Oceano: un mondo sommerso, da sempre globalizzato, dove tutto è molto più collegato di quanto sembri.
tratto da "Oceani, il futuro scritto nell'acqua" (cap.4); di S. Carniel.
Da un mare di pesci a un mare di meduse
Uno degli esempi più lampanti di effetti non facilmente prevedibili legati alle azioni umane sul mare, è quello della proliferazione delle meduse, in rapida diffusione nel mar Mediterraneo.
Le meduse sono ammassi sostanzialmente gelatinosi, le loro cellule sono contenute in una matrice extracellulare particolarmente sviluppata, che a noi appare appunto come una gelatina.
Sono organismi semplici, formati per più del 90% da acqua, ma sono anche molto antichi, dato che popolano gli oceani da almeno 500 milioni di anni.
Per quanto affascinanti siano i loro movimenti sinuosi in mare aperto esse rappresentano una presenza spesso sgradita e talvolta pericolosa per i bagnanti, a causa di piccole capsule contenenti veleno presenti sui loro tentacoli.
Sebbene non tutte le meduse siano urticanti, la loro presenza eccessiva è comunque indice di un problema profondo.
Alla base del cambiamento di regime, che porta alcuni studiosi ad affermare che stiamo assistendo al passaggio da un "mare di pesci" a un "mare di meduse", pare esserci proprio il sovrasfruttamento di pesce da parte dell'uomo.
Le meduse sono esseri straordinari nella loro semplicità; capaci di passare la maggior parte della propria esistenza portate a zonzo delle correnti, beneficiano del fatto che in alcune aree i loro predatori principali, appunto pesci e tartarughe, siano così in calo da lasciar loro la possibilità di svilupparsi in maniera incontrollata.
Dato poi che le meduse tipicamente si nutrono di plancton e larve di molluschi, tanto quanto amano fare gli altri pesci, ecco servito un bell'esempio di retroazione (o feedback) positiva: se i pesci calano, anche a causa dell'eccessiva pesca, le meduse si trovano ad avere meno competitors nell'accaparrarsi plancton e larve, così sfruttano questo vantaggio per aumentare di numero, finendo poi anche per cibarsi di uova e larve degli stessi pesci, che così saranno ancora di meno.
Impatti profondi
Non dobbiamo commettere l'errore di credere che i problemi principali degli oceani riguardino solo le zone costiere.
Nel corso degli ultimi decenni, il progressivo sfruttamento delle risorse marine è andato via via trasferendosi anche ai mari profondi.
Questi ultimi erano a lungo rimasti immuni da sforzi di pesca eccessivi, soprattutto a causa di impedimenti logistici e dell'abbondanza di pesce reperibile in zone più accessibili.
Ora sono divenute bersaglio di attività di pesca particolarmente invasive, come quelle associate a gigantesche reti zavorrate, che raccolgono in modo non selettivo tutto quello che trovano quando vengono trascinate sul fondo.
Seppure meno appariscente anche dal punto di vista mediatico, la pesca indiscriminata nei mari profondi può avere effetti devastanti su una serie di organismi più o meno sensibili, e non solo commestibili, come i coralli di profondità, le cui comunità sono state messe a rischio nel volgere di poche decine di anni.
Ma gli abissi oceanici non interessano l'uomo soltanto come riserva di pesce.
Lo sanno bene le grandi compagnie petrolifere che continuano a ricercare serbatoi di energia fossile anche a chilometri di profondità, o le aziende che studiano il modo di portare in superficie il gas metano intrappolato da una gabbia di acqua ghiacciata negli idrati di metano, riserve di energia che si formano solo a basse temperature ed elevate pressioni lungo i margini delle piattaforme continentali.
Non vanno poi dimenticate le grosse spinte verso un crescente utilizzo minerario dei fondali, dove troviamo metalli nobili sotto forma di noduli di varie dimensioni, come i noduli di manganese, che contengono anche nichel, rame, cobalto ma anche quantità significative di oro e diamanti.
In tutti questi casi si può facilmente immaginare specifiche questioni di diritto internazionale sulla proprietà di alcuni fondali e le enormi difficoltà delle operazioni estrattive, unitamente alla grande fragilità di aree particolarmente vulnerabili.
Reti fantasma, minaccia concreta
Il rapporto tra oceani e uomini è dunque cambiato, e non solo per l'accresciuta capacità di questi ultimi di prelevare risorse dai mari, ma anche per la possibilità, tutta di natura umana, di immettere nuove sostanze di sintesi che risultano essere non degradabili dal sistema che le riceve.
Non è difficile infatti imbattersi in una serie di reti di pesca di materiale plastico, tipicamente nylon, abbandonate o perse da pescatori e ora fluttuanti a pochi metri dai fondali.
Queste possono costituire per pesci ed altri animali un grave pericolo, ma la plastica non minaccia il mare solo con queste reti fantasma; in generale ammassi ondeggianti di sacchetti di plastica, bottigliette e pezzi frantumati derivanti da imballaggi vari, sono forse il simbolo più impressionante dell'impatto dell'uomo sui mari.
Oltre a essere un chiaro esempio di come pochi rifiuti prodotti da singoli individui, se moltiplicati per miliardi di produttori, possono diventare troppi anche per il pianeta; questi rifiuti sono anche responsabili della scomparsa di migliaia di tartarughe, delfini, zifi, cetacei e altri organismi marini.
In molti casi le plastiche galleggianti vengono ingerite, scambiate per pesce da consumare (in genere calamari), in altri casi rappresentano trappole mortali per organismi che non hanno la possibilità di liberarsi.
In aggiunta, la plastica non biodegradabile è particolarmente deleteria per l'ecosistema marino anche in situazioni meno evidenti; moltissimi rifiuti galleggianti di natura plastica, soprattutto di piccole dimensioni, convergono e si accumulano grazie ai vortici delle correnti oceaniche, come accade in un'ampia zona dell'Oceano Pacifico nota come "Pacific Garbage Patch", che ha ormai raggiunto dimensioni impressionanti.
Così negli ultimi anni una nuova minaccia, legata al proliferare delle microplastiche ha fatto la sua comparsa.
Sono prodotti derivanti dalla frammentazione di pezzi di dimensioni maggiori ma anche dalla degradazione dei cosmetici e dal lavaggio di tessuti elasticizzati.
Frammenti invisibili a occhio nudo che sfuggono anche ai sistemi di filtraggio dei depuratori e che, una volta raggiunti i mari, possono essere ingeriti direttamente dagli organismi acquatici.
Il fatto che prodotti di sintesi di natura plastica entrino direttamente nelle catene alimentari, sta generando una serie di problematiche che, se possibile, sono ancora più preoccupanti di quelle associate alle macro plastiche.
Un recente studio ha certificato quanto questo problema sia particolarmente significativo nel mar Mediterraneo, dove in un solo chilometro quadrato sono spesso contati in media anche più di un milione di frammenti.
Gli effetti legati alla somma dei vari impatti che l'uomo crea sugli oceani, convergono verso la modifica della biodiversità e il degrado degli ecosistemi marini.
In un mare sporco, non limpido, in cui non filtra la luce, non è possibile la fotosintesi clorofilliana del plancton e quindi la produzione stessa di ossigeno per gli oceani e per l' atmosfera.
Un mare che funziona in modo equilibrato contribuisce invece a mantenere un clima più stabile sulla terra, rimuovendo CO2 in eccesso dall'atmosfera.
Erosione costiera
Uno dei momenti in cui più facilmente ci si rende conto di come atmosfera, oceani e terra siano veramente collegati tra loro è quando si passeggia lungo le spiagge durante una mareggiata.
Venti intensi possono scatenare onde e correnti marine così significative da riuscire a spostare in poche ore tonnellate di sedimenti, cambiando la linea di riva abitualmente visibile.
L'erosione costiera è il risultato diretto e indiretto di alterazioni del ciclo dei sedimenti e avviene per cause naturali o antropiche.
Le coste italiane più basse e sabbiose sono ovviamente più esposte a tale rischio; se la cavano meglio quelle rocciose o quelle delle isole maggiori.
In ogni caso, nel complesso, la situazione italiana non è rasserenante: risulta che la costa italiana nel periodo 1960-2012 abbia subito un arretramento per 35 km quadrati, peraltro mitigato da ingenti opere di ripascimento artificiale.
La spiaggia è una struttura dinamica, che perde sedimenti verso il mare quando il clima meteo marino diventa particolarmente severo ma allo stesso tempo, per rimanere grosso modo stabile, la spiaggia emersa deve essere rifornita di terra e di sedimenti portati dai fiumi vicini, e rimanere protetta da difese naturali come dune costiere, spesso create dal vento stesso.
Accade invece, quasi sempre, che il corso dei fiumi venga imbrigliato e i fiumi costretti a depositare prima il loro carico di sedimenti.
Inoltre la battigia viene regolarmente spianata per consentire una migliore fruizione turistica.
Altre cause di disequilibrio della linea di costa sono riconducibili ad opere marittime e porti, spesso realizzati senza tenere adeguatamente conto delle interferenze con la distribuzione lungocosta degli apporti solidi.
Attacchi multipli
L'aspetto forse più preoccupante dello stato attuale della salute degli oceani è rappresentato dal fatto che si trovano a fronteggiare una manovra "accerchiante", rappresentata da minacce multiple e non solo da un singolo attacco o una singola emergenza.
L'esempio degli oceani profondi è ancora più paradigmatico: in essi si concentrano pesca indiscriminata, riscaldamento, acidificazione, sfruttamento di risorse sottomarine eccetera...
Per questo bisogna necessariamente aumentare la comprensione degli ambienti marini e investire di più in ricerca scientifica.
Occorre condurre studi in modo interdisciplinare, abbandonando gli steccati delle singole discipline, affrontando le interazioni tra fisica e chimica, biologia ed economia, ma è anche necessario impostare un nuovo processo che coinvolga e faccia sentire partecipe la totalità degli utilizzatori del mare; a partire da pescatori, cittadini e aziende.
Questo mondo sommerso, dove tutto è molto più collegato di quanto sembri, dove tutto è da sempre globalizzato e del quale noi uomini non vediamo che una piccolissima parte, sta correndo oggi enormi rischi.
In fondo esiste un "solo grande oceano" e vale davvero la pena di ricordare che l'umanita dovrebbe cercare di rendere la sua impronta ecologica più lieve, per evitare di andare incontro a un futuro dove le nostre azioni produrranno solchi sempre più profondi.
È necessario cercare di lasciare, durante il nostro passaggio, tracce più lievi che possano essere assorbite: impronte più leggere, di questo abbiamo bisogno, impronte come quelle lasciate sulla spiaggia, che le onde del mare cancellano in un attimo.
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