tratto da "L'interculturalismo, per uscire dai ghetti culturali"; di A. Guigoni.
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Multiculturalismo e interculturalità
È auspicabile che in una società multietnica e multiculturale prevalgano atteggiamenti e comportamenti di conoscenza e scambio reciproco, di ibridazione e mescolamento.
Esasperando un po' le differenze tra i due concetti, il termine multiculturalismo descriverebbe fenomeni legati alla "giustapposizione di culture diverse", come ad esempio nei diversi quartieri di una metropoli i cui abitanti, a seconda dell'etnia, occupano uno spazio diverso e quindi difficilmente "si incontrano" e dialogano.
Col termine interculturalismo intenderemmo invece, riprendendo l'esempio precedente, una metropoli in cui tutte le etnie, con le loro culture, condividono gli stessi spazi comunicando, discutendo e dialogando.
L'interculturalismo è una teoria e una prassi di grande rilievo.
Sicuramente la pratica interculturale, da quanto si è detto, risulta più difficile e complessa, perché esige che noi abitanti della metropoli, "incontriamo l'altro" e ragioniamo con lui, mediamo tra la nostra cultura e la sua, costruendo una "sintesi di culture" spesso diversa dalle culture di origine.
Nella pratica interculturale occorre essere capaci di "relativizzare" la propria cultura, superando l'etnocentrismo, ossia il sentimento di chi considera la propria cultura, con le sue proprie caratteristiche e soprattutto valori, "al di sopra" di altre culture.
Per iniziare un dialogo interculturale occorre liberarsi dei propri pregiudizi e dagli stereotipi ad essi collegati.
Non è una impresa facile perché ciascuno di noi ha un' identità etnica e culturale forte, per cui spesso diamo per scontato che il nostro modo di vivere e di pensare sia "naturale", condivisibile e universalmente giusto (talvolta pensiamo anche che sia l'unico possibile).
L'identità è un'arma a doppio taglio: da un lato, come un paio di occhiali, ci dà una "visione" particolare del mondo, aiutandoci a interpretarlo più facilmente e semplicemente, ponendoci ben pochi dubbi e dandoci così l'illusione di controllare e comprendere la complessità e le contraddizioni del mondo moderno.
D'altro canto questo "paio di occhiali" ci impedisce di comprendere le ragioni degli altri, fino a diventare una pesante maschera che ci conduce spesso all'intolleranza, all'etnocentrismo e al razzismo, sino alle estreme conseguenze.
Molta critica all'essenzialismo si muove su questo solco.
L'essenzialismo infatti mira a considerare l'identità culturale di un uomo come fissata e data per sempre, mentre semmai è il risultato di un continuo processo di costruzione sociale e politica, dato che la cultura è anch'essa in perenne evoluzione e trasformazione.
Naturalmente non si intende banalizzare il multiculturalismo, il quale è ben più della coesistenza di più culture in un Paese, implica progettualità, lungimiranza politica e una grande capacità di scelte equilibrate e coraggiose da parte dei governi nazionali e locali.
Certo esistono molti tipi di multiculturalismo, con gradazioni diverse; Marco Martiniello ne dà tre definizioni interessanti: multiculturalismo soft, hard e di mercato.
1)Il multiculturalismo soft: riguarda l'attenzione e l'amore verso le cose esotiche, portate nelle grandi città dagli immigrati, siano essi abiti, profumi o musica, cibi e stili di vita; naturalmente, si tratta di un multiculturalismo easy, in quanto sembra piuttosto facile accettare o comprendere la bontà di un piatto di sushi o di gulash, o un tamales, piuttosto che il chador o l'escissione o altre pratiche notoriamente oggetto di dibattiti serrati nel mondo occidentale.
2)Il multiculturalismo hard: rimette in questione la concezione classica dell'identità nazionale, mentre trascende il superficiale pluralismo insito nel multiculturalismo soft; nei casi estremi del multiculturalismo hard, si arriverebbe a prevedere diversi diritti e diversi doveri a seconda dell'etnia in questione, mettendo in forse la tradizionale uguaglianza di tutti davanti alla legge.
3)Il multiculturalismo di mercato, che si basa sul meccanismo domanda-offerta: per esempio nelle zone degli Stati Uniti, abitate da consistenti minoranze ispano-americane, sono apparse delle emittenti televisive in lingua spagnola; queste ed altre pratiche scaturiscono da un semplice calcolo economico che mira ad ottimizzare i vantaggi della multiculturalità.
Il multiculturalismo è soggetto a pericoli e rischi di degenerazione e perciò non si può dirne né bene né male in linea di principio, ma solo esaminando i casi reali e le sue applicazioni.
La soluzione ai dilemmi del multiculturalismo potrebbe consistere in una fusione tra esigenze di diritti collettivi e individuali, in modo da uscire dai "ghetti culturali" e intervenire nella realtà, a livello di filosofia politica, interventi pubblici e pratiche sociali.
Diritti e doveri uguali per tutti, ma anche riconoscimento delle diversità e flessibilità di intervento sociale e politico.
L'interculturalismo conduce a cercare regole, diritti e doveri validi per tutte le culture, a cui ogni individuo possa appellarsi e che ognuno debba rispettare.
L'interculturalista non va confuso con chi pratica la politica assimilazionista, semmai cerca un terreno comune di incontro e di dialogo, e una cultura che sia il prodotto delle culture di partenza.
Secondo Clifford Geertz gli atteggiamenti delle persone di fronte alla differenza di altri soggetti (etnica, culturale, sociale ecc.) sono raccolti sotto tre etichette: forza, tolleranza e ambiguità.
1) L'uso della forza per assicurare la conformità ai valori di coloro che possiedono la forza.
2) Una vacua tolleranza che non cambia nulla poiché non affronta nulla.
3) Un continuo dribblare che conduce ad un esito ambiguo.
Nei fatti paternalismo, indifferenza e arroganza; pratiche tra le più comuni nell'affrontare le differenze.
Al giorno d'oggi l'alterità, in virtù di mass media, nuove tecnologie, globalizzazione e new economy, è sempre più vicina e sempre meno gestibile, perché è venuta a mancare quella "distanza" (spaziale, temporale, socioculturale) che ne rendeva lo studio, in un certo senso, più semplice.
Nel caso di teorizzazioni estreme del multiculturalismo, le culture e le identità culturali vengono considerate come date, fissate una volta per sempre, non suscettibili di mutamento.
L'attenzione rivolta agli aspetti dinamici e alle possibilità positive di intervento e di trasformazione sociale, in una realtà culturalmente composita, hanno portato a preferire da parte di alcuni il concetto di "interculturale" anziché multiculturale.
Secondo tale orientamento, quest'ultimo termine suggerisce una situazione statica e priva di incontri reciprocamente fertili, di "semplice convivenza" tra gruppi di diversa origine; l'interculturalità indicherebbe invece "conoscenza e scambi reciproci", con conseguente arricchimento culturale sia dei singoli gruppi sia della società in generale.
Alcune forme di multiculturalismo infatti si richiamano a concezioni naturalistiche e essenzialistiche della cultura e dell'identità: un individuo sarebbe sempre immerso in una sola cultura e possiederebbe una sola identità culturale.
Molti multiculturalisti concepiscono un universo sociale chiaramente e nettamente diviso in culture coerenti e distinte, di cui sono portatori gruppi sociali di forte omogeneità interna.
Si suppone che questi gruppi, denominati minoranze etniche, gruppi etnici, comunità culturali ecc., vivano insieme con una difficoltà tanto maggiore quanto più sensibile è la differenza, la distanza culturale che li divide.
Il pensiero di Jean Loup Amselle ribalta questo punto di vista: proclamando l'universalità delle culture e la forza delle connessioni secolari tra culture diverse, l'antropologo "provoca" coloro che vivono la congiuntura attuale come uno "scontro tra culture irriducibilmente diverse", tra monoliti inconciliabili e incomunicabili.
La dialettica tra locale e globale viene sciolta attraverso l'affermazione secondo cui: "Il locale è parte del globale e non il suo antagonista"; il locale è fatto della stessa sostanza del globale.
In questo modo resistenze e fondamentalismi verrebbero a mancare dei propri pilastri teorici (come l'opposizione radicale tra mondo globalizzato e "civiltà pure e incontaminate").
Amselle svela l'esistenza di connessioni e ci guida attraverso i nodi della rete (network), indicando la trama complessiva che le culture formano.
La "connessione" amselliana si può ascrivere nell'attuale tendenza a considerare i fenomeni sociali descrivibili come reti, formate da nodi di significati, segni, simboli e attori sociali.
Amselle parte dalla constatazione che in realtà, le identità etniche sono in perpetua costruzione, prodotti storici, mentre una certa antropologia le ha considerate e le considera oggetti finiti, chiusi o monolitici.
In Italia da Francesco Remotti in "Contro l'identità", a Ugo Fabietti, molti antropologi sostengono che l'identità sia costruita e manipolata dal singolo come dai gruppi, a seconda delle situazioni e delle relazioni.
Questa constatazione dovrebbe condurre a ridimensionare le spinte identitarie, attraverso cui alcune culture rivendicano differenze assolute, incolmabili e insanabili col resto del mondo; nella consapevolezza che queste identità, "perfettamente chiuse e autonome" sono solo costruzioni, finzioni...
In conclusione sembra di poter auspicare "pratiche ibridanti che conducano alla commistione di elementi locali e globali", in opposizione ai "ghetti culturali", luoghi di sicuro mantenimento delle differenze ma anche delle divergenze e delle incomprensioni, destinate a fomentare vecchi e nuovi odi etnici e culturali.
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