Coltivare e consumare il cibo, come sono stati abituati a fare i paesi industrializzati dalla Seconda Guerra Mondiale in poi, non è più possibile.

tratto da "Le reti alternative del cibo dopo la crisi del 2008"; di G. Orlando.


Con il termine “regime alimentare" (food regime), si indica il ruolo chiave che il cibo ha svolto, dal XIX secolo in poi, nel garantire la stabilità dell’accumulazione capitalistica su scala mondiale.

Questo ruolo si è manifestato storicamente sotto forma di tre regimi specifici:
1) il regime coloniale (ca.1870-1929), formatosi in conseguenza della rivoluzione industriale, che attraverso l’importazione di cereali, carne e prodotti tropicali come tè, caffè e zucchero dalle colonie del Sud del mondo nutrì le nascenti classi operaie in Europa;
2) il regime industriale (ca.1945-1979)che, basato sull’agricoltura intensiva del Nord finalizzata all'esportazione di cereali (grano, riso, mais) a tariffe sovvenzionate verso le ex-colonie del Sud, consenti' la parziale industrializzazione di queste ultime assicurando nuovi mercati ai capitali euro-americani; 
3) il regime corporate (ca.1991 - oggi), 
che fa affidamento su una divisione globale del lavoro che obbliga i poveri del mondo a nutrire i ricchi, sia nelle nazioni capitaliste più avanzate sia nelle economie emergenti del Sud, attraverso un sistema di commercio – quello dei supermercati che garantiscono il rifornimento degli scaffali 
24 ore su 24, 7 giorni su 7 – che ha rivoluzionato l’approvvigionamento alimentare.

In quest'ultimo regime, il capitale finanziario acquista un’importanza sempre maggiore, in parte grazie al ruolo svolto dalle catene commerciali multinazionali; ma per quanto i regimi del cibo garantiscano periodi stabili di accumulazione capitalista, le tensioni fanno sempre parte del sistema. 

I periodi di transizione sono importanti tanto quanto quelli di stabilità, perché l’accettazione o la contestazione delle “regole del gioco” rappresenta un fattore chiave di (in)stabilità; due ambiti, in particolare, sono caratteristici delle contestazioni verso il regime corporate: 
1) la sovranità alimentare;
2) la sostenibilità ambientale. 

Dagli anni ’70 in poi, i movimenti sociali hanno assunto un’importanza fondamentale nella definizione di questi due ambiti, importanza che è aumentata durante l’epoca della globalizzazione e del Washington consensus.

Il regime attuale si fonda, infatti, sui cosiddetti “imperi del cibo”, costruiti spingendo un modello di economia maggiormente disembedded (scorporata dalla società) in cui la terra e il lavoro, necessari per portare il cibo dal campo alla tavola, sono sempre più soggetti all’autoregolazione dei mercati. 
Dalla parte opposta della barricata, agricoltori e imprenditori, politici e comuni cittadini hanno unito le forze, per contrastare questa mercificazione – che prende la forma di costi più elevati e prezzi più bassi per gli agricoltori.

Gli allarmi per la sicurezza e le condizioni sanitarie degli alimenti per i consumatori, unitamente ad un ambiente inquinato praticamente per tutti, hanno fatto emergere Reti Alternative del Cibo ispirate a valori diversi da quelli del mercato.

Le Reti Alternative del Cibo (RAC)

Negli ultimi trent’anni, le reti alternative del cibo (RAC) sono emerse dalle contraddizioni che hanno segnato la fine del secondo regime alimentare, quello industriale. 

Le RAC comprendono una grande varietà di fenomeni: dai mercati contadini ai gruppi d’acquisto solidale, dagli spacci delle aziende agricole al commercio equo e solidale, dall’agricoltura supportata dalle comunità alle aziende del web che consegnano cibo locale a domicilio, e molto altro ancora...

A livello generale, le RAC si possono considerare come "un tentativo di far sì che la creazione di valore nel sistema cibo avvenga con maggiore protezione sociale e ambientale".

Storicamente, il processo di scorporamento dei mercati agroalimentari è stato causato da tre fattori che influenzano la creazione di valore: 
1) la distanza sociale tra agricoltori e consumatori;
2) la durata degli alimenti prodotti industrialmente;
3) la costruzione culturale del cibo come merce.

Favorendo scambi con un numero minore d’intermediari, dalle transazioni face to face a quelle spazialmente estese, le RAC cercano di reincorporare il cibo all’interno della società.

Promuovendo quelli che ritengono essere metodi di produzione meno intensivi (come quello biologico), esse cercano di reinserire il cibo nella natura.

Infine, svelando le conseguenze negative dell’ossessione del mondo moderno per i prezzi bassi e la convenienza, queste reti tentano di modificare la rappresentazione del cibo come merce.

Diversi tipi di RAC affrontano ciascuno dei tre fattori di creazione del valore in modi differenti.

Nella pratica, sono emerse due tendenze generali, basate sull’importanza relativa attribuita a due elementi: il tipo di prodotto venduto e il sistema di commercio impiegato.
Alcune realtà si concentrano sulla diffusione di specifici prodotti “di qualità”, a prescindere dal sistema di approvvigionamento, comprendendo perciò quelli convenzionali, dai supermercati ad Amazon; altre realtà, invece, cercano di costruire sistemi di approvvigionamento etici per i prodotti alimentari più in generale.

Questa differenza empirica contribuisce a, e al contempo origina da, uno slittamento semantico nella nozione di “rete alternativa del cibo”, dietro cui si celano due possibili interpretazioni: una debole (reti del cibo alternativo), e una forte (reti alternative del cibo).

Le due interpretazioni sono di per sé frutto di una tensione che trascende tutti i tipi di RAC, e più in generale, tutti i tipi di attività economica: la tensione fra mercato e società.

Sebbene l’Occidente sia abituato a considerare “il mercato” come un’entità astratta, la cui esistenza si fa via via più virtuale, i mercati rimangono delle istituzioni sociali costruite da élite di potere in condizioni storicamente specifiche, sulla base di interessi intrinsecamente arbitrari.

Norme e presupposti su proprietà e moralità, nel corso del tempo, sono suscettibili di cambiamento.

I mercati capitalistici sono speciali, perché stabiliscono i prezzi in un modo apparentemente impersonale, attraverso il meccanismo della domanda e dell’offerta, e si basano sul denaro generalista per lo scambio di ogni sorta di beni, compresi i prodotti alimentari ma anche, e soprattutto, il lavoro umano. 

Per loro stessa natura, questi mercati possono trovare applicazione in ogni ambito del sociale e presso intere società che prima non li adottavano; qui risiede la tensione tra mercato e società, o la tensione nella crescita dell’uno a spese dell’altra.

Considerando questa tensione dal punto di vista del valore e del modo in cui esso è creato, scambiato e utilizzato nel regime del cibo corporate, le RAC cercano d’indirizzare il flusso delle risorse naturali, del denaro e dei significati culturali, lontano dai mercati globali, dalle élite e dagli azionisti, verso i lavoratori, i cittadini e i territori. 

In altre parole, esse tentano di creare economie più protette, o chiuse, in cui sia possibile mantenere un certo grado di autonomia rispetto all’immenso potere esercitato dall’economia aperta.

Nell'epoca odierna la metafora della “chiusura” può destare dubbi circa la natura politica (in senso ampio) dei fenomeni in questione; si considera tuttavia che non sarà mai possibile – né auspicabile – arrivare effettivamente a una chiusura totale.

Si tratta invece, sostanzialmente, di adattare al caso delle economie del cibo il concetto di “auto-protezione della società”.

Costruire un’economia agro-alimentare più chiusa, significa rafforzare le relazioni sociali di collaborazione (o indebolire quelle di sfruttamento) tra mondo rurale e mondo urbano; significa garantire un prezzo giusto agli agricoltori e spingere affinché le retribuzioni di quelle classi di consumatori che non possono permettersi di pagare prezzi giusti, siano aumentate.

Significa infine favorire regole sociali e ambientali più stringenti contro la deregulation normativa che caratterizza i mercati neoliberisti.
In questo modo, le RAC cercano di promuovere la trasformazione dell’economia basata sul “cibo dal nulla” in un’economia basata sul “cibo dei luoghi”.


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