Ad un drastico impoverimento sociale corrispondono importanti effetti di “de-territorializzazione”.

tratto da "Spopolamento e In-sostenibilità";
di E. Guadagno.


Un Paese "in-sostenibile"

L’uso sostenibile del suolo quale elemento cardine della lotta ai cambiamenti climatici, soprattutto per ciò che riguarda i rischi associati ai fenomeni idrogeologici, è ormai promosso nelle diverse scale di governance ambientale anche in Italia.

Nel nostro Paese, le conseguenze delle alterazioni climatiche e di un uso poco sostenibile del suolo si sommano ad una fragilità ambientale e ad una complessità sociale del territorio molto accentuate. 

La carta del rischio delle province italiane mostra un Centro-Sud più vulnerabile e meno resiliente, caratterizzato da cattiva qualità ambientale e da un’inadeguatezza sostanziale delle strategie pubbliche e private per ciò che concerne la tutela dei territori.

Tra le aree più a rischio vi sono la Campania, la Sicilia, la Puglia e la Calabria che presentano alti gradi di vulnerabilità, soprattutto nella dimensione economica e ambientale, e bassa resilienza.

Il suolo, “la pelle del Pianeta”, è una risorsa preziosa alla base della produzione agroforestale; è una riserva del patrimonio genetico e funziona da serbatoio e filtro d’acqua nonché da principale deposito di carbonio delle terre emerse.

Le modalità di sfruttamento e lavorazione del suolo, così come le sue destinazioni d’uso (conversione dei pascoli e aree boschive in terre arabili o edificabili), possono contribuire ad un degrado che, insieme all’inquinamento dovuto all’agricoltura intensiva e alla pressione antropica, induce salinizzazione e acidificazione, erosione e fenomeni idrogeologici.

Guardare all’insieme di questi fenomeni, legando indissolubilmente l’agricoltura e la societa', vuol dire riconoscere il valore di questo comparto (produzione di cibo, tutela ambientale e paesaggistica, regolazione dei cicli biologici), e promuovere la resilienza delle aziende agricole locali, permettendo loro di adattarsi meglio e resistere alle variabilità climatiche, alla siccità o agli eventi meteorologici estremi resi più frequenti dal riscaldamento globale.

Per invertire i trend che determinano un impatto negativo sul territorio, molti studi interdisciplinari vedono una possibile soluzione mitigativa negli usi agricoli e nei saperi locali: "conoscenza unica ed esperienza, sviluppate in un lungo periodo di tempo e detenute da un gruppo di persone in un luogo specifico".

Tali conoscenze sarebbero la chiave per rispondere in maniera attiva al degrado provocato da frane e alluvioni, correlabili con l’aumento dell’intensità e della frequenza delle piogge e la conseguente maggiore erosione del suolo, oltre che con l’abbandono delle terre.
 
I saperi tradizionali, basati su tecniche semplici volte a prevenire l’erosione provocata dal deflusso di acqua piovana, rendono possibile una maggiore stabilità del terreno e la relativa preservazione strutturale; possono, inoltre, essere utili al reimpianto di alberi e siepi arboree che fungono da stabilizzanti.

L’importanza di un uso sostenibile del suolo da parte di coltivatori diretti che preservino il terreno in modo “tradizionale”, è stata formalizzata nell’ambito dell’approccio “agroecologico”, sviluppatosi negli anni Ottanta e definito come "l’applicazione dei concetti e dei principi dell’ecologia alla progettazione e gestione di agro ecosistemi".

Nel solco di queste teorie, anche i documenti programmatici che mirano a promuovere un uso sostenibile del suolo, per agire efficacemente contro le conseguenze delle alterazioni meteo climatiche, sottolineano quanto sia importante coinvolgere le popolazioni locali nelle strategie di mitigazione e resilienza. 

Ciò implica la necessità di considerare come, in maniera integrata, le questioni climatiche e l'esodo dalle campagne, il calo demografico delle aree rurali e montane, la diffusione dell’agricoltura intensiva (fenomeni che limitano la trasmissione dei saperi legati all’utilizzo dei suoli), rendano il territorio più vulnerabile e le comunità insediate più esposte ai danni causati dal degrado ambientale e dagli eventi calamitosi.

Ad oggi la questione rimane insoluta, perché ad un drastico depauperamento sociale corrispondono importanti effetti di “de-territorializzazione”.

Tale fenomeno rappresenta un “paradosso”: ad una minore pressione antropica in alcune aree, corrisponde una polarizzazione dei fenomeni di inurbamento ed un peggioramento dell’uso del suolo correlabile ad un aumento del degrado ambientale, che potrebbe esacerbarsi nel quadro dei più probabili scenari socio-ambientali futuri.

Un fenomeno multiscalare, quello del degrado ambientale e dei possibili impatti delle alterazioni meteo-climatiche, che potrebbe trovare nei saperi tradizionali una parziale mitigazione.

Si registra, specialmente nelle regioni del Sud Italia, un progressivo rallentamento della ricarica delle falde acquifere, un aumento delle frane da crollo, fenomeni di erosione del suolo e frequenti episodi ventosi, con raffiche che si manifestano con un’intensità superiore rispetto agli anni precedenti. 

Si è registrata inoltre una riduzione delle portate dei fiumi e, in generale, un’alterazione del regime idrologico.

Secondo l’ARPA, l’entità del rischio dei cambiamenti climatici si lega a diversi fattori strutturali (ma anche alla capacità di adattamento del sistema antropico), connessi sia alla vulnerabilità esacerbata dall’urbanizzazione, e al relativo abbandono delle zone montane, sia all’aumento dell’esposizione dovuto alla modifica del regime delle piogge. 

Fenomeni meteorologici estremi, infatti, hanno causato negli ultimi anni danni consistenti e disagi diffusi: trombe d’aria, allagamenti da piogge intense, episodi di danni consistenti a infrastrutture o al patrimonio storico a causa dell’anomala piovosità, esondazioni fluviali e frane, per un ammontare di miliardi di euro di danni.

Tali eventi incidono su una soggiacente fragilità del territorio, caratterizzato anche da rischio sismico (e vulcanico) e da una vulnerabilità sociale estremamente elevata. 

I rischi associati ai cambiamenti climatici stanno aggiungendo una nuova dimensione alle problematiche legate all’uso del suolo: il territorio è caratterizzato da un’eccessiva e disordinata urbanizzazione.

Al contempo, è possibile riscontrare un progressivo abbandono delle aree interne, che appaiono sempre meno attrattive dal punto di vista occupazionale e carenti di infrastrutture di base e telematiche.

Tale importante fenomeno di esodo rurale e montano, con la conseguente riduzione della manodopera contadina, potrebbe essere correlabile ad una riduzione delle competenze di gestione del territorio (su terreni coltivati, pascoli o terreni misti, come, ad esempio, terrazzamenti, canali di irrigazione o stabilizzazione dei pendii) e, dunque, a una minore resilienza in caso di eventi estremi.

Inoltre, la mancanza di manutenzione del patrimonio immobiliare, nelle zone in cui il fenomeno migratorio è più accentuato, aumenta l’esposizione e la vulnerabilità del territorio, perché maggiormente soggetto a fenomeni franosi.

I dati che, da quanto preconizzato dalle strategie e dalle misure che mirano a “ripopolare” le campagne e le aree interne, potrebbero essere invertiti attraverso politiche mirate ad un aumento dei servizi di base, testimoniano di un’emorragia demografica che impoverisce il territorio delle aree interne e aumenta la pressione antropica sui grandi centri urbani.

Il tema dell’“attrazione di nuova residenzialità”, ovviamente, è ritenuto centrale per la rinascita di tali aree e per invertire il trend dello spopolamento e dell’abbandono, anche in vista della resilienza ai disastri e ai mutamenti climatici, insistendo sui saperi tradizionali e le coltivazioni tipiche.

I punti chiave su cui insistere sono:
     
1) la ricerca e la promozione di nuove residenzialità;
2) il recupero dei centri storici;
3) lo sviluppo sostenibile del territorio;
4) la valorizzazione integrata e sistemica e nuovi modelli di governance territoriale;
5) la gestione integrata di patrimonio agro-forestale e biodiversità;
6) il coinvolgimento delle comunità locali e comprensori territoriali;
7) la cooperazione tra filiere d’eccellenza.

L’idea che attraverso il recupero dei saperi locali non solo si combatta il degrado ambientale ma si crei una produzione a maggior valore aggiunto, creando un meccanismo virtuoso, passa necessariamente dall’integrazione di queste aree all’interno di un sistema territoriale in cui siano garantiti servizi essenziali ed accessibilità, nei termini di viabilità e penetrazione digitale.

Gli ambiti di marginalità e le periferie (sempre più difficili da trattare) sono, di fatto, "prodotti e riprodotti dal centro", dove si definiscono e si rafforzano spazi e soggetti dell’esclusione, attraverso inerzie ed azioni che operano "creando contesti territoriali che non contano".

Nel caso delle aree rurali e montane, scelte politiche ed economiche hanno polarizzato il territorio provocandone un abbandono progressivo. 

Al di là dei problemi demografici, è evidente quanti problemi di medio e lungo termine siano collegati a questo spopolamento, e in particolare l’acuirsi dei rischi ambientali a cui tali aree sono (e saranno sempre più) esposte. 

L’attrattività di nuovi abitanti verso aree definite a torto “periferiche”, anche in vista delle opportunità date dal telelavoro, potrebbe essere il volano per la tutela e la valorizzazione del territorio, nonché per il recupero delle tradizioni e i saperi locali legati all’uso del suolo, per la promozione di un "turismo sostenibile".

Da un approccio multisettoriale e di sistema, che colleghi i produttori agricoli agli altri segmenti della filiera locale, potrebbero emergere elementi di “rinascita” del territorio. 

Sebbene questi ragionamenti appaiano oggi lapalissiani, molto spesso risultano ancora ben lontani dalla governance effettiva a scala locale. 

Benché da anni si insista su questi temi per aumentare la resilienza dei territori, l’esempio italiano mostra quanto sia profondo il “paradosso” territoriale, ed evidenzia un forte iato tra le dichiarazioni programmatiche e le prassi gestionali.

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