Oikeios: smettere di concepire un mondo sociale separato da quello naturale, per parlare di "civiltà-nella-natura".
tratto da "Il rapporto tra crisi capitalistica e natura nell'eco-marxismo statunitense"; di P. Missiroli.
Tentiamo in via preliminare, al fine di garantire una piena comprensione delle tesi dello storico americano Jason Moore, di ricostruire per capi sommari l’argomentazione di Giovanni Arrighi.
Per lo storico milanese la storia del capitalismo è storia di cicli di accumulazione; ogni ciclo è da intendersi come un periodo di tempo, più o meno lungo, nel corso del quale una potenza territoriale (coincidente con una formazione economico politica in generale, identificabile con uno Stato o con una città-Stato) guida l’accumulazione di ricchezza a livello mondiale, risultando essere il centro economico e finanziario del sistema mondo, strutturando il mondo stesso in un "centro ed in una periferia".
Questi cicli hanno un inizio che coincide con l’assurgere di una potenza al ruolo di guida dell’accumulazione materiale di ricchezza.
Ha quindi luogo un periodo di crescita materiale della ricchezza mondiale e di allargamento del sistema capitalistico; successivamente, a causa di questa medesima crescita e dello sviluppo eccessivo della concorrenza, che diviene talmente aspra da ridurre i tassi di profitto, si ha un periodo di finanziarizzazione dell’economia mondiale.
Infatti, gli investitori e i detentori di capitale, spostano le loro risorse dove più gli conviene: il trasferimento di capitale da ricchezza materiale (industrie, filoni produttivi etc.) a ricchezza finanziaria è dunque una "costante" dei cicli di accumulazione del sistema mondo capitalistico, e non un originale processo in corso oggi per la prima volta.
Arrighi identifica quattro cicli di accumulazione: uno a guida genovese, uno a guida olandese, uno a guida britannica e l’ultimo, a guida statunitense, entrato ormai nella sua fase terminale.
Per Arrighi, i cicli di accumulazione terminano sempre con delle crisi, nel corso delle quali si struttura una nuova potenza egemonica che si affianca alla vecchia; al termine di questa crisi ha luogo una sostituzione di potenze e l’inizio di un nuovo ciclo di accumulazione.
Moore, aggiungendo tasselli fondamentali a quest'analisi, sostiene che ogni ciclo di accumulazione, per poter avere luogo, richiede che i seguenti "quattro elementi siano a buon mercato", cioè siano facilmente ottenibili ad un basso costo: si tratta di lavoro (e su questo l'impostazione marxiana dell'accumulazione originaria è evidente), cibo, energia e materie prime.
In effetti, sostenere che per far partire un ciclo di accumulazione (la ragion d'essere del modo di produzione capitalistico) è necessario che vi sia un mondo naturale sfruttabile a basso costo, significa sostenere che il capitalismo non ha un regime ecologico, ma "è" un regime ecologico.
In questo senso, secondo Moore, ogni ciclo di accumulazione si fonda sulla scoperta e la messa a valore di nuove nature, consistenti in cibo, energia e materia prime, a basso costo.
Queste nuove fonti di risorse a buon mercato sono ottenibili storicamente in svariati modi: il lungo XVI secolo, che Moore identifica nel periodo che va dalla metà del XVI secolo alla metà del XVIII, viene a coincidere, secondo lo storico americano, con l'inizio di un capitalismo che si costituisce come ecologia-mondo, cioè come forma di controllo e sfruttamento di una natura ormai vista e trattata come risorsa.
Naturalmente, sostiene Moore, tutto questo deve essere fatto combaciare, da un punto di vista analitico, anche con l' alta disponibilità a basso costo delle altre condizioni, tra cui fondamentale risulta quella del lavoro.
Quando si verifica una ricostruzione del mondo da parte del capitale, che rende di nuovo accessibili questi elementi fondamentali, secondo pratiche e discorsi, utilizzando in maniere diverse la tecnologia a disposizione, ecco che può cominciare un altro ciclo di accumulazione.
Si tratta quindi, ad ogni ciclo, di riscoprire il mondo naturale in modo da poter ristrutturare la produzione intorno ad elementi a basso contenuto di valore, il che significa, in termini marxiani, che richiedano poco capitale fisso e poco lavoro per essere sfruttati e resi operativi.
Il capitale dunque, inteso come relazione sociale, non solo si fonda sull'esistenza di una natura a buon mercato, ma la ricrea costantemente, a partire dalle difficoltà che incontra nella crisi, che è quindi sempre anche crisi dovuta all'eccessivo costo di energia, cibo, materie prime.
Non vi è alcun ciclo di accumulazione che non sia stato anticipato da una rivoluzione agricola.
L' Oikeios
A partire da queste considerazioni Moore ritiene che sia necessario cessare di essere dualisti, parlando di natura e società, ma sostiene convenga piuttosto riferirsi all'oikeios, come unica dimensione ontologica all'interno della quale, e non sopra di essa, si strutturano tutte le società umane, compresa quella moderna, e tutti i sistemi economici, compreso il capitalismo.
Si tratta di smettere di concepire un mondo sociale separato da quello naturale e, al limite, di smettere di parlare di civiltà per parlare di civiltà-nella-natura.
Moore mostra inoltre come questa stessa divisione natura-cultura non sia servita solo allo sfruttamento dei non-umani, ma anche degli stessi umani.
Questa distinzione [quella tra Natura e Società] fu fondamentale per la crescita del capitalismo.
Essa permise alla natura di divenire Natura (ambiente senza Umani); si noti la U maiuscola: la Natura era colma di umani trattati come Natura.
Cosa ha significato questo?
Che la rete della vita poté essere ridotta ad una serie di oggetti esterni.
L'accumulazione mediante appropriazione consiste, infatti, in una serie di processi attraverso i quali il capitale mette l'oikeios al lavoro.
Sempre seguendo la prospettiva di Arrighi e Wallerstein, Moore sostiene che oggi ci troviamo in una situazione di crisi dell'ecologia-mondo.
In effetti, secondo lo storico americano la nostra attuale condizione presente è quella di una crisi dell'accumulazione dovuta alla fine della natura a buon mercato, cioè all'eccessivo contenuto in termini di valore, ad esempio, del cibo, di cui Moore rintraccia l'aumento dei prezzi negli ultimi anni.
Qui bisogna sottolineare come il punto di vista con cui Moore analizza la questione del cibo, ad esempio, non è quella della presenza di abbastanza risorse alimentari in generale, o meglio, per usare una terminologia marxiana, del valore d'uso.
Moore non sostiene che vi sia poco cibo per sfamare gli esseri umani.
Egli sta parlando, piuttosto, dalla prospettiva del valore di scambio, che è l'unica che interessa al capitale.
Egli non vede una scarsità assoluta di cibo, ma un eccessivo costo nella produzione dello stesso.
Questo genera, tra le altre cose, la crisi capitalistica.
La stessa cosa si sta verificando, sostiene Moore, per il petrolio, vero e proprio miracolo per il capitalismo del XX secolo guidato dagli Stati Uniti, che ormai non è più a basso costo (questo, come per il cibo, non significa affatto che Moore sostenga che sia terminato).
Il periodo attuale, sostiene Moore, viene dopo la fine di un ciclo di accumulazione, partito negli anni '50 attraverso la rivoluzione verde (che incrementò la produttività dell' agricoltura a tal punto da rendere di nuovo a buon mercato - dopo la stagnazione degli anni '20 - il cibo) e la scoperta del petrolio come fonte primaria di energia.
In pratica con la costituzione di una nuova natura, e rinnovatosi in parte grazie alla rivoluzione neoliberista, che, abbassando il costo del lavoro mediante la lotta ai diritti sindacali in tutto il mondo e lo sviluppo rapido di nuove tecnologie (tra cui spicca quella bio-ingegneristica per quanto riguarda il cibo e nuove forme di estrazione petrolifera) ha riabbassato il costo delle materie prime, del cibo e dell'energia oltre che del lavoro.
Questo però non è bastato: le rendite della bio-ingegneria non hanno portato a quella rivoluzione della produttività che molti si aspettavano ed il costo dell'estrazione di valore dalla natura è continuamente aumentato.
Il periodo in cui ci troviamo è dunque un periodo di oggettiva stagnazione della produttività.
La prospettiva neo-liberista, che si fonda su un'oggettiva diffidenza nei confronti di investimenti produttivi e in ricerca tecnologica (centrale nella prospettiva di Moore per aprire nuove strade appropriative al capitale) complica ancora di più la situazione, mantenendola nella stagnazione.
Questa dinamica, esattamente come la crisi di cui parla Arrighi, non è nuova.
Al contrario, tipico dell'ecologia-mondo, come dell'economia-mondo di Arrighi, è la ciclicità della crisi.
Essa, per Moore, è dovuta sostanzialmente alla logica predatoria del capitale che non è in grado, anche perché costerebbe troppo, di riprodurre ciò di cui si appropria, degradando il suolo, distruggendo foreste, inquinando l'ambiente.
Se l'appropriazione, ad esempio, dell'olio di balena, strutturale nel sistema energetico della seconda metà del XVIII secolo, era relativamente a basso prezzo a causa dell'enorme numero di cetacei che si aggiravano nel Nord Atlantico, dopo pochi decenni questa attività divenne estremamente costosa a causa della quasi-estinzione delle specie più facili da catturare.
Non solo, ma questo fu anche uno dei motivi per cui la scoperta dell'energia elettrica e del carbone rappresentarono una novità fondamentale per lo sviluppo di un nuovo ciclo di accumulazione, quello del lungo XIX secolo.
La degradazione del suolo portata dall'agricoltura intensiva degli ultimi decenni, unita alla distruttività del cambiamento climatico, costituisce non tanto una minaccia per il pianeta quanto, nell'ottica di Moore, per il capitalismo stesso.
Perché è proprio il capitalismo in quanto sistema a necessitare di una natura inerte e passibile di sfruttamento, per poter esistere e potersi così inserire nella rete della vita.
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