Il Green Deal europeo: un esercizio di necropolitica che intensifica le relazioni di mercato, l'estrazione e la colonizzazione infrastrutturale.
tratto da "Necropolitica del Green Deal europeo: esplorare la transizione energetica 'verde', la decrescita e la colonizzazione infrastrutturale";
di A. Dunlap e L. Laratte.
Il Green New Deal (GND) pur apparendo promettente in numerosi settori rende persistente, in materia di sviluppo delle infrastrutture energetiche, una falsa dicotomia tra combustibili fossili ed energia rinnovabile.
Il Green New Deal 'mainstream'
Il GND è una narrazione modernista che afferma di voler "rendere i settori dell'elettricità e dei trasporti sostenibili al 100% entro il 2030", e "decarbonizzare completamente l'economia entro il 2050".
Ma questa proposta di dispiegamento rapido ed esteso di infrastrutture a basse emissioni di carbonio, caratteristica dei principali GND e del Green Deal europeo (EGD), ignora le logiche estrattive, il consumo di suolo e le realtà economiche di sfruttamento che si celano dietro le cosiddette "energie rinnovabili".
Nell'articolato dibattito tra modernismo socialista e decrescita, tuttora persistente, insistono aspre contese: sull'ontologia (es. materialismo vs animismo), sullo sviluppo infrastrutturale e sull'integrazione tecnologica.
La definizione di decrescita fornita da Hickel e altri è la seguente: un "ridimensionamento pianificato dell'uso di energia e materiali, per riportare l'economia in equilibrio con il mondo vivente in modo sicuro, giusto ed equo".
La decrescita sfida il capitalismo e l'industrialismo, cercando di raggiungere al contempo una sostenibilità sociale, materiale ed ecologica.
La violenza e le problematiche derivanti dalle infrastrutture a basse emissioni di carbonio sono infatti ampiamente sottostimate.
Le conseguenze dell'estrattivismo dovuto allo sviluppo di infrastrutture a basse emissioni di carbonio e la logica centralizzata delle "energie rinnovabili", si mescolano con l'ambiguo abbraccio del GND.
Di recente Mastini, Kallis e Hickel, hanno insistito fermamente sull'importanza di finanziare una transizione energetica "senza crescita"; affermando esplicitamente che: "sostituire un'industria rapace dei combustibili fossili con un'industria altrettanto predatoria delle energie rinnovabili, non è in linea con i principi della giustizia globale".
La giustizia nella catena di approvvigionamento dovrebbe dunque essere messa in primo piano nella transizione energetica, per garantire che i materiali necessari vengano gestiti col massimo impegno verso la giustizia sociale e ambientale, in Europa come in tutto il mondo.
Il GND si configura dunque come un "progetto di crescita verde eco-modernista", costruito per rafforzare la governance statale e i meccanismi di mercato; la logica che lo sostiene rivendica una sorta di "salvezza tecnologica", perseguita attraverso veicoli elettrici, digitalizzazione e infrastrutture a basse emissioni di carbonio.
È utile perciò interrogarsi sul perché queste infrastrutture (e queste tecnologie) vengano definite "pulite", "sostenibili" e "rinnovabili".
Le retoriche "verdi" infatti, non possono permettere che lo sfruttamento intensivo di risorse venga considerato non solo compatibile con il cambiamento climatico, ma addirittura necessario per la “mitigazione”'.
È importante quindi sottolineare l'importanza di discutere di decrescita, prendendo sul serio tanto i costi derivanti dallo sviluppo delle infrastrutture energetiche quanto la necessità di abbracciare diverse forme di resistenza ad esse.
Necropolitica verde
La necropolitica, spiega Achille Mbembe, è la «sottomissione della vita al potere della morte»; la necropolitica riconosce la morte come "implicita" nel potere dello stato.
L'economia necropolitica impone la liberalizzazione del mercato energetico (nell'ambito dell'EGD), rafforzando e alimentando i successivi processi necropolitici.
L'estrazione necropolitica agisce brutalmente nelle attività minerarie, necessarie per la transizione verso l'energia verde.
Le infrastrutture tecno-industriali, celebrate in nome della biopolitica, che dovrebbero garantire il diritto alla salute e alla sicurezza (e l'accesso ai servizi), dispiegano in realtà necropolitiche immediate, visibili o nascoste, che si estendono anche alle infrastrutture a basse emissioni di carbonio.
La rapida diffusione delle energie rinnovabili attualmente in atto, promossa nell'ambito del GND e dell'EGD, sta infatti colonizzando visibilmente vasti ecosistemi e complessi quanto fragili habitat.
Questa colonizzazione, tuttavia, è spesso invisibile, a causa dell'illusione popolare che queste infrastrutture siano "verdi", "rinnovabili" e rispettose dell'ambiente.
Le infrastrutture a basse emissioni di carbonio sono invece necropolitiche, a causa degli impatti socio-ecologici distribuiti su più siti.
Il GND è implicitamente giustificato biopoliticamente, perché afferma di essere rispettoso dell'ambiente, di creare posti di lavoro, crescita economica, sostegni agricoli su piccola scala, "energia rinnovabile" e così via, ma questa retorica nasconde realtà estrattive necropolitiche preesistenti e in continua espansione.
Le infrastrutture colonizzano i paesaggi rimodellando, degradando e distruggendo gli habitat; nel frattempo "si costruisce" un apparato fisico e psicosociale progettato a supporto e giustificazione di tali operazioni.
Le infrastrutture a basse emissioni di carbonio, come quelle per l'energia eolica o solare, non solo sono intrecciate con le industrie di idrocarburi esistenti ma esemplificano una sorta di "brutalismo modernista"; una forma di invasione infrastrutturale.
La cosiddetta "energia rinnovabile" comprende in realtà l'utilizzo di idrocarburi in ogni fase della produzione: dall'estrazione di risorse minerarie, al funzionamento e lo smantellamento degli impianti.
Questo intimo intreccio (e dipendenza) dagli idrocarburi, è il motivo per cui un nome più corretto per "rinnovabili" sarebbe, in realtà, "combustibili fossili + tecnologia".
Immaginare talune infrastrutture energetiche come "meno brutali", significa ignorare le loro relazioni con i processi di mercato, con le realtà delle reti di approvvigionamento estrattivo e con la colonizzazione del paesaggio.
Il brutalismo delle infrastrutture verdi, intensificato dal Green Deal europeo (EGD), chiede alle persone di "ripensare" il modo in cui relazionarsi con lo sviluppo estrattivo, con il mercato e le infrastrutture energetiche, e di ignorare le molteplici conseguenze necropolitiche che insieme cumulativamente producono.
Giustizia ambientale
Gli anni '80 hanno visto la politica ambientale trasformarsi in un veicolo per la crescita capitalistica, la produzione e l'espansione tecnologica.
La diffusione di pannelli solari, turbine eoliche e impianti di accumulo è stata la direzione indiscussa intrapresa per la cosiddetta "sostenibilità".
I sostenitori della giustizia ambientale (EJ) e gli ecologisti politici, sono stati però tra i primi a richiamare l'attenzione sullo sviluppo dell'energia eolica su scala industriale; una questione che ha fatto proliferare conflitti e preoccupazioni in grande quantità.
Studi di giustizia ambientale hanno esaminato la qualità della partecipazione alla progettazione, le capacità locali di partecipare alla pianificazione e infine le modalità attraverso cui "costi e benefici ambientali" vengono distribuiti tra le popolazioni.
Le politiche neoliberiste ignorano apertamente tutta una serie di delicate preoccupazioni ontologiche e culturali ormai ampiamente riconosciute.
Con tali presupposti si rischia di imporre a popoli indigeni ed autonomisti, progetti (statalisti-colonialisti) che si traducono, per le comunità locali, nella perdita del controllo territoriale e dei mezzi di sussistenza.
Ciò sottolinea, ancora una volta, l'importanza della giustizia ambientale critica, decoloniale e anarchica.
All'interno dell'ecologia politica c'è ampio consenso sul fatto che la progettazione partecipativa e l'equa distribuzione di costi e benefici possano migliorare lo sviluppo regionale e l'accettazione sociale, mitigando di conseguenza i conflitti ambientali.
Eppure, ci ricorda Susana Batel, gran parte dei lavori sull'"accettazione sociale" delle infrastrutture energetiche concettualizza l'opposizione locale come "deviante"; qualcosa da comprendere solo per essere superata.
L'opposizione (o il disaccordo), soprattutto in materia di infrastrutture cosiddette "sostenibili" e "rinnovabili" era, ed è tuttora in una certa misura, intrinsecamente ignorata e considerata un "ostacolo da superare".
Le aziende nel frattempo, avvalendosi dell'assistenza di scienziati sociali, tentano di dissuadere l'opposizione con la persuasione o la forza.
Le lotte per l'autonomia, per l'armonia socio-ecologica e la decrescita antiautoritaria (che coltivano "alternative allo sviluppo"), sfideranno la "transizione energetica verde": per rettificare le pretese dell'EGD.
Le preoccupazioni socio-culturali ed ecologiche non dovrebbero mai essere subordinate allo sviluppo del progetto, perché quest'ultimo afferma sempre la necessità di dare priorità alla convenienza capitalista e al progresso tecnico e infrastrutturale.
Decrescita
Il concetto di decrescita offre importanti spunti di riflessione, che si concentrano sul contributo al "Green New Deal for Europe": un breve e conciso rapporto collaborativo, organizzato attorno a slogan di carattere generale.
Sebbene il GND utilizzi una retorica ambientale più socialmente consapevole, esso fa molto affidamento su "scatole nere" concettuali quali "transizione energetica" ed "energia rinnovabile".
Kallis e altri sottolineano invece che la produzione di energia localizzata a basse emissioni di carbonio (soprattutto energia solare ed eolica), pur crescendo rapidamente, non solo non ha ridotto l'uso di combustibili fossili ma ha aggiunto "più energia al sistema".
Le infrastrutture per "combustibili fossili +" richiedono infatti idrocarburi in ogni fase della loro "vita".
I decrescisti e in particolare Hickel, attingendo ad un rapporto della Banca Mondiale, riconoscono quanto intensa sia la realtà estrattiva alla base delle tecnologie "combustibili fossili +".
La proposta decrescista afferma pertanto che: finché la domanda di energia continuerà ad aumentare è improbabile che si riuscirà a distribuire abbastanza energia pulita nel breve tempo che rimane.
Ridurre la scala del consumo energetico globale renderebbe più facile realizzare una rapida transizione verso le energie rinnovabili.
Tuttavia, la combinazione "combustibili fossili + tecnologie" (nell'ambito dell'EGD) è organizzata per fare esattamente ciò che Hickel critica.
L'idea alla base dell'utilizzo dell'energia pulita per alimentare un sistema di "crescita verde" è di poter continuare a far crescere la produzione e il consumo di materiali; altrimenti perché dovremmo continuare a far crescere la domanda di energia?
Il passaggio all'energia pulita, così progettato, non farà nulla per rallentare tutte le altre forme di degrado ecologico.
La lotta per una trasformazione socio-ecologica, riparatrice e di "decrescita", rimane una battaglia centrale.
"Decrescita", spiega Hickel, significa "decolonizzazione delle terre, dei popoli e persino delle nostre menti.
Rappresenta la de-clausura dei beni comuni, la de-mercificazione dei beni pubblici e la de-intensificazione del lavoro e della vita.
Rappresenta la 'de-cosizzazione' degli esseri umani e della natura, e può dare un grande contributo all'attenuazione della crisi ecologica".
La decrescita può aprire nuovi "spazi di possibilità": muoverci dalla scarsità all'abbondanza, dall'estrazione alla rigenerazione, dal dominio alla reciprocità, dalla solitudine (e la separazione) alla connessione con un mondo che brulica di vita.
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