"L'accaparramento di terre provoca fame...lasciate che i contadini sfamino il mondo."

tratto da "Land Grabbing" (cap.4); di Stefano Liberti.

Accaparramento delle terre

Il Land Grabbing non è una novità, è già accaduto durante la colonizzazione.
Tuttavia nuove istituzioni come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale stanno spingendo i governi a privatizzare e aprire i mercati: un nuovo colonialismo.
Dall'Indonesia al Congo i governi cedono alle grandi imprese straniere dell'agrobusinnes le terre più fertili, poi convertite in monocolture per l'esportazione in Europa.
Il modo di vita dei contadini viene considerato primitivo; con le monocolture si presume che siano arrivate la modernità e lo sviluppo ma in realtà queste monocolture sottraggono la terra ai contadini, riducono la biodiversità, stravolgono l'intero territorio.
Il Land Grabbing è una gigantesca corsa globale che si dispiega su scala planetaria e coinvolge gruppi e istituzioni che fino a non molto tempo fa non si occupavano di agricoltura: fondi speculativi, grandi multinazionali e fondi pensione.
La terra è, nel linguaggio dei nuovi investitori un "asset" per differenziare il proprio portfolio di investimenti e garantire agli investitori altri ricavi.
Subito dopo il crollo di Wall Street (dall'estate 2007) diversi attori del settore finanziario si sono messi a cercare nuove opportunità di guadagno iniziando a investire nelle cosiddette "commodity", dall'oro al petrolio, dal grano al mais.
Il corollario delle speculazioni sui beni alimentari di base (che garantiscono utili solo sul breve periodo e sono soggetti agli andamenti altalenanti delle borse) è l'investimento sulla terra; così gruppi sempre più agguerriti si sono gettati sull'affare.
Salutato inizialmente come una manna per un settore, quello dell'agricoltura nei paesi in via di sviluppo, in deficit cronico di investimenti, il tema del Land Grabbing è  al centro del dibattito e suscita ormai profonde preoccupazioni.
Via Campesina, l'organizzazione che consorzia diversi movimenti contadini in varie parti del mondo, va dritto al punto: questa corsa alle terre è incoraggiata dalle grandi organizzazioni internazionali.
"Questo Land Grabbing è parte integrante di un modello di agribusinnes promosso da istituzioni come la Banca Mondiale,  il Fondo Monetario Internazionale, la FAO e l'Unione europea."
Creando alcuni vaghi principi come quelli proposti per gli "investimenti responsabili in agricoltura", di fatto queste istituzioni legittimano enormi violazioni dei diritti dei contadini che, in molti casi, si vedono privati delle terre.
Queste regole sono specchietti per le allodole: la Banca Mondiale è parte integrante di questo sistema; abolendo limitazioni e offrendo sgravi fiscali e concessioni di vario genere, fa pressione sui governi proprietari delle terre per favorire gli investimenti.
Il paradigma di riferimento è la partnership pubblico/privato, in cui di fatto la costruzione di grandi opere come dighe, o la gestione di beni pubblici come acqua, energia e terre, sono affidate ai privati.
La Banca Mondiale ha promosso per anni le cosiddette "politiche di aggiustamento strutturale", con cui ha spinto i governi del Sud del mondo a privatizzare beni e servizi e ad aprirsi al mercato globale.
Anche i presunti "investimenti responsabili" sono uno strumento calato dall'alto, elaborato senza il coinvolgimento né dei governi dei paesi poveri né delle persone colpite direttamente da questi investimenti: i contadini, le popolazioni indigene, i pescatori, i pastori.

Dialogo tra sordi 

Tutti i rappresentanti della FAO o della World Bank usano una specie di ritornello: "Dobbiamo creare le condizioni perché questa sia una win-win situation, da cui tutti traggano giovamento.
I governi devono identificare le aree prioritarie in cui attrarre investimenti in agricoltura, in modo da ricavarne i maggiori benefici per la popolazione."
Per le associazioni di contadini invece: "Sono i governi a creare le condizioni ottimali affinché potenti attori privati vengano a saccheggiare le terre."
I rappresentanti delle organizzazioni contadine parlano di "svendita" delle terre, quelli delle istituzioni e dei governi di "investimenti" in agricoltura.
I primi usano parole come "rapina", "neocolonialismo", "diritti violati"; i secondi "opportunità", "sviluppo", "produttività".
Ad affrontarsi non sono due modelli di sviluppo, ma due modelli culturali: uno punta sulle grandi aziende private ed immagina la terra come un luogo in cui si produce in modo industriale per soddisfare una domanda mondiale in continua crescita; l'altro, quello delle organizzazioni contadine che chiedono il rispetto del diritto alla terra e invocano investimenti pubblici, che difende la tradizione della vita nei campi, il rapporto con la terra, il sapere contadino tramandato nei secoli e respinge l'idea della piantagione a monocoltura (che con la terra ha un rapporto di sfruttamento).
Uno ha come riferimento il mondo urbano, la popolazione delle città che cresce a dismisura e deve essere nutrita; l'altro è radicato nel territorio delle campagne.
Per i primi, i secondi sono degli anacronistici selvaggi che si ostinano a respingere la modernità difendendo un mondo che non esiste più; per i secondi, i primi sono mostri con i quali non è nemmeno il caso di dialogare.
I fautori degli investimenti ad ogni costo citano con orgoglio la "rivoluzione verde", che ha fatto aumentare a dismisura la produzione in Asia negli anni Sessanta-Settanta, grazie all'introduzione di nuove tecnologie in agricoltura (dall'uso di sementi ibride a fertilizzanti e pesticidi su larga scala).
Le organizzazioni contadine ribattono che quella rivoluzione verde ha portato allo strapotere dei grandi gruppi dell'agrobusinnes e ad un'ondata senza precedenti di suicidi nelle campagne indiane.
I sostenitori degli investimenti sono rigorosamente a favore degli OGM, i rappresentanti contadini li ritengono pericolosi come un cancro che infetta i loro campi.
Le terre non devono essere cedute senza l'accordo delle comunità presenti sul territorio, gli investimenti devono essere a beneficio delle popolazione locali, devono creare posti di lavoro, non devono intaccare l'accesso alla terra né la sovranità alimentare degli stati coinvolti.
Una percentuale della produzione deve essere venduta sul mercato locale e questa percentuale deve poter aumentare, in proporzioni stabilite in anticipo, se il prezzo dei prodotti alimentari sul mercato internazionale supera un certo livello.
Ma invece di distribuire la terra ai piccoli agricoltori, mediante un'adeguata riforma agraria, si sceglie di offrirla a grandi investitori; questi ultimi mettono a rischio l'accesso alla terra e all'acqua, trasformando i piccoli contadini in braccianti a giornata oppure in migranti destinati ad ingrossare le fila della popolazione povera urbana.

Perdenti della "win-win situation"

"Per fare soldi facili, bisogna scommettere sulla carenza di cibo e infilarsi come un baco nelle storture del sistema.
Un cattivo raccolto farà salire il valore di un bene alimentare e, in un effetto a cascata, di tutte le altre commodity alimentari, generando profitti per i vari gruppi coinvolti."
Gli investitori che assicurano di voler "nutrire il mondo", si rallegrano della mancanza di cibo perché questa farà aumentare il loro fatturato, ma sarà l'acqua la loro nuova frontiera. 
"L'acqua sarà sempre più scarsa e l'agricoltura ne avrà sempre più bisogno;
l'acqua è un bene pubblico, ma la tendenza è alla privatizzazione: chi riuscirà ad assumere il controllo delle riserve idriche, intrecciando le tendenze degli stati a delegare ai privati i servizi di distribuzione, farà semplicemente una montagna di quattrini."
Ma com'è possibile sostenere di poter fare montagne di quattrini senza che nessuno ne faccia le spese?
Si tratta di uno scontro tra concezioni diverse di "territorio" e di "sviluppo".
Anche piccoli e medi gruppi (come i grandi) hanno in mente un preciso modello: il modello della coltivazione su larga scala, che mira a produrre il più possibile sfruttando al massimo la terra; il modello incentivato dalla Banca Mondiale e dalle grandi organizzazioni internazionali.
Questo modello e quello dei piccoli agricoltori, che producono su scala minore, sono semplicemente incompatibili; sono opposti, sia dal punto di vista pratico che ontologico.
Il dilemma "piccola agricoltura contro fattorie industriali", straccia i principi dell'investimento responsabile, privandoli di senso: le aziende agricole su larga scala sottraggono terra, acqua e mercati ai piccoli contadini, fanno concorrenza (coi loro bassi prezzi) all'agricoltura familiare; è impossibile portare avanti questo modello di produzione su larga scala senza che qualcuno ci rimetta.
Le scelte politiche che si stanno facendo favoriscono gli investimenti di grandi gruppi privati lasciando a traino i piccoli produttori agricoli.
Più che una situazione win-win, la "rivoluzione verde" (in Africa e altrove) ha un lungo elenco di perdenti che, forse, non è stato del tutto preso in considerazione da quelle grandi organizzazioni internazionali il cui mandato ufficiale è la "riduzione della povertà".

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