L’opposizione tra grande impresa/profitto e artigianalità/sostentamento, è molto evidente nel settore della pesca.
tratto da "Il sovra-sfruttamento di mari, oceani e delle loro risorse: dalla pesca
industriale ad una gestione sostenibile
di ambiente marino e risorse ittiche";
di S. Cervellino.
Gli ambienti idrici nella loro complessità, come quelli marittimi e costieri, fluviali o lacustri, sono una ricca e preziosa fonte di vita ed approvvigionamento, comunicazione e trasporto, dalle quali l’essere umano è sempre stato dipendente.
Hanno permesso di far fiorire le società dai tempi più antichi: le prime grandi civiltà, nate e distribuite in diversi continenti, sono sempre sorte nei pressi di grandi fiumi circondati da terreni fertili, che rappresentavano una ricca fonte di approvvigionamento, un mezzo per la navigazione, per arrivare ai grandi mari e quindi esplorare altri territori, per sviluppare scambi commerciali.
Al contrario, zone desertiche e lontane da ogni tipologia di fonti idriche rimangono zone inospitali e avverse, dove l’uomo difficilmente trova le giuste condizioni per stabilirsi e far fiorire la sua società.
Dunque sembra ovvio poter affermate che l’acqua è vita, dalla pura essenzialità alla realtà più complessa, e proiettando il ruolo fondamentale di questo elemento naturale, valutandone l’importanza per la società odierna, è possibile stabilire che l’instancabile dinamismo e l’abbondanza della grande varietà di risorse ad essa correlata, rappresentano "estimabili" componenti le quali si traducono in opportunità di mercato, commercio e profitti.
Tutte le risorse naturali delle quali disponiamo, comprese le risorse degli ambienti marittimi e costieri, sono state a lungo utilizzate come fossero risorse illimitate, senza particolari precauzioni o scrupoli, ed oggi è ormai innegabile quanto esse siano vittime del più smodato consumo che l’uomo ne abbia fatto.
Sin dall’esistenza del genere umano ed indicativamente con un particolare picco in salita, a partire dalla prima rivoluzione industriale, con un ritmo sempre in crescendo, la maniera in cui sono stati sfruttati l’ambiente e le sue risorse ha portato catastrofici risvolti.
L'estinzione di molte specie animali e l'alto rischio di un simile destino per molte altre, i livelli di inquinamento e contaminazione ambientale di ogni tipologia, hanno compromesso irrevocabilmente il mondo in cui viviamo, rendendo persino concreta la minaccia alla nostra esistenza.
Sebbene gli effetti disastrosi di determinati utilizzi ed attività umane siano ben visibili su terra ferma, quanto accade in acque dolci, mari ed oceani è ben meno evidente.
La generale consapevolezza, alquanto più debole rispetto a quella sulle tematiche terrestri, non dimostra affatto che l’impatto negativo sia meno importante per quanto riguarda gli ambienti idrici e le risorse a loro correlate.
La conoscenza di rischi e danni legati all’ambiente del mare e degli oceani è dunque altrettanto complessa.
Ambienti così grandi, sembrano offrire ricchezze illimitate e sembrano avere una forza inarrestabile per rigenerarsi continuamente, senza accusare nessun tipo di uso che se ne faccia.
Eppure, chiaramente non è così.
Il panorama internazionale parla largamente del fenomeno del Grabbing, il quale occorre in tutti gli ambienti, di Water e Land.
In situazioni relative a mari, oceani e zone costiere, diventa più precisamente quello di Ocean Grabbing, argomento questo, che ha osservato uno sviluppo molto più recente rispetto a quello della categoria generale.
Secondo la definizione, in un caso di Ocean Grabbing, si trovano da una parte le comunità locali, la cui vita ed economia si basa essenzialmente sull’ecosistema marino e l’uso delle sue risorse a livello artigianale, mentre dall’altra parte, a loro antagoniste, grandi potenze economiche o grandi industrie e multinazionali, di evidente influenza politica, le quali si appropriano di questi ambienti e risorse, curando i loro interessi e profitti milionari.
La pesca di sussistenza e qualsiasi altra tipologia di uso di coste e mare vengono proibite, per lasciar spazio allo sviluppo dell’industria turistica, ed infine quelle stesse aree diventano, da zone di proprietà comune e condivisa, proprietà private e controllate solamente dai nuovi investitori.
Tutte le persone mobilitate dalle loro zone residenziali, si ritrovano ad essere basicamente degli esclusi, costretti senza scelta a spostarsi in altre località e trovare alternative diverse per vivere.
Molti non riescono a trovare alcuna occupazione nel crescente settore del turismo, perché gestito interamente da membri della classe politica e militare che invece godono di doppie remunerazioni, sia per le loro professioni d’origine sia per le entrate che gli forniscono le strutture ricettive.
Gli attori coinvolti, sono facilmente individuabili: da una parte la popolazione di pescatori delle coste e dall’altra, a giocare la partita, entità politiche, militari ed economiche tanto forti ed influenti da abusare del loro potere, prendendo decisioni non curanti di nulla se non dei loro proficui interessi.
Conversione alla sostenibilità del mare a livello globale: un generale cambiamento di direzione.
Un utilizzo del mare, degli oceani e delle loro risorse alieutiche che sia sostenibile, consiste nel tentativo di condurne un utilizzo che riduca tutte le tipologie di inquinamento marino, come la dispersione di elementi chimici e di rifiuti industriali di vario genere, e che punti i riflettori sulle comunità locali, garantendo loro un accesso equo alle risorse del mare.
Per far si che diminuiscano, e non si verifichino ancora, situazioni di emarginazione e violazione di diritti umani legati all’impossibilità di utilizzo delle risorse marine, è opportuno promuovere la conservazione di specie ed ecosistemi marini in pericolo e a rischio estinzione.
Per garantire la continuità dell’equilibrio ecosistemico, è necessario regolare in modo efficace la pesca e porre termine alla pesca eccessiva, illegale, non dichiarata e non regolamentata e ai metodi di pesca distruttivi, implementando piani di gestione su base scientifica tali da ripristinare nel minor tempo possibile le riserve ittiche, come determinato dalle loro caratteristiche biologiche.
Un comportamento sostenibile per le aziende ittiche dovrebbe consistere nel rimanere fedele al concetto del "non sovra-sfruttamento", cambiando strategia e non puntando al mero scopo del profitto e della lotta alla competitività sul mercato, ma approcciando il mare e le sue risorse in modo da garantire la fruibilità di tali risorse per tutta la comunità e le generazioni future; non contribuendo all’estinzione delle specie ittiche e alla desertificazione dell’ecosistema marino, ma anzi essendo fautrici della sua protezione e conservazione.
La tracciabilità è uno strumento di notevole potere ed influenza, che potrebbe dirigere in effetti l’andamento del mercato in maniera notevole.
Per diversi aspetti, l’impegno di lavorare per garantire una lineare tracciabilità al prodotto, è un aspetto che potrebbe avere un importante impatto per quanto riguarda la sostenibilità della produzione del prodotto ittico, portando entrambe le categorie di produttori e consumatori ad assumere un atteggiamento attivo per la questione.
Tra i diversi contributi alla sostenibilità che offre il lavoro della tracciabilità del prodotto ittico, ci sono l’individuazione e dunque la battaglia alla pesca illegale, in tutte le sue forme.
L’educazione e la partecipazione cittadina e sociale alla sostenibilità.
Se si immagina un mercato basato principalmente sulla richiesta di prodotto ittico locale/regionale, ci si potrebbe di conseguenza aspettare un incremento positivo di introiti del settore ittico nazionale, e quindi maggior flusso monetario, crescente quantità di impiego, maggior sicurezza economica e benessere totale del Paese.
Il tema del prodotto a chilometro zero, è supportato per numerosissime ragioni, ed in generale per il suo alto contributo alla sostenibilità del prodotto, del lavoro e dell’economia locale.
Sebbene non ogni località nel mondo sia in grado di produrre quantità di prodotti alimentari in grado di soddisfare i bisogni della popolazione, questo non è il caso dell’Italia, che invece, date le fortunate circostanze naturalistiche ed ambientali del suo territorio, sarebbe in grado di produrre alimenti diversificati, che garantiscano una dieta sufficiente, variegata e sana per tutto il suo popolo.
Favorendo il consumo dei prodotti locali dunque, non solo si potrebbe garantire già il fabbisogno di cibo nazionale, ma inoltre si contribuirebbe in maniera significativa al benessere dei lavoratori del settore e del Paese.
Un altro aspetto sul quale si farebbe davvero la differenza, sarebbe poi quello dell’inquinamento atmosferico prodotto per il trasporto degli alimenti importati nel nostro Paese.
In effetti sarebbe risparmiato tutto il carburante per i trasporti stradali, navali ed aerei dei prodotti, il cui impiego è poi responsabile della produzione di CO2 che viene rilasciata in atmosfera, con relativo contributo al riscaldamento globale.
Probabilmente, sebbene il grande impegno di organizzazioni internazionali dedite alla sensibilizzazione della coscienza globale, civile e politico-governativa a tali temi, quella della gestione integrata degli ambienti marini, e dunque la progettazione ma soprattutto l’implementazione di programmi in grado di raggiungere successi ed obiettivi prefissati, non è che un’epoca agli esordi.
Una visione che continuerà ad evolversi e con grande esigenza dello stato di sfruttamento di ambienti e risorse, riuscirà a invertire il senso di marcia tipico delle attività antropiche, che si sono direzionate verso il mero profitto come principio fondamentale...sopra ogni cosa, troppo a lungo.
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