Quantificare le responsabilità nazionali della crisi climatica: un approccio basato sull'uguaglianza.

tratto da da "The Lancet Planetary Health"; di J. Hickel.

https://doi.org/10.1016/S2542-5196(20)30196-0

Questa analisi è incardinata nel principio dell'accesso equo pro capite ai beni comuni atmosferici.

Per questa ricerca, sono state determinate "quote eque nazionali del bilancio globale di carbonio coerenti con il limite planetario di 350 ppm". 

Queste quote "eque" sono state quindi sottratte dalle emissioni storiche effettive dei paesi (emissioni territoriali dal 1850 al 1969 ed emissioni basate sul consumo dal 1970 al 2015) per determinare la misura in cui ciascun paese ha superato, o meno, il limite della propria quota equa. 

Attraverso questo approccio, è stata calcolata la quota di responsabilità di ciascun paese per le emissioni globali eccedenti il ​​confine planetario.

A partire dal 2015:

  • gli Stati Uniti erano responsabili del 40% delle emissioni globali di CO2 in eccesso;

  • L'Unione Europea (UE-28) era responsabile del 29%;

  • Le nazioni del G8 (Stati Uniti, UE-28, Russia, Giappone e Canada) erano insieme responsabili dell'85%;

  • I paesi classificati dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici come nazioni dell'allegato I (cioè i paesi più industrializzati) sono stati responsabili del 90% delle emissioni in eccesso;

  • Il Nord globale era responsabile del 92%. 

Al contrario, la maggior parte dei paesi del Sud del mondo rientrava nei propri limiti di fair share, comprese India e Cina (sebbene la Cina li avrebbe presto superati).

Queste cifre indicano che i paesi ad alto reddito hanno un grado maggiore di responsabilità per i danni climatici rispetto a quanto era stato in precedenza calcolato.

Questi risultati offrono un quadro giusto per l'attribuzione della responsabilità nazionale per le emissioni in eccesso e una guida per determinare la responsabilità nazionale per i danni legati al cambiamento climatico, coerentemente con i principi dei confini planetari e della parità di accesso ai beni comuni atmosferici.

La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), include il principio delle "responsabilità comuni ma differenziate e le rispettive capacità di risposta". 

Questo principio è stato ampiamente utilizzato per determinare responsabilità nazionali differenziali per gli sforzi di mitigazione. 

Ma il principio delle responsabilità differenziate può essere applicato anche all'allocazione delle responsabilità per il cambiamento climatico stesso e per i danni ad esso connessi, sulla base del fatto che i paesi che hanno contribuito di più alle emissioni globali sono più responsabili dei problemi correlati rispetto a quelli che hanno contribuito di meno. 

Esistono vari approcci per misurare la responsabilità nazionale per il cambiamento climatico. 

I negoziati e gli accordi nell'ambito dell'UNFCCC sono incentrati sulle attuali emissioni "territoriali". 

Sulla base di questo approccio, la responsabilità della Cina è più del doppio di quella degli Stati Uniti, e l'India è appena dietro l'Unione Europea.

Quando si parla di cambiamento climatico, tuttavia, ciò che conta sono le scorte di CO2 nell'atmosfera e non i flussi annuali: la responsabilità deve dunque essere misurata in termini di contributo di ciascun paese alle "emissioni storiche cumulative". 

Utilizzando il 1850 come anno di riferimento, gli Stati Uniti e l'UE-28 sono circa due volte più responsabili della Cina, mentre l'India è responsabile solo di una piccola frazione delle emissioni storiche.

Tuttavia, considerare le sole emissioni storiche dei paesi non è adeguato, date le differenze nella dimensione della popolazione. 

Ad esempio, la Cina potrebbe aver contribuito in modo sostanziale alle emissioni cumulative, ma ha anche una popolazione molto più numerosa rispetto ad altri paesi (ad esempio, è circa quattro volte maggiore di quella degli Stati Uniti). 

Qualsiasi metrica utilizzata dovrebbe responsabilmente tenere conto di questa discrepanza. 

Così facendo la responsabilità nazionale degli USA risulta proporzionalmente superiore, mentre quella della Cina proporzionalmente inferiore.

Ad oggi, non c'è stato un solido tentativo di quantificare le responsabilità nazionali per i danni ecologici, sociali ed economici causati dall'eccesso di emissioni di CO2. 

Gli approcci predominanti alla concettualizzazione della responsabilità nazionale per le emissioni si concentrano sulle "attuali emissioni territoriali annuali", o in alcuni casi sulle emissioni territoriali cumulative: modalità che non tengono conto della scala delle emissioni nazionali né della dimensione della popolazione dei paesi. 

La letteratura sul debito climatico affronta questa limitazione, riconoscendo il principio dell'accesso pro capite "eguale" ai beni comuni atmosferici.

Ma nessun metodo esistente ha tentato di quantificare la responsabilità delle emissioni in termini di "consumo", in modo da tenere conto anche del commercio internazionale.

Questa analisi, utilizzando il più possibile i dati sulle emissioni basati sui consumi, procede dal principio che tutti i paesi dovrebbero avere eguale accesso ai beni comuni atmosferici in termini pro capite (principio qui definito come quota equa di un bilancio di carbonio globale sicuro, coerente con il limite planetario di 350 ppm di concentrazione atmosferica di CO2).

Basarsi su questo principio consente lo sviluppo di un metodo giusto per attribuire la responsabilità nazionale per le emissioni globali eccedenti il ​​confine planetario e per concettualizzare e quantificare il debito climatico.

I risultati di questa analisi dimostrano che i paesi ad alto reddito hanno un grado di responsabilità per i danni climatici sostanzialmente più elevato di quanto ci si potrebbe aspettare guardando semplicemente alle "emissioni territoriali nazionali attuali o cumulative". 

È di particolare importanza sottolineare innanzitutto che i paesi a basso reddito soffrono in modo sproporzionato i danni climatici, nonostante non abbiano affatto contribuito all'eccesso di emissioni.

È necessario partire dal principio che l'atmosfera è una "risorsa condivisa e finita" e tutte le persone hanno diritto a una quota uguale di essa.

I Paesi che hanno superato la loro quota equa hanno un "debito climatico" nei confronti dei paesi che sono rimasti entro la loro quota.

Le concentrazioni di CO2 hanno superato i 350 ppm nel 1990, momento in cui si può affermare che il cambiamento climatico abbia iniziato a essere un problema, causando quello che nella presente analisi viene chiamato "crollo climatico". 

Calcolando la CO2 totale emessa dal 1850 al 1990, è stato ricavato il budget per le emissioni storiche accumulate all'interno del confine planetario (830 gigatonnellate). 

Questo budget è stato distribuito tra i paesi in base alla popolazione di ciascun paese come quota della popolazione mondiale, con una media delle popolazioni dal 1850 al 2015 (l'ultimo anno dei dati basati sui consumi). 

Questo approccio ha permesso di determinare la giusta quota del confine planetario di ciascun paese. 

La responsabilità è stata misurata in termini di superamento di ogni paese in proporzione al totale dei "superamenti nazionali". 

Alcuni paesi hanno emissioni cumulative che rientrano interamente nella loro quota equa di confine. 

Tali paesi sono in uno stato di "undershoot" e non hanno (né si assumono) alcuna responsabilità per il crollo climatico; detengono invece, un credito sul clima rispetto ai paesi che superano il limite, e i paesi che lo superano, a loro volta, hanno con i primi un debito climatico. 

Gli Stati Uniti sono responsabili del 40% del crollo climatico. 

Gli USA e l'UE-28 insieme sono responsabili del 69%. 

I paesi del G8 (Stati Uniti, UE-28, Russia, Giappone e Canada) sono insieme responsabili dell'85%.

La maggior parte dei paesi del mondo (108 dei 202 in questo set di dati) è in credito climatico. 

L' India ha 90 miliardi di tonnellate di CO2, ovvero il 34% del credito totale. 

La Cina ha 29 miliardi di tonnellate di CO2. 

Secondo questo metodo, quindi, la Cina non è responsabile del crollo climatico, almeno fino al 2015. 

Tuttavia, dato che le sue emissioni annuali  sono di circa 9 miliardi di tonnellate all'anno, presto la Cina supererà la sua giusta quota e da allora in poi contribuirà ai guasti del clima.

I paesi ad alto reddito non devono solo ridurre le emissioni a zero più rapidamente di altri paesi, ma devono anche pagare i loro debiti climatici, che qui sono concettualizzati rispetto al confine planetario. 

I danni subiti dai paesi che hanno superato il limite a causa del riscaldamento globale, dovrebbero essere risarciti dagli altri paesi che hanno superato il limite, ciascuno in proporzione alla propria responsabilità.

Un processo di "colonizzazione atmosferica".

Un piccolo numero di paesi ad alto reddito si è appropriato, in modo sostanziale, di una quota maggiore di beni comuni atmosferici di quanto fosse ritenuto "equo".

Molti di questi paesi hanno fatto affidamento sull'appropriazione di manodopera e risorse dal Sud del mondo per la propria crescita economica, così come hanno fatto affidamento sull'appropriazione dei beni comuni atmosferici globali, con conseguenze che danneggiano oggi, in modo sproporzionato, proprio il Sud del mondo.

Ciò solleva interrogativi sull'entità della responsabilità. 

È ormai noto che i processi di industrializzazione dei paesi ad alto reddito sono stati socialmente ed ecologicamente dannosi (ad es. colonialismo, recinzioni delle terre, tratta degli schiavi, estrattivismo, deforestazione, inquinamento e così via) quanto le emissioni, generalmente proporzionate alla scala e all'intensità dell'attività industriale. 

Le emissioni di CO2, infatti, sono solo "una delle molteplici manifestazioni" di un processo che ha provocato, e tuttora provoca, un'ampia gamma di danni noti ormai da tempo.

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