tratto da "Pluriverso; dizionario del post sviluppo".
L'agroecologia è un campo di studi che offre soluzioni ai gravi problemi, emersi sia in campo ambientale che nella produzione di cibo, causati dalla moderna agricoltura industrializzata e dal business dell'agroalimentare nel mondo intero.
L'agroecologia combina conoscenze derivanti dalle scienze naturali e sociali, adotta un'ottica multidisciplinare e cerca di essere tanto una conoscenza applicata quanto un esempio di ricerca partecipativa.
Essa, in quanto forma di pensiero critico, si attiva contro l'iniquità sociale, contestando i disordini ambientali.
Gli studi di agroecologia si articolano attraverso tre sfere (o dimensioni):
1) la ricerca scientifica e tecnologica;
2) le pratiche agricole empiriche;
3) la necessità di sviluppare un approccio "con e per" i movimenti sociali rurali.
Nelle ultime due decadi il numero dei movimenti sociali e politici che sostengono l'agroecologia come obiettivo principale, sta crescendo a grande velocità.
Molti attori, incluse coltivatrici e famiglie delle zone rurali, popolazioni indigene e agricoltori (uomini e donne) senza terra, stanno utilizzando l'agroecologia come strumento di contestazione e di difesa di territori e risorse naturali, di stili di vita e patrimonio culturale.
Ne sono esempi gli innumerevoli sindacati di contadini sviluppatisi a livello nazionale, specialmente in America Latina, India ed Europa.
L' organizzazione più conosciuta è "La Via Campesina", un'alleanza globale di 200 milioni di contadini, che comprende circa 182 organizzazioni locali e nazionali in 73 Paesi tra Africa, Asia, Europa e America.
Essa difende l'agricoltura sostenibile su piccola scala, intesa come "mezzo per promuovere la giustizia sociale e la dignità", e si oppone con forza alla cultura dominante delle grandi aziende che distrugge i popoli e la natura.
L'agroecologia è praticata da decine di migliaia di famiglie contadine, come risultato sia dei movimenti sociali che dell'implementazione di politiche pubbliche.
In America Latina la tendenza dominante nel campo è l'agroecologia politica, intesa come una pratica dell'agroecologia che riconosce che la sostenibilità agricola "non può essere raggiunta semplicemente attraverso innovazioni di natura tecnologica o agronomica", ma può essere conseguita tramite un indispensabile cambiamento istituzionale nelle relazioni di potere, che tenga conto di fattori sociali, culturali, agricoli e politici.
È stato riconosciuto che la conoscenza locale, tradizionale o indigena, trasmessa oralmente nel corso di centinaia di generazioni, costituisce una memoria, una "saggezza bio culturale".
Questa conoscenza non scientifica è stata utilizzata nel corso di migliaia di anni dai popoli indigeni, per produrre cibo e altre materie prime.
Per questo motivo alcuni autori definiscono l'agroecologia come un approccio transculturale, partecipativo e orientato all'azione.
Gli agroecologi riconoscono che le concezioni del mondo o "cosmovisioni" (cioè le conoscenze pratiche tradizionali), sono la base per l'innovazione scientifica e tecnologica, perché danno una traduzione pratica del concetto di dialogo interculturale e di co-produzione della conoscenza.
La maggior parte della produzione agricola mondiale continua a essere generata da contadini o piccoli produttori locali, con una popolazione stimata tra 1,3 e 1,6 miliardi; le loro conoscenze agricole sono il prodotto di oltre 10.000 anni di tradizione e sperimentazione.
Le piccole unità agricole producono la maggior parte del cibo globalmente consumato dagli esseri umani, e portano a termine questa impresa utilizzando solo il 25% della superficie totale del terreno coltivabile, con campi della grandezza media di 2 ettari circa.
I restanti terreni coltivabili, pari a tre quarti del totale, sono posseduti dall'8% dei produttori agricoli, inclusi possidenti terrieri di media, grande e grandissima scala, come i proprietari di aziende o di latifondi, "haciendas" e multinazionali, che solitamente adottano un modello di produzione agro-industriale.
Gli agroecologi lavorano perlopiù, ma non esclusivamente, con piccole unità agricole e con comunità di contadini e popoli indigeni, cercando di migliorare il sistema di produzione del cibo, la giustizia rurale e l'emancipazione dei popoli contadini.
Per superare la crisi del mondo industriale e tecnocratico contemporaneo, bisogna infatti esigere sistemi di produzione del cibo che siano compatibili con l'ambiente, le culture rurali e la salute degli esseri umani.
L'agroecologia è uno strumento scientifico, tecnologico, interculturale e socio-politico cruciale, sia per affrontare le crisi ecologiche e sociali del mondo contemporaneo, sia per perseguire una modernità alternativa e post-industriale.[1]
L' espressione "sovranità alimentare" si riferisce al diritto dei popoli a un cibo sano e culturalmente appropriato, prodotto con metodi ecologicamente conformi e sostenibili, e al diritto di scegliere il proprio cibo e i propri sistemi agroalimentari.
Il Movimento contadino transnazionale La Via Campesina, ha formulato per la prima volta questo concetto nel 1996 a Roma, al summit della FAO, come risposta all'idea di "sicurezza alimentare" proposta nel vertice.
La sicurezza alimentare, al contrario, è un principio guida per le policy dei governi e delle organizzazioni multilaterali nella lotta contro la fame nel mondo e la povertà rurale.
Attraverso il concetto di sovranità alimentare, La Via Campesina si oppone ai numerosi tentativi delle élite globali di definire la sicurezza alimentare secondo logiche neoliberali e di mercato.
I governi, le organizzazioni multilaterali e le corporazioni del cibo legittimano accordi e politiche di libero scambio proprio in nome della sicurezza alimentare.
Ma da ciò è derivato che popolazioni e nazioni, nel sud globale, sono diventate sempre più dipendenti dal mercato internazionale per l'acquisto di cibo a buon mercato e più vulnerabili alla speculazione, al "land grabbing", al "dumping" e ad altre pratiche che minano la loro capacità di sussistenza autonoma.
Le popolazioni contadine diventano migranti urbani; espropriate dalla terra poiché non possono competere con l'importazione di cibo su larga scala (sostenuta da sussidi economici), vengono asservite a progetti di agribusiness che forniscono materie prime a vari settori dell'industria, da quella del cibo da fast food iper-lavorato al settore delle energie pulite per la produzione di etanolo e di altri carburanti.
Il concetto di sicurezza alimentare rafforza i principi fondamentali alla base dell'agricoltura industriale moderna e della Rivoluzione Verde, incluso l'utilizzo di composti chimici ad alta intensità di capitale, monocolture, sementi migliorate come le sementi ibride e, più di recente, le varietà geneticamente modificate.
L'industrializzazione della cultura del cibo ha prodotto come risultato:
1) l'espansione dei "deserti verdi", ovvero piantagioni in cui solo piante considerate economicamente vantaggiose possono crescere e riprodursi, minacciando così l'agricoltura contadina e la agro-biodiversità;
2) cibo altamente elaborato, fast food e mangimi che avvelenano tanto gli esseri umani quanto gli animali.
Coerentemente, la sicurezza alimentare è ascrivibile al paradigma occidentale dello sviluppo inteso come "sfruttamento" e manipolazione di piante ed animali in laboratori, allevamenti, piantagioni, stabilimenti industriali e mercati, ad esclusivo beneficio di alcuni esseri umani.
Il concetto di sovranità alimentare è andato modificandosi sin dal 1996, poiché diverse organizzazioni, comunità e ONG, appartenenti o meno a Via Campesina, lo hanno riformulato e discusso, adattandolo alle rispettive condizioni politiche e di vita.
Uno di questi dibattiti si concentra sul tema di come rafforzare il movimento per la sovranità alimentare in modo da renderlo socialmente, economicamente e politicamente resiliente rispetto al cambiamento climatico e ai poteri corporativi, senza rinunciare alla diversità di approcci e all'autonomia delle iniziative locali di sovranità alimentare.
Tuttavia alcuni movimenti contadini hanno proposto di usare l'espressione "autonomia alimentare", come prerequisito della sovranità alimentare, per enfatizzare sia il carattere localistico della produzione alimentare, sia le forme non neoliberali di decisionalità democratica e di autonomia dalle istituzioni statali.
L'autonomia e la sovranità alimentare sono diventate il grido di battaglia di molte lotte diverse: contro l'accaparramento della terra, dell'acqua e delle sementi; contro gli inquinanti agricoli e la diffusione delle logiche aziendali nella gestione dei sistemi agroalimentari; per la conservazione della biodiversità e i diritti della natura; contro le biotecnologie agricole e l'applicazione di brevetti sulle forme di vita; per la difesa del lavoro contadino e dei diritti umani; contro la malnutrizione e la fame; per l'approvvigionamento di cibo nelle aree urbane.
Autonomia e sovranità alimentare hanno le proprie origini nelle (ed emergono continuamente da) conoscenze, storie ed esperienze di popoli e comunità in lotta in tutto il mondo.
L'autonomia e la sovranità alimentare richiedono la tutela della conoscenza, delle pratiche e dei territori (delle comunità che producono il cibo, inclusi contadini, pescatori, allevatori e coltivatori urbani), intesi quali "spazi" per la riproduzione, la prosperità della vita e della biodiversità.
Tutto ciò contrasta con una gestione internazionalizzata della vita e della morte di piante e animali, finalizzata al profitto e alla crescita economica, tipiche del sistema alimentare aziendale.
Il potenziale trasformativo dell'autonomia e della sovranità alimentare risiede nella difesa di tre principi vitali: beni comuni, diversità e solidarietà.
1) I semi, l'acqua, la conoscenza, la biodiversità e tutto ciò che contribuisce al sostentamento materiale, simbolico e spirituale di un popolo sul suo territorio, sono considerati beni comuni.
2) L' autonomia, contro le tendenze uniformanti dei moderni sistemi agroalimentari, protegge ancora la differenziazione dei sistemi di produzione alimentare, attraverso la diversità di semi e animali, cibo, conoscenza e pratica di lavoro, mercati, paesaggi ed ecosistemi.
3) La solidarietà tra i produttori di cibo, i consumatori di tutto il mondo e le future generazioni è fondamentale per l'autonomia e la sovranità alimentare.
Al cuore dell'autonomia e della sovranità alimentare ci sono dunque sistemi alimentari basati su nuove relazioni sociali, libere dall'oppressione e dalle iniquità.[2]
[1] "Agroecologia"; di T. Viktor e M. Toledo.
[2] "Sovranità alimentare"; di L.G. Escobar.
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