Alla ricerca di "sentieri pluriversali".

tratto da "Pluriverso, dizionario del post-sviluppo" (introduzione); di A. Kothari, A. Escobar.

Non c'è dubbio che dopo decenni di quello che è stato chiamato "sviluppo", il mondo sia in crisi: sistemica, multipla e asimmetrica.
Covata a lungo sotto la cenere, questa crisi si estende ora in tutti i continenti.

Mai prima d'ora così tanti aspetti cruciali della vita si sgretolano contemporaneamente, mai prima d'ora le aspettative delle persone per il proprio futuro e per quello delle future generazioni appaiono così incerte.

Le manifestazioni della crisi si fanno sentire in ogni ambito: ambientale, economico, sociale, politico ed etico, culturale, spirituale e corporeo.

Nella transizione verso un mondo del post-sviluppo, la democrazia (come processo di auto radicalizzazione permanente), dovrebbe parlare a tutti gli ambiti della vita, partendo dal corpo per poi affermarsi in forma di democrazia della Terra.

La natura seducente della retorica dello sviluppo, talvolta nota come "sviluppismo", è stata interiorizzata praticamente in tutti i paesi; anche alcune persone che soffrono le conseguenze della crescita industriale nel Nord del mondo, accettano un percorso di progresso unilaterale.

Molte nazioni del Sud del mondo si sono opposte alla messa a punto di una politica ambientale efficace, adducendo la motivazione che il Nord impedirebbe loro di raggiungere un più alto livello di "sviluppo".

Il dibattito internazionale si sposta così sui "trasferimenti monetari e tecnologici" dal nord al sud del mondo e, a tutto vantaggio del primo, non si mettono in discussione i principi fondamentali del paradigma dello sviluppo.

Sono passati decenni dacché la nozione di sviluppo si è diffusa in tutto il mondo, eppure solo una manciata di paesi sottosviluppati, in via di sviluppo, o appartenenti al "terzo mondo", per usare i termini deprecabili della guerra fredda, si qualificano oggi come sviluppati.

Altri si sforzano di emulare il modello economico del Nord, pagando un enorme prezzo ecologico e sociale.

Nonostante i numerosi tentativi di "significare" lo sviluppo, esso continua ad essere qualcosa che gli esperti semplicemente "gestiscono", mentre proseguono nell'obiettivo della crescita economica.

Tale crescita, viene poi misurata dal Prodotto Interno Lordo (PIL), un indicatore povero e fuorviante del progresso inteso come benessere.

In realtà, il mondo in generale sperimenta una forma di "mal sviluppo", finanche in quegli stessi paesi industrializzati il cui stile di vita avrebbe dovuto fungere da "faro" per quelli arretrati.

Modernità

Una larga fetta dei nostri problemi risiede nel concetto di "modernità".

Ci si riferisce alla modernità come alla visione del mondo dominante che emerge in Europa a partire dal Rinascimento, all'interno della transizione che dal Medioevo porta alla prima Modernità, per poi consolidarsi sul finire del XVIII secolo.

Si affermano pratiche culturali e istituzioni che si conformano alle seguenti credenze: nell'individuo come indipendente dalla collettività, nella proprietà privata, nel libero mercato, nel liberalismo politico, nella laicità e infine nella democrazia rappresentativa.

Altra caratteristica chiave della modernità è l'universalismo, cioè l'idea che tutti noi viviamo in un unico mondo, ormai globalizzato, e che la scienza sia l'unico modo di produrre una verità affidabile foriera di progresso.

Tra le prime cause di questa crisi multipla c'è l'antica premessa monoteistica che un padre Dio abbia creato la terra "a beneficio" dei suoi figli umani: questo atteggiamento è noto come antropocentrismo.

Almeno in Occidente, esso si è evoluto nell'abitudine filosofica di contrapporre l'umanità alla natura, e ha dato origine ad una serie di dualismi correlati e conflittuali, come la divisione tra soggetto e oggetto, mente e corpo, maschile e femminile, civile e barbaro.

Sono queste categorie ideologiche classiche a legittimare la devastazione del mondo naturale, così come lo sfruttamento delle differenze di sesso e genere, di razza e di civilizzazione.

Le femministe hanno mostrato come la "cultura maschilista del dominio", sia un portato di queste coppie artificiali; gli intellettuali del Sud globale ne hanno invece sottolineato la "colonialità".

In questo modo il "sistema-mondo" moderno, coloniale, capitalistico e patriarcale, emargina e sminuisce forme di conoscenza alternative, come la cura oppure il diritto, la scienza e l'economia non occidentali.

Sebbene sia questo il modello politico prevalente a livello globale, ci sono state modernizzazioni alternative in Europa, così come "specifiche modernità" in America Latina, Cina e così via.

La crisi globale è strutturale, di portata storica, e richiede un profondo risveglio culturale ed una riorganizzazione delle relazioni tra le società di tutto il mondo e all'interno di ognuna di esse; lo stesso vale per il rapporto tra l'umanità e il resto della cosiddetta "natura".

I movimenti di resistenza popolare si stanno moltiplicando in tutti i continenti

Ovunque le persone stanno sperimentando modi di vita che affermano i diritti e la dignità della terra e dei suoi abitanti, minacciati dal collasso ecologico, dalle guerre per il petrolio e dalle forme di estrattivismo come l'agroindustria e le piantagioni di OGM.

Questo saccheggio porta alla perdita dei mezzi di sussistenza nelle aree rurali e alla povertà in ambito urbano; a volte il progresso accidentale cede il passo, o direttamente conduce, alle cosiddette "malattie del benessere", all'alienazione e allo sradicamento.

Non c'è garanzia che lo sviluppo possa porre rimedio a forme tradizionali di discriminazione e alla violenza contro le donne, i giovani, i bambini e le minoranze intersessuali nonché contro le minoranze etniche razzializzate e contro chi subisce il sistema delle caste.

Mentre la globalizzazione del capitale destabilizza le economie regionali, trasformando le comunità in vite sprecate e popolazioni in cerca di rifugio, alcune persone affrontano la situazione identificandosi con il potere "machista" della destra politica.

Tale opzione dà la priorità alle identità nazionali e promette di "riprendersi il lavoro" che le persone migranti, veri capri espiratori, avrebbero rubato.

Una deriva verso l'autoritarismo è in atto in tutto il mondo, dall'India agli Stati Uniti, all'Europa.

L'illusione della democrazia rappresentativa è tenuta in vita da una classe tecnocratica privilegiata, con la sua traiettoria neoliberale d'innovazione finalizzata alla "crescita verde".

In un'epoca di transizione come questa, la critica e l'azione richiedono nuove narrazioni combinate a soluzioni materiali concretamente praticabili; replicare la stessa ricetta, migliorandola, aumentando o diminuendo le dosi, non sarà sufficiente.

La via da seguire non è semplicemente quella di rendere le aziende più responsabili o di istituire burocrazie con potere regolativo; non si tratta nemmeno di riconoscere la piena cittadinanza alle "persone di colore", agli anziani, ai disabili, alle donne, ai soggetti queer attraverso politiche pluraliste di stampo liberale. 

Allo stesso modo la conservazione di un lembo di natura "incontaminata", ai margini del capitalismo urbano, avrebbe solo un effetto assai limitato sul collasso della biodiversità.

I grandi modelli politici del ventesimo secolo, democrazia rappresentativa liberale e socialismo di Stato, sono diventati forme di governance incoerenti e disfunzionali, per quanto capaci di garantire a pochi fortunati la protezione del welfare o il godimento di diritti.

Alcune visioni e pratiche alternative sono già note negli ambienti dell'attivismo politico e della ricerca accademica; per esempio: "Buen vivir", una cultura della vita con varie denominazioni in tutto il Sud America; oppure "Ubuntu", un elemento che sottolinea il valore dell'Africa australe per la comunità umana; o "Swaraj" dall'India, un concetto incentrato sull'autosufficienza e l'autogoverno.

Come direbbe Aldo Leopold: "Una cosa è giusta quando tende a preservare l'integrità, la stabilità e la bellezza della 'comunità biotica', viceversa è sbagliata quando tende altrimenti".

L'agire politico appartiene agli emarginati, agli sfruttati e agli oppressi.

Ci sono molte strade che conducono alla "bio-civiltà", ma bisogna immaginare società che abbraccino questi (e altri) valori: diversità e universalità; autonomia e autosufficienza; solidarietà e reciprocità; comunanza e diritti della natura; interdipendenza; semplicità e "norma del sufficiente"; inclusività e dignità; giustizia ed equità; non gerarchia; dignità del lavoro; diritti e responsabilità; sostenibilità ecologica; non violenza e pace.

Commenti