La svolta autoritaria: l'oligarchia globale al potere è estremamente concentrata e molto ristretta.

tratto da "Cronache anticapitaliste" (cap 5-6); di D. Harvey.

Alle elezioni dell'8 ottobre 2018 in Brasile, Jair Bolsonaro aveva ottenuto il 46% dei voti al primo turno, il 10% in più di quel che prevedevano i sondaggi; molto più di quanto ci si aspettasse. 

Ci sono vari aspetti interessanti in questo risultato, perché Bolsonaro è un candidato di destra un po' sgradevole, intollerante e imprevedibile. 
Tanto per cominciare, l'esito del voto ha innescato un enorme balzo della borsa brasiliana: il giorno successivo l'indice è salito del 6%. 

La risposta all'elezione di Bolsonaro è stata molto positiva; perché?

In fin dei conti non c'era nulla nella sua storia personale che facesse pensare a una sua particolare inclinazione a favore del mondo degli affari; da parlamentare era stato una sorta di indipendente che faceva a modo suo nell'estrema destra. 
Aveva centrato la campagna elettorale principalmente sul tema della lotta alla corruzione, cosa che avrebbe messo in difficoltà molte aziende e non solo molti politici. 
C'è una bella differenza però tra affrontare di petto la corruzione e usarla come uno strumento per colpire gli avversari; è certo ci sia un bel po' di corruzione in Brasile, ma non vi è dubbio che venga usata sostanzialmente per ridurre all'impotenza la sinistra e non per colpire la destra. 
Così quando Bolsonaro dice di voler combattere la corruzione, abbastanza chiaramente intende dire che vuol combattere la corruzione nel partito dei lavoratori e nella sinistra; ma questo succede in tutto il mondo di questi tempi. 

Bolsonaro inoltre non nasconde la sua ammirazione per la dittatura militare che ha avuto il potere in Brasile negli anni 70-80: "i militari", dice "hanno garantito la sicurezza" (di qualcuno).
Bolsonaro ha sostenuto che forse era quello che sarebbe servito per garantire la sicurezza della popolazione e per porre un freno alle attività criminali fuori controllo, in particolare nelle favelas, dove lo spaccio di sostanze stupefacenti e le gang la facevano da padroni. 

C'è da chiedersi allora perché tutti gli uomini della finanza e il mercato azionario brasiliano si siano schierati con lui dicendo: "Questo è quello che vogliamo; è quello di cui abbiamo bisogno".

Bolsonaro ha un consigliere finanziario, un economista che si chiama Paolo Guedes, che si è formato a Chicago. 
La stessa Chicago che ha fornito al generale Pinochet i "Chicago Boys", all'indomani del colpo di stato del 1973 in Cile che ha destituito Salvador Allende.
L'economia cilena fu allora ripensata nei termini della teoria economica di Chicago.
In quel frangente i Chicago boys diventarono importanti per la prima ondata del neoliberismo, che travolse l'America Latina dopo il colpo di stato di Pinochet.

Così, passati 40 anni circa, ci si è trovati nuovamente di fronte ad un economista di Chicago che dice di essere favorevole alla privatizzazione, all'austerità fiscale, al pareggio di bilancio, al taglio dei programmi sociali per i poveri.

Guedes è un sostenitore delle privatizzazioni di tutto il patrimonio dello Stato e del ridimensionamento del sistema brasiliano delle pensioni statali. 

Era questo che il mercato azionario festeggiava; non era particolarmente interessato a Bolsonaro personalmente, ma al fatto che Guedes diventasse ministro delle finanze e alle politiche neoliberiste che questi avrebbe messo in atto. 

Quando si è insediato al ministero, Guedes ha infatti annunciato che avrebbe seguito le orme del Cile di Pinochet.

La politica americana 

Gestito da un numero relativamente piccolo di persone ricchissime e di grandi aziende, spesso sembra che ci sia un unico partito politico negli Stati Uniti, il "partito di Wall Street", che semplicemente si divide in due ali.

Una finanzia la parte dei repubblicani, l'altra i democratici: entrambi i partiti dipendono dai finanziamenti della classe capitalista. 
Entrambe le ali sostengono il progetto neoliberista in generale.
Entrambe sostengono specifici progetti sociali e culturali, seppur con qualche divergenza specifica, ed entrambe concordano su un tipo limitato di multiculturalismo nonché sulla totale deregolamentazione dei mercati.

Esiste una configurazione di potere economico che interviene nella politica, che si trova in questo momento a decidere cosa fare a proposito della politica nazionalista, se non addirittura nazista, dell'estrema destra.

La tendenza politica ad una dittatura neo militare, come nel caso del Brasile, sta guadagnando un certo consenso nella comunità degli affari.

La comunità degli affari continua a dare il suo sostegno a politiche di destra ma, se non può più farlo mediante mezzi neoliberisti convenzionali (come negli anni Ottanta e Novanta, o con il supporto alle politiche autoritarie degli anni 2000), sembra pronta a dirottare il suo sostegno verso politiche neofasciste. 

Non che sia inevitabile, ma esistono oggi segni premonitori che il progetto neoliberista sia in pericolo e che stia perdendo terreno e legittimazione; così quelli che proseguono il progetto all'interno della comunità degli affari stanno cercando meccanismi di supporto popolare. 

L'oligarchia globale al governo è estremamente concentrata e molto piccola.
Da un rapporto di Oxfam sulla distribuzione della ricchezza, risulta che 8 persone detengono una ricchezza pari a quella del 50% più povero della popolazione mondiale; non molti anni fa quel livello di ricchezza e di potere era appannaggio di 350 individui.
In un certo senso il progetto neoliberista ha avuto fin troppo successo nel perseguire il suo obiettivo: una crescente concentrazione della ricchezza e del potere nelle mani della classe capitalista. 
Come questa concentrazione della ricchezza venga giustificata e legittimata e come verrà conservata, sono le grandi domande con cui dobbiamo confrontarci. 

Abbiamo intenzione di tollerare questa alleanza fra economia neoliberista e forze politiche neofasciste?

Alleanze del genere stanno già iniziando a emergere in tutto il mondo e in modi preoccupanti. 
Il fenomeno Bolsonaro in Brasile è reale, così come quello di Erdogan in Turchia, Orban in Ungheria o Modi in India.
Se consideriamo tutte queste figure vediamo come la situazione sia palesemente pericolosa. 
Per opporsi a questa evoluzione politica ci vorrebbe un movimento di massa e di opposizione, che contrasti l'alleanza fra neoliberisti e neofascisti, prima che diventi dominante. 

"Utopismo liberale"

Karl Polanyi preconizzava il superamento dell'economia di mercato e l'inizio di un'era di "libertà senza precedenti".

Questo passaggio al futuro è però bloccato da un ostacolo morale: l'utopismo liberale. 
Stiamo ancora affrontando i problemi posti da questa ideologia pervasiva, nei media e nel discorso politico, che sbarra la strada al raggiungimento di una libertà reale. 
Pianificazione e controllo, scriveva Polanyi, sono attaccati come "negazione della libertà": libera impresa e proprietà privata sono presentate invece come gli elementi "essenziali" della libertà. 

Questo è quanto propugnavano gli ideologi principali del neoliberismo; è ciò di cui parlava Milton Friedman o ciò su cui insisteva Hayek: la libertà dell'individuo dal dominio dello Stato può essere garantita (dicevano entrambi) solo in una società fondata sul diritto di proprietà privata e sulla libertà individuale in mercati liberi e aperti. 
Nessuna società che sia costruita su qualche altro fondamento merita, così dicono, di essere chiamata libera.

La libertà creata dalla regolamentazione viene denunciata come non libertà: la giustizia, le libertà e il welfare che offre sono denunciati come "schiavitù camuffata". 
Questo è uno dei temi fondamentali del nostro tempo: andremo al di là delle libertà limitate del mercato e delle sue determinazioni?

Andremo oltre la regolamentazione della nostra vita ad opera delle leggi della domanda e dell'offerta oppure, come sosteneva Margaret Thatcher, non esiste alternativa?

Per liberarsi dal controllo dello Stato si diventa dunque "schiavi del mercato"; sembra non ci sia alternativa e che oltre questo non possa esistere libertà. 
Questo è ciò che predica la destra ed è ciò in cui molti hanno finito per credere. 
È il paradosso della situazione attuale: nel nome della libertà, abbiamo adottato a tutti gli effetti un'ideologia utopistica liberale che è un ostacolo al raggiungimento della libertà reale. 

Non penso che sia un mondo di libertà quello in cui per avere un'istruzione o ricevere cure bisogna pagare cifre enormi, finendo per contrarre debiti che ci si porterà dietro molto, molto a lungo nel futuro: questa è "schiavitù del debito".

Bisogna avere un'istruzione libera, così come cure gratuite, garanzie di accesso ad un'abitazione o agli elementi basilari di un'alimentazione adeguata, eccetera...
Quel che abbiamo ora è, invece, libertà di investimento e libertà, per le classi superiori, di scegliere dove e come vivere.

Questo è il modo in cui le libertà del mercato limitano le possibilità; da questo punto di vista come suggerisce Polanyi: "dovremmo rendere collettiva la questione dell'accesso alle libertà". 

Casa, cura, istruzione, ecc... non devono più essere "cose" che semplicemente sono sul mercato, ma piuttosto "beni comuni".
Uno dei compiti fondamentali del socialismo contemporaneo è: "rendere le cose beni comuni".

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