock all’inquinamento da metalli pesanti del sistema idrico del Michigan a Flint, dall’accesso alle risorse idriche nella Central Valley in California all’uragano Katrina – sono ben note negli USA.
Questi sono da un lato momenti di violenza ma anche punti di svolta per elaborare una «radical hope» e risignificare il nostro stato di pericolo.
I social media, a cui i giovani hanno accesso, hanno reso il cambiamento climatico e le ingiustizie ambientali estremamente note.
Esse fanno parte della formazione culturale delle nuove generazioni e del grande pubblico.
Quel che manca, però, sono i dettagli, le connessioni, la storia e il contesto storico, ad esempio, di Standing Rock o di Flint o di Katrina, da una prospettiva di giustizia ambientale.
Katrina nel 2005 ha rappresentato un momento fondamentale per rileggere il contesto attuale e tutti gli uragani che l’hanno seguito.
Ci sono ricostruzioni, sia accademiche, sia scritte da attiviste e attivisti, che devono essere prese in considerazione.
Ad esempio, la Standing Rock Coalition, a cui hanno partecipato comunità indigene e attivisti, ha reso disponibili online migliaia di pagine di testi e informazioni.
Guardare come la questione del cambiamento climatico viene affrontata dalla politica, basterebbe per perdere definitivamente la speranza; al contrario, bisogna guardare al sentimento di speranza nel contesto delle battaglie ambientali e delle lotte.
Nutrire una speranza radicale – che non sia ingenua o romantica – è molto importante, specialmente quando si è impegnate o impegnati in prima persona e quando si lavora con comunità indigene, minoranze e gruppi etnici.
La radicalità della loro speranza affonda le radici nel passato e guarda al futuro.
Fuori dai movimenti esiste la disillusione, e questa è un privilegio che possono permettersi solo le élite.
Il sentimento di disperazione è davvero rischioso, perché esso risponde alla volontà politica di spegnere l’azione, mentre il privilegio della speranza è essenziale per l’azione.
Per le popolazioni indigene e i discendenti dei gruppi schiavizzati negli Stati Uniti, sopravvivere è sempre un atto politico.
In Brasile, per Bolsonaro, ad esempio, sarebbe perfetto se le popolazioni indigene non esistessero perchè ciò permetterebbe al capitalismo di prosperare senza ostacoli.
L’idea di sopravvivenza come resistenza è molto importante nella tradizione indigena ed è una affermazione tutt’altro che romantica.
Non si cade nella retorica romantica quando si afferma che Standing Rock ha intentato una causa e ha rifiutato i soldi che venivano offerti per la terra, per riaffermare come essa non abbia un valore esclusivamente economico.
Questa scelta politica e ideologica è incredibilmente rilevante, perchè permette di non ridurre il mondo allo spazio del capitalismo e permette di riconoscere altri valori, oltre a quello del mercato.
Ci sono molti modi per determinare la creazione culturale e abbiamo molti esempi di tale produzione – la poesia, la narrativa, i film; tuttavia c’è stata anche una cultura che potremmo definire più radicale e pubblicistica.
Questo ultimo punto si lega all’aspetto generazionale, alla produzione di informazioni e alla diffusione di conoscenza attraverso i social media o le immagini.
Ovviamente l’attivismo non può esprimersi solo attraverso Instagram, ma la cultura visuale passa attraverso i social.
Per esempio, una associazione statunitense chiamata Movement Generation, costituitasi a seguito dell’uragano Katrina, attraverso messaggi e formati brevi parla di cambiamento climatico, gentrificazione, incendi boschivi incontrollati.
Ogni intervento dura al massimo sette minuti.
Le forme di produzione culturale più innovative sono specifiche delle generazioni più giovani e con un alto grado di alfabetizzazione tecnologica.
Questo è un buon esempio di come avviene oggi la costruzione della cultura e di come i problemi, come quello relativo al cambiamento climatico, vengano presentati al pubblico attraverso video di 30 secondi o con brevi episodi della durata di sette minuti.
Pur non dovendo ridurre il tutto a un’analisi generazionale, vale la pena di ricordare che la generazione più giovane ha vissuto soltanto politiche di austerità, contrazione dello stato sociale e neoliberalismo.
Comprendere la relazione tra tecnologia e politica oggi è fondamentale.
I movimenti per la giustizia ambientale hanno svolto da sempre il ruolo di connettori tra problemi, gruppi, luoghi e scale diverse, da quella locale a quella sovranazionale.
Con particolare riferimento alle strategia di adattamento, i movimenti per la giustizia ambientale possono indicare la direzione della cosiddetta «Just Transition», una transizione ecologica che si fonda anche sulla mitigazione delle disuguaglianze sociali.
Oggi i/le giovani pressano le istituzioni in modi inimmaginabili solo pochi anni fa; le giovani generazioni non vogliono più tacere di fronte alle ingiustizie.
Pensare ai movimenti per la giustizia in senso complessivo e non frazionandoli, è molto importante.
I movimenti per la giustizia razziale, di genere, ambientale, riproduttiva, per la salute, hanno sempre resistito alla parcellizzazione e alla separazione, hanno sempre portato avanti istanze comuni e valide per tutti i gruppi vulnerabili.
Il momento storico in cui viviamo ci sta mostrando, in modo estremamente chiaro, quanto tutto sia profondamente interconnesso.
È più che mai urgente politicizzare il concetto di sostenibilitá, andare oltre una sua comprensione non conflittuale, e cercare vie per una trasformazione radicale delle nostre societá.
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