La deriva criminale del capitalismo

tratto da "Economia criminale, riappropriazione delle terre e ‘altreconomia’ nel Mezzogiorno"; di T. Perna.

https://oajournals.fupress.net/index.php/sdt/article/view/8596

Oltre a costituire un presidio di legalità e  "reimmettere" nell’ambito dell’economia formale un’enorme massa di risorse recuperate a quella sommersa, la gestione a fini sociali dei beni confiscati alle mafie può rappresentare un laboratorio territoriale diffuso per la costruzione ‘dal basso’ di filiere integrate di ‘altreconomia’.

Filiere ispirate ai principi di "etica sociale e culturale" del fair trade e capaci, in prospettiva, di contendere al capitalismo quote significative di ‘mercato’, puntando proprio sulla contrazione di quelle nicchie di diseconomia in cui oggi si annida e prospera l’economia criminale. 

Un'economia criminale che, veicolando importi talmente ragguardevoli da decidere le sorti di quella ufficiale, tende a presentarsi non già come "deriva distorsiva" del capitalismo globalizzato ma come una sua "logica conseguenza". 

Si procede oggi verso una redistribuzione della ricchezza che passa dalle mani della borghesia ‘mafiosa’ (la classe sociale emergente), a quelle delle cooperative di giovani che coltivano le terre confiscate, di spazi pubblici, servizi sociali, enti locali. 

Grazie al sacrificio del mai abbastanza ricordato Pio La Torre, in Italia esiste una legge che colpisce al cuore l’accumulazione mafiosa del capitale. 

Una legislazione alla quale guardano tanti altri paesi, duramente colpiti dal dominio di questa nuova borghesia che usa i proventi dei mercati illegali per controllare in misura crescente l’economia e le istituzioni di paesi piccoli (come il Montenegro) e grandi (come il Messico).

La deriva criminale del capitalismo è ormai un fatto palese, sebbene venga ancora negata dall’ideologia del libero mercato e del pensiero unico che la riduce al rango di "devianza sociale". 

Non esiste un capitalismo buono ed uno criminale, ma esiste una linea di demarcazione tra imprenditori ed imprese che hanno dei 'vincoli sociali' ed etici e imprenditori/imprese che agiscono ‘liberamente’ al solo scopo di massimizzare il profitto. 

Per esempio, le imprese multinazionali che in Centro America hanno per decenni finanziato gli squadroni della morte, per tenere sotto scacco i lavoratori che si organizzavano e si ribellavano, non sono per nulla diverse dalle organizzazioni mafiose che fanno saltare in aria i negozi se non si paga loro il ‘pizzo’. 

L’emergente borghesia mafiosa e criminale ha un suo specifico modo di operare: da una parte controlla il territorio dove è insediata, attraverso il suo braccio armato, dall’altra opera ‘legalmente’ nel mercato capitalistico tradizionale, investendo i proventi delle attività illegali. 

Questa nuova borghesia è l’unica classe sociale ad essere veramente ‘glocal’: è radicata nel territorio, dove trova protezione e controlla/riproduce l’esercito criminale di riserva, ed allo stesso tempo agisce a livello internazionale, sia sul piano commerciale che finanziario. 

Ciò che contraddistingue questa nuova borghesia è la velocità con cui riesce ad accumulare, attraverso gli extraprofitti generati dai mercati illegali (droghe, armi, rifiuti tossici, ecc.), un capitale paragonabile solo alle enormi fortune accumulate dai grandi speculatori di Borsa. 

Ed è spesso proprio nelle Borse di tutto il mondo, oltre che nei paradisi fiscali, che l’accumulazione criminale del capitale trova il suo sbocco, oltre che nell’acquisto di case e terreni, di preziosi e di oro, di aziende grandi e piccole, in tutto il mondo. 

Esiste ormai, non a caso, un intreccio inestricabile tra borghesia finanziaria e borghesia mafiosa, veri padroni dell’economia mondiale. 

Come scriveva Fernand Braudel in "Dinamica del capitalismo", il vero motore di questo sistema, che va distinto dall’economia mercantile, è l’extraprofitto, il profitto eccezionale, che si può ricavare in alcuni settori e fasi del ciclo economico. 

Alti rischi ed alti profitti segnano storicamente il passaggio dall’economia di mercato (quella descritta da Marx con la sequenza Merce-Denaro-Merce) al mercato capitalistico in cui l’accumulazione di capitale è il fine assoluto (la sequenza diviene Denaro-Merce-Denaro). 

Questo modo di produzione era destinato, secondo Marx, ad una polarizzazione sociale crescente che avrebbe creato le condizioni per una rivoluzione ed un cambiamento di sistema. 

Questa polarizzazione, che stiamo vivendo e subendo, è certificata anche dalle diseguaglianze patrimoniali crescenti, ma non ha (finora) generato la reazione di massa di quella maggioranza della popolazione che viene sempre più impoverita. 

Si è scoperto, negli ultimi decenni, che le forme dell’accumulazione originaria non appartengono solo al passato, al periodo coloniale ed a quello delle enclosures (recinzioni delle terre ed espulsione dei contadini), ma nelle aree periferiche esiste una via criminale al capitalismo che rappresenta un’altra forma di accumulazione originaria, che crea il capitale necessario per avviare un nuovo processo di sviluppo. 

Un processo, che si presenta sempre più violento e distruttivo nelle aree dove l’inserimento nel mercato globale e nella mercificazione onnivora è stato più veloce.

Alternative all’economia criminale 

Il carattere distruttivo del capitalismo maturo (il "Grande saccheggio"), non riguarda solo la sfera ambientale e la distruzione degli ecosistemi, ma anche quella sociale ed economica. 

E qui è entrata sulla scena della storia quella reazione sociale che Karl Polanyi definiva come “autodifesa della società”. 

Ed è proprio al nostro paese, in cui sono state poste le basi di questa autodifesa sociale, che dovremmo guardare con estrema attenzione. 

L’Italia, anche in questo caso, si presenta come un laboratorio politico di prima grandezza. 

È il paese che ha inventato il fascismo come forma di governo (poi imitato da tanti), quello che ha avuto il più grande partito comunista d’occidente, il sindacato più forte e conflittuale (anni ’60 e ’70), e  anche il paese occidentale dove più rapida e violenta è stata la penetrazione dell’economia criminale, ma altrettanto forte è stata la risposta, innanzitutto, nel Mezzogiorno. 

Come dicono tutti gli indicatori economici, il Mezzogiorno ha subito un impatto dalla crisi, mediamente doppio rispetto a quello che si è riscontrato nel Centro-Nord.

In questa situazione di forte impoverimento dei ceti medi e popolari, la morsa dell’economia criminale è diventata insostenibile. 

In questo scenario va letta la reazione di una parte della società al predominio delle mafie. 

Una reazione che ha portato in breve tempo ad un’intensificazione della lotta di classe in varie aree del Mezzogiorno tra le organizzazioni criminali e imprese locali, cooperative, imprese sociali, che hanno avuto dallo Stato in gestione beni (terreni, case, aziende) confiscati alla borghesia mafiosa. 

In passato la lotta di classe nel Mezzogiorno vedeva da una parte gli agrari e dall’altra le masse contadine impoverite.

Oggi una parte, la nuova borghesia mafiosa – che controlla non solo buona parte dell’economia locale, ma anche una parte importante delle istituzioni locali – entra in conflitto con imprese individuali, cooperative sociali e movimenti antimafia che si oppongono con determinazione e coraggio.

Si è creata, intorno a queste cooperative o imprese sociali, una rete robusta di solidarietà, base fondamentale di una ‘altreconomia’: è questo un punto fondamentale.

Da diverse ricerche sul campo emerge che i beni e le aziende confiscate all’economia criminale hanno difficoltà a sopravvivere nell’agone di un mercato capitalistico che tende a distruggerle in breve tempo.

I motivi sono diversi. 

Il primo è l’isolamento sociale di cui è vittima chi gestisce un’azienda o un terreno confiscato alla borghesia mafiosa. 

L’impresa mafiosa, inoltre, è "embebedd" nel territorio in cui è localizzata ed ha una rete di acquisti e di vendita che non è facile riprodurre o riprendere in mano. 

Il secondo motivo è che tutte queste esperienze sono per lo più portate avanti da giovani che non hanno capitali iniziali rilevanti da investire, hanno difficoltà di accesso al credito ordinario e sono pertanto ricattabili sul prezzo di vendita dei loro prodotti (da parte delle grandi imprese). 

Questo è peraltro il vero problema di tutta l’agricoltura contadina in Italia (e non solo), e riguarda anche altri settori.

Il piccolo produttore è strangolato dai meccanismi del mercato oligopolistico, e solo una rete alternativa di vendita dei propri prodotti può permettergli di vivere e lavorare con dignità. 

Per fare un esempio, le arance che i piccoli produttori della piana di Gioia Tauro vendono alla Fanta (Nestlè), vengono pagate mediamente negli ultimi anni intorno agli 8 centesimi al Kg. 

I produttori locali per stare nel prezzo sfruttano bestialmente i migranti africani (per lo più nigeriani) pagandoli 20 euro per 10 ore di lavoro (di cui 5 euro vanno al ‘caporale’ che li recluta) e facendoli dormire e mangiare in condizioni disumane. 

Da questa condizione materiale sono nati i tristemente famosi ‘fatti di Rosarno’ del Gennaio 2010.

Da questa stessa condizione è nata anche l’idea che fosse possibile dare dignità al lavoro dei braccianti attraverso la vendita diretta ai GAS (Gruppi d’acquisto solidali) di Toscana, Lombardia, Piemonte e di altre regioni del Centro-Nord. 

Nasce così S.O.S. 

Un consorzio di piccoli produttori che pagano regolarmente e registrano i migranti grazie al fatto che i GAS pagano le arance a 35-40 centesimi al chilo, pur facendoli pagare ai propri soci/acquirenti meno di quello che pagano al supermercato. 

Il Consorzio Goel, che ha ormai una struttura di produzione e vendita significativa, vive grazie a queste reti (GAS, Commercio equo, comunità) che garantiscono un prezzo socialmente sostenibile. 

Dalle confische di beni/aziende può nascere un'altra economia, basata sui principi del fair trade e sulle reti dell’economia solidale.

In poche parole: dalla putrefazione del capitalismo, di cui l’economia criminale è parte costituente, possono nascere i fiori di una nuova società più umana e vivibile.

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