Un’ecologia sociale a fondamento della società organica.

tratto da "Per un anarchismo attualista.
Murray Bookchin: dall’ecologia sociale 
al municipalismo libertario"; di Marco Cossutta.


Verso l’umanesimo ecologico

Il pensiero di Murray Bookchin (1921-2006), da annoverarsi senz’ombra di dubbio nel filone anti-autoritario e più specificatamente nell’alveo dell’anarchismo, affonda le proprie radici nella crisi della modernità.

Crisi della modernità, quella affrontata da Bookchin, che prende l’avvio da quel problema ambientale che la ricerca scientifica, riversatasi nella tecnologia, ha determinato.

Bookchin non è un ambientalista, ovvero non sviluppa lineamenti di pensiero ecologico tendenti a definire un rapporto umanità-natura “sostenibile”, ove la seconda venga, per così dire, prudentemente sfruttata dalla prima (che rimarrebbe il perno d’ogni riflessione, dato il valore meramente strumentale del dato naturale). 

Bookchin, al contrario, tende a proporre una riflessione sul rapporto umanità-natura del tutto avulsa dal riferimento all’ambientalismo così come sopra inteso; una riflessione la quale, partendo dal presupposto che il dominio dell’uomo sulla natura sia conseguenza (o per lo meno strettamente correlato) al dominio dell’uomo sull’uomo, miri a fondare una ecologia sociale il cui fine ultimo sia la (ri)costituzione di una forma sociale organica, priva cioè di forme di dominio.

In virtù di questa modificazione dei rapporti sociali da dispotici a politici, si potranno sviluppare forme di approccio con la natura equilibrate (l’ecologia sociale tende a spiegare le interconnessioni che legano il sistema umanità-natura-società attraverso il concetto di equilibrio). 

Liberata l’umanità dai rapporti sociali di dominio (secondo Bookchin) si libererà anche la natura dal dominio dell’uomo; pertanto la stessa tecnologia, prima strumento del dominio, può divenire momento di liberazione, collocandosi all’interno di un contesto sociale organico, privo cioè di strutture gerarchiche.

Bookchin può venire considerato un utopista (nel senso nobile del termine), nel momento in cui attraverso il rovesciamento della rappresentazione della natura proposta dalla prospettiva scientifica moderna (che usa parametri antropometrici propri alla società gerarchica, avviandosi verso il dominio della natura), predispone una visione olistica dell’universo nella quale l’umanità è collocata all’interno del tutto, ma non per questo equiparata alle altre componenti dell’universo (vedi la critica alla Deep Ecology).

Un differente approccio con la natura determinerà la (ri)organizzazione della società organica; la specifica forma politica in cui si sostanzia l’umanesimo ecologico di Bookchin è, per sua stessa ammissione, il municipalismo libertario, strutturato per singole comunità in coordinamento federativo.

Per il municipalismo libertario

Il municipalismo libertario è da considerarsi contrapposto all’organizzazione politica propria della modernità: lo Stato. 

In questo senso è un'alternativa culturale al modello moderno – più che occidentale – di società politica, in quanto foriero di comunità non gerarchizzate, quindi, organiche. 

Ma lo stesso municipalismo libertario è alternativo anche al modello di sviluppo economico caratterizzante la modernità ed offerto, per tramite dell’impresa scientifico-tecnologica, dalle grandi concentrazioni economiche.

Per Bookchin il progetto politico del municipalismo libertario si basa sull'assunto per il quale “gli animali, senza dubbio, possono vivere senza istituzioni […], ma gli esseri umani ne hanno bisogno per modellare in modo creativo le strutture sociali, basate […] su «forme di libertà» razionalmente costituite, che servono a organizzare ed esprimere il potere in forma tanto collettiva quanto personale”.

Il fuoco verso cui converge, all’orizzonte, la prospettiva di Bookchin non è per sua stessa ammissione parte della modernità: “il municipalismo libertario è il tentativo di recuperare e superare la definizione aristotelica secondo la quale gli esseri umani sono costituiti per vivere come animali politici”.

Il municipalismo libertario è per Bookchin “il regno della politica, il suo universo reale”.

Un tentativo che permette di sviluppare una radicale critica della modernità, in nome d’una prospettiva anti-autoritaria che la riconosce come luogo di sviluppo endemico del dispotismo. 

Bookchin assume la classicità politica quale momento di radicale opposizione ad un modello di gestione dei rapporti sociali di natura dispotica, quale è quello che risulta dal concretizzarsi delle teorizzazioni proprie alla scienza politica moderna. 

Per Bookchin il pensiero anti-autoritario e segnatamente l’anarchismo, devono uscire dalle maglie concettuali della modernità, per poter porsi nei confronti della stessa quale credibile alternativa, rivendicando il loro essere politici.

Nella prospettiva del municipalismo libertario, la società liberata dovrà necessariamente dotarsi di forme organizzative stabili (istituzioni, che implicano di per sé la statuizione di regole), e può ritrovare il suo punto di riferimento nella polis, ove uomini coscienti e liberi esercitano in prima persona un’attività politica. 

Questa comunità “non solo è in grado di sostituire lo Stato, ma anche di svolgere le funzioni socialmente necessarie di cui lo Stato si è appropriato a spese del potere popolare […]. 
Lo Stato si giustifica non solo per l’indifferenza dei suoi componenti rispetto alle faccende pubbliche, ma anche, e soprattutto, per la loro incapacità di gestire queste faccende”.

Il regno della politica, così concepito da Bookchin e da lui trasposto nel municipalismo libertario, è la radicale alternativa alla statualità. 

Bookchin proietta il suo immaginario istituzionale oltre gli angusti confini della statualità: il municipalismo libertario non tende ad appropriarsi dello Stato, quanto a sostituirsi a tale forma di organizzazione gerarchica.

Per Bookchin: “il municipalismo libertario si preoccupa del potere [… di un] potere concreto che si esprime in forme organizzate di libertà, concepite in modo razionale e costituite con modalità democratiche. 
Il municipalismo libertario vuole raggiungere il potere […] e non respinge l’uso del potere, ma vuole darlo in mano alla gente nelle assemblee popolari”.

Un potere popolare, dunque, quello che Bookchin ci fa intravedere, organizzato con metodo democratico-rappresentativo nelle singole comunità (i municipî, per l’appunto) fra loro federate con modelli sempre più complessi dal basso verso l’alto rappresenta; al di là di mere assonanze lessicali, la radicale alternativa alla statualità e, quindi, alla gestione dei rapporti sociali in chiave di modernità. 

Bookchin non ragiona entro i limiti della statualità, il suo immaginario politico si spinge sino a tratteggiare nella sua utopica concretezza forme di convivenza sociale fondate sulla politica (nel senso classico della sua accezione di politéia) e non sul dispotismo. 

Egli riconosce come il regno della politica necessiti per potersi realizzare non di fantasiosi richiami ad ipotetiche armonie e spontanee solidarietà, ma, al contrario, di istituzioni frutto di liberi accordi, conclusi da uomini e donne coscienti e liberi “con metodi che affrontano problemi e questioni attraverso il dialogo”.

Ancora una volta il richiamo è alla classicità e non alla modernità, ad una attività di mediazione che sia della polis: “quando la massa governa la città in vista dell’interesse generale, si dà a questo governo il nome di politéia” (Politica, III, 6,1279a 37-39). 

Questo pare essere il punto di riferimento di Bookchin nel dare vita ad una politica (anarchica) che si fondi sulla comunità, alla cui vita attivamente partecipino tutti i suoi membri. 

Un sistema a democrazia diretta e confederale […] che coinvolga la base e che si fondi sulla costituzione di assemblee.



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