Democrazia dei produttori associati o irregimentazione planetaria: socialismo o eco-fascismo.

tratto da “Attualità dell’ecologia politica di André Gorz”; di Emanuele Leonardi.

http://hdl.handle.net/10077/15900

"La crisi della natura non è esterna all'economia, alla società, alla politica; ne è semmai il volto estremo, il sintomo inaggirabile, l'ingiunzione cui non ci si può sottrarre procrastinando."

André Gorz è tra i primi a chiederci di pensare la questione ambientale nella sua non-autosufficienza, nella sua impossibilità a spiegarsi da sé: essa dischiude infatti una crisi del produttivismo occidentale e del capitalismo industriale che possiede un'origine storica e che richiede una soluzione politica. 

Tale soluzione, peraltro, non fornisce alcuna garanzia sulla desiderabilità o meno del suo esito: Gorz torna a più riprese sul rischio concreto di una deriva tecno-fascista, cioè di una risposta autoritaria alle sfide ecologiche. 

Il degrado degli equilibri bio-sferici schiude infatti uno scenario fortemente polarizzato.

Alla tentazione dispotica deve far fronte un progetto sociale complessivo, capace di coniugare la sostenibilità ambientale e l'autonomia individuale e collettiva: “Rigettare il tecnofascismo non può dipendere da una scienza degli equilibri naturali; al contrario, deve derivare da una scelta politica e culturale”. 

Il nesso tra ecologia e libertà, dunque, non si dà in natura – non sta nelle cose: bisogna produrlo, curarlo, difenderlo.

Con Gorz l'ecologia diviene propriamente politica: in precedenza, la parola indicava una scienza naturale – quella delle relazioni tra gli esseri viventi e il loro ambiente – o un settore specializzato dei rapporti tra gli esseri umani e il loro ambiente – in particolare la protezione della natura o la prevenzione dei rischi. 

Ben diversamente, Gorz ha reso l'ecologia politica un progetto globale di trasformazione della società, capace simultaneamente di succedere al capitalismo e di ridefinire il socialismo, cioè di liberarlo dai suoi limiti produttivistici. 

L'ecologia politica gorziana è un anticapitalismo, una ricerca attiva dei punti di rottura della logica del capitale, uno sforzo utopico di mettere in atto – qui e ora – ciò che forza e infine scardina le compatibilità del sistema tecnico economico. 

Su questo punto Gorz non arretrerà di un millimetro. 

Ancora nel 2005 scriverà: "Prendere in considerazione un'altra economia, altri rapporti sociali, altri modi e mezzi di produzione, altri modi di vita, passa per 'irrealista'; come se la società della merce, del salariato e del denaro fosse insuperabile.

In realtà, una folla di indici convergenti suggerisce che questo superamento è già innescato e che le occasioni di un'uscita civilizzata dal capitalismo dipendono anzitutto dalla nostra capacità di distinguere le tendenze e le pratiche che ne annunciano la possibilità."

L'ecologia politica di Gorz è, dunque, immaginazione pratica di un futuro non segnato dall'imperativo capitalistico della massimizzazione del profitto a ogni costo.

L'analisi gorziana della crisi ecologica privilegia il suo versante sociale rispetto a quello ambientale, ma ciò non significa affatto che quest'ultimo sia considerato irrilevante. 

Semplicemente, si ritiene che il modo migliore di affrontare il tema ineludibile dei limiti fisici alla crescita non sia quello di divinizzare la Natura, bensì quello di sviluppare una teoria del rapporto tra modo di produzione capitalistico e ambiente circostante. 

Gorz mostra con maestria insuperata come il socialismo, per essere all'altezza della propria ambizione emancipatrice, debba necessariamente rompere l'egemonia del capitale sulle politiche economiche e sugli strumenti di produzione. 

Propugnando la crescita come panacea di tutti i mali, tali politiche non solo mostrano il proprio carattere mistificatorio (dal momento che la forbice sociale non ha cessato di allargarsi), ma inchiodano l'immaginazione politica sul terreno solo apparentemente neutro della quantità.

L'influenza di Illich e l'utopia dell'autogestione 

Per sottrarsi a questa falsa neutralità del quantitativo, Gorz si rivolge alle analisi di Ivan Illich – pensatore eclettico ed iconoclasta – e in particolare alla sua formulazione del concetto di convivialità come critica qualitativa al produttivismo e come prospettiva politica di autonomia nel rapporto tra l'uomo (individuo e collettività) e lo strumento tecnico. 

Scrive Illich: "Intendo per convivialità il contrario della produttività industriale. 

Ognuno di noi si definisce nel rapporto con gli altri e con l'ambiente e per la struttura di fondo degli strumenti che utilizza. 

Questi strumenti si possono ordinare in una serie continua avente a un estremo lo strumento dominante e all'estremo opposto lo strumento conviviale: il passaggio dalla produttività alla convivialità è il passaggio dalla ripetizione della carenza alla spontaneità del dono.

Il rapporto industriale è riflesso condizionato, risposta stereotipa dell'individuo ai messaggi emessi da un altro utente, che egli non conoscerà mai, o da un ambiente artificiale, che mai comprenderà; il rapporto conviviale, sempre nuovo, è opera di persone che partecipano alla creazione della vita sociale."

Da Illich, inoltre, Gorz recupera il tema cruciale della controproduttività, cioè della tendenza delle istituzioni moderne a superare una soglia critica oltre la quale non solo non sono più in grado di raggiungere lo scopo per cui erano state create, ma finiscono addirittura per frapporre ostacoli al suo raggiungimento.

Similmente, Gorz sottolinea come lo sviluppo capitalistico nel secondo dopoguerra, benché abbia giustificato la propria incomprimibile sete di accumulo con la necessità di soddisfare i bisogni primari delle popolazioni, abbia invece finito col produrre da un lato nuova povertà (cioè scarsità relativa) e dall'altro un irreversibile deterioramento della biosfera (cioè scarsità assoluta).

Si comprende dunque agevolmente come, per Gorz, l'ecologia non sia soltanto fredda scienza dei limiti esterni dell'attività economica, ma anche e soprattutto un modo di vita che abbraccia l'autonomia individuale sia all'interno del mondo vissuto delle comunità (minacciato dalla razionalità colonizzatrice del capitale) che nel suo rapporto con l'ambiente circostante (messo a repentaglio dall'espandersi dei processi di mercificazione). 

Per Gorz la crisi ecologica deriva dalla nefasta combinazione tra la logica economicistica del capitale e la razionalità amministrativa degli apparati di Stato.

A questa crisi si deve dunque rispondere con un progetto politico complessivo -autogestione - e con uno strumento pratico-comunicativo atto al suo innesco –utopia.

Per 'autogestione' Gorz intende il recupero delle capacità creative sussunte dal capitale e atrofizzate dallo Stato. 

Il punto è espresso con chiarezza: "In breve, l'autogestione presuppone l'uso di strumenti che possano essere autogestiti

Tali strumenti sono possibili da un punto di vista tecnico. 

Non si tratta di tornare all'artigianato, all'economia di villaggio e al Medio Evo, bensì di subordinare le tecniche industriali allo sviluppo permanente delle autonomie individuali e comunitarie, invece di subordinare queste autonomie allo sviluppo permanente delle tecniche industriali."

Si nota in questo passaggio la critica gorziana all'atteggiamento prevalente dei sindacati europei, la cui attenzione era (ed è, in molti casi) focalizzata esclusivamente sulla rivendicazione salariale – dunque sulle modalità distributive del valore – e non sulla composizione della produzione – cioè sulla definizione qualitativa di ciò che si deve produrre, come, in quali quantità e perché.

Per rendere l'idea di autogestione concretamente visualizzabile – e quindi politicamente agibile – Gorz non esita a servirsi di uno strumento spesso malvisto dalla tradizione marxista: l'utopia.

Un'utopia possibile fra tante altre

Ciò indica immediatamente la dimensione pratica del processo utopico: non si tratta infatti di immaginare un futuro astratto cui la realtà dovrebbe presto o tardi conformarsi, di una lista asettica di prescrizioni cui attenersi rigorosamente. 

Al contrario, Gorz invita i soggetti cui si rivolge – cioè gli attori che a vario titolo compongono la galassia multiforme della 'sinistra' –a condividere il tentativo di delineare, attorno ad alcune rivendicazioni chiave, i contorni di una società desiderabile che già si mostra negli interstizi del sistema capitalistico in decadenza. 

Nell'utopia gorziana “Lavoreremo meno,  consumeremo meglio, integreremo la cultura alla vita quotidiana di tutti”.

È questa fattibilità incompatibile – cioè la giustapposizione sorprendente di ragionevolezza politica dell'autogestione e di violenza istituzionale dello Stato capitalistico – che squarcia il velo mistificatorio dell'ideologia e mostra il duplice carattere dell'utopia di Gorz: critica immanente dello stato di cose presenti e prefigurazione materiale di una nuova, possibile struttura sociale. 

In termini temporali, il riferimento a un futuro auspicabile innesca potenziali critici già esistenti, in modo tale che una data opposizione allo status quo attivi immediatamente la costruzione di nuove forme di organizzazione sociale, precedentemente inimmaginabili. 

Inoltre, il nesso tra la dimensione decostruttiva e quella creativa dell'utopia gorziana si materializza attraverso l'emergere di nuove forme di socialità che, al medesimo tempo, ratificano la natura obsoleta dei rapporti di produzione capitalistici e prefigurano un nuovo modello di autogestione inclusiva.

Non c'è dubbio che Gorz abbia mantenuto viva questa tensione rivoluzionaria tra progetto utopico e pratica dell'autogestione, per tutto l'arco della sua avventura intellettuale. 


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