Territori da riconquistare: crisi economica e crisi ambientale sono indissolubilmente legate.

tratto da "La conversione ecologica" (cap.3); di G. Viale.
Il passaggio dall'era dei combustibili fossili a quella delle energie rinnovabili, o anche solo la sua promozione, impone un cambio di paradigma. 

L'economia degli idrocarburi è un sistema centralizzato fatto di campi petroliferi e pozzi minerari distanti migliaia di chilometri dai suoi utilizzatori finali; fatto di oleodotti e gasdotti, di grandi petroliere, di convogli giganteschi e di navi carbonierie e metaniere, di raffinerie, di centrali di generazione elettrica di grande taglia, di elettrodotti ad alta tensione.

Un sistema di gestione e distribuzione, pubblica e privata, di dimensioni mondiali e di capitali proporzionati: un sistema che produce sempre più centralizzazione, dispotismo e guerre; il trasporto di queste fonti di energia determina inoltre una quota crescente dei costi ambientali ed economici della filiera. 

La logica di un'economia delle fonti rinnovabili richiede invece un sistema distribuito, che migliora la sua efficienza quanto più è decentrato. 

Ogni comunità potrà produrre, attraverso un mix di fonti che variano da un contesto all'altro, la maggior parte dell'energia che consuma e le reti di vettoriamento dell'energia elettrica saranno asservite esclusivamente al riequilibrio tra le diverse utenze. 

In realtà la logica con cui viene perseguito lo sviluppo delle fonti rinnovabili continua a ricalcare in gran parte l'impianto dell'economia delle fonti fossili: i casi estremi sono costituiti dalle grandi dighe idroelettriche, che devastano intere regioni, o da progetti destinati a perpetuare la dipendenza dall'estero degli approvvigionamenti energetici dell'Europa.

Il tutto risponde all'imperativo della crescita infinita di produzioni e consumi, che ha bisogno di quantità crescenti di energia. 

Invece, nel processo di riconversione ecologica da un'economia dipendente dalle risorse energetiche fossili a un sistema fondato su un utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili presenti sul territorio, la riserva energetica maggiore a disposizione di una comunità è costituita dall'uso razionale dell'energia.

Le fonti energetiche fossili, l'energia e i combustibili da esse ricavati, non sono sostituibili con nessuna delle fonti rinnovabili; in molti casi inoltre non si tratta di sostituire apparecchiature e impianti che funzionano con l'energia ricavata da fonti fossili con impianti analoghi alimentati da fonti rinnovabili, ma di cambiare radicalmente le modalità secondo cui si esercitano certe funzioni.

Anche l'industria dovrà attrezzarsi, in termini di efficienza energetica, per consumare meno e soprattutto per mettere in circolazione prodotti che richiedono meno energia in tutte le fasi del loro ciclo di vita. 

Dalla nascita alla loro rinascita sotto forma di materiali riciclati: perché gli scarti della produzione e del consumo sono le miniere del futuro; quelle che permetteranno di ridurre la pressione sulle risorse non rinnovabili e sui territori da cui queste vengono estratte, ma soprattutto quelle che permetteranno di ridurre i chilometri percorsi da questi materiali. 

Nell'economia del riciclo anche l'industria, come l'agricoltura e l'alimentazione, è tendenzialmente vocata all'obiettivo del chilometro zero: le risorse si troveranno nella misura in cui, dopo essere state scartate, verranno di nuovo consumate e nuovamente trasformate e lavorate in loco.

I trasporti coinvolgono tutti i settori

Le merci dovranno viaggiare di meno, l'economia globale dovrà diffondere, facendo viaggiare bit e non atomi, disegni e progetti, calcoli e altre informazioni indispensabili a organizzare e ottimizzare produzioni fisiche decentrate e ri-localizzate. 

Si tratta di un processo destinato a rivitalizzare molte delle economie locali devastate dalla delocalizzazione.

I processi che concorrono a una riconversione del sistema economico, in grado di portare il pianeta fuori dall'era dei combustibili fossili, non si limitano al ricorso alle fonti rinnovabili e all'efficienza energetica. 

Ne comprendono molti altri, tra cui l'agricoltura biologica, la mobilità flessibile, la cultura della manutenzione, eccetera...

Sono tutte l'esatto contrario delle grandi opere e delle produzioni di massa di tipo fordista, alle quali i governi di tutto il mondo hanno cercato di affidare l'uscita dalla crisi; e richiedono tutte un diverso tipo di regia. 

Sono interventi distribuiti e diffusi sul territorio, altamente differenziati, legati alla specificità degli ambienti e dei contesti sociali; per essere efficaci richiedono risorse largamente diffuse in segmenti specifici di ogni comunità ma soprattutto conoscenze pratiche dei contesti sociali: conoscenza che solo chi vive e opera al loro interno può avere o fornire, se debitamente interpellato. 

Un passaggio del genere comporta tendenzialmente il trasferimento a territori più o meno circoscritti e alle comunità che li abitano, di larga parte delle responsabilità di governo dei processi economici che sono stati in passato prerogativa dello Stato nazionale, ma che nel corso della globalizzazione degli ultimi decenni sono state ridimensionate, senza venire però rilevate da nessun'altra autorità pubblica di livello sovraordinato: sono state sequestrate o consegnate alla finanza privata.

Attore fondamentale di una redistribuzione del potere di governo dell'economia a livello locale è la comunità stessa, attraverso le sue espressioni organizzate come università o centri di ricerca, sindacati, associazioni professionali e scuole, parrocchie, volontariato e comitati civici eccetera...

Il coinvolgimento diretto delle comunità nelle iniziative intraprese è necessario, perché è a questo livello che risiedono quei saperi diffusi di cui la popolazione è depositaria.

Tuttavia, con pochissime eccezioni, le amministrazioni locali e soprattutto il personale politico non hanno la cultura, la sensibilità e le conoscenze per avviare o anche solo aggregarsi a processi del genere. 

Anche se volessero non disporrebbero né disporranno di strumenti operativi. 

Per invertire rotta bisogna uscire da una cultura della competitività (tutti contro tutti, per niente altro che la sopravvivenza); che non fa che abbassare sempre più gli standard di chi vive del proprio lavoro, senza offrire alcuna prospettiva per un'autentica riconversione ambientale. 

Occorre che, nei territori di loro competenza, agli enti locali venga restituita la possibilità di sostenere la riconversione produttiva di imprese senza futuro, o che tolgono il futuro ad altri.

Non ci sarà riconversione ambientale senza un recupero radicale, da parte delle comunità locali, del potere di intervenire nella gestione dei processi di produzione e consumo che interessano il loro territorio.

Crisi economica e crisi ambientale sono indissolubilmente legate.

Per questo, per garantire reddito e condizioni di vita e di lavoro dignitose a tutti, è necessario un profondo cambiamento, sia dei nostri modelli di consumo che dell'apparato produttivo che li sostiene. 

Consumi e struttura produttiva, sono indissolubilmente legati: gli uni non possono realizzarsi senza l'altra. 

Questo cambiamento impone una radicale inversione di paradigma nei processi economici, per sostituire alle economie di scala fondate su grandi impianti e grandi reti di controllo economico e finanziario i principi del decentramento e della differenziazione territoriale, dell'integrazione attraverso un rapporto diretto, anche personale, tra produzione di beni o erogazione di servizi e mercati di consumo. 

Questa esigenza di localizzare e territorializzare produzioni e consumi riguarda i movimenti delle risorse naturali e dei beni fisici.

Trasformazioni come quelle indicate hanno bisogno di una diversa forza trainante, non solo per essere realizzate ma anche solo per essere concepite e progettate nelle loro articolazioni. 

Una forza del genere oggi non c'è, ma nel tessuto sociale del pianeta globalizzato, nel corso degli ultimi due decenni, si sono andate sviluppando pratiche ed esperienze, saperi e consapevolezza, orientate e disponibili a un cambiamento radicale della propria collocazione subalterna.

Anche se prive di una voce corrispondente alla loro effettiva consistenza, a causa della mancanza di risorse economiche e di possibilità di accesso ai media, a tutte (o quasi) queste forze è chiaro che per promuovere conversioni di così vasta portata, insieme alle rivendicazioni, la contrapposizione e le lotte, ci vogliono anche la progettualità, la valorizzazione di tutti i saperi e le competenze mobilitabili.

La progettazione e la realizzazione di questo passaggio richiede un confronto aperto con tutti gli interlocutori possibili: un confronto che nella maggior parte dei casi andrà imposto attraverso modalità conflittuali, cioè con la lotta, e in altri potrebbe essere alimentato dal precipitare della crisi. 

In un confronto aperto e trasparente, ovunque sia possibile averlo, le proposte messe a punto insieme da comitati e movimenti non possono che far prevalere le proprie ragioni.

Ciò non significa imporre soluzioni, ma costruire insieme la strada da percorrere per conquistare il consenso degli interessati e dei soggetti coinvolti.

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