tratto da "From planetary to societal boundaries: an argument for collectively defined self-limitation"; di Ulrich Brand e altri.
Le alternative alla modernizzazione capitalista, orientata alla crescita consumistica, devono rafforzare il pluriverso di alternative radicali o sistemiche che esistono in tutto il mondo, e mirare a trasformare lo stato, sia dall'esterno che dall'interno.
Molti approcci, antichi e tradizionali, emergono da popoli emarginati e da movimenti di resistenza al sistema dominante.
Altri nascono all'interno di società moderne o industrializzate, spesso da settori della classe media (o della popolazione urbana d'élite) disillusi dai propri stili di vita e sensibili alle iniquità e all'insostenibilità che questi perpetuano.
Esempi dei primi sono le lotte contro l'estrattivismo, lo sviluppo e la modernità occidentale, e il concomitante risveglio o affermazione di visioni e pratiche del mondo indigene o di altre comunità, incentrate sulla buona vita in tutto il sud del mondo, come "buen vivir", "kawsak sacha", "kametsa asaike", "sentipensar", "ubuntu", "kyosei", "hurai", "prakritik swaraj", "minobimaatisiiwin", tra le altre.
Questi approcci, insieme a molti altri, sono incentrati su solidarietà, interconnessione, reciprocità, radicamento nella natura, salute e altri principi o valori etici simili.
Condividono fili con una serie di alternative che emergono dalla società industriale, tra cui decrescita, ecosocialismo, ecofemminismo, convivialità, spiritualità della terra, pacifismo, ecologia profonda, ecologia sociale, beni comuni, giustizia ambientale, eco-anarchismo, ambientalismo della classe operaia e altre.
Esiste, inoltre, una grande varietà di pratiche alternative in tutto il mondo, come l'agroecologia, il movimento di transizione, gli ecovillaggi, il commoning, l'economia solidale, la produzione guidata dai lavoratori, la sovranità energetica e alimentare, il software libero e altre.
Queste concezioni incarnano visioni del mondo e pratiche alternative che promuovono giustizia, uguaglianza e sostenibilità, sfidando le strutture di disuguaglianza, oppressione e insostenibilità.
Tutte condividono il rifiuto della globalizzazione neoliberista e abbracciano forme di deglobalizzazione economica selettiva che implicano lo smantellamento del "grande mercato" coordinato dai mercati finanziari globali e sostenuto dalla logistica dei combustibili fossili di aeroporti, autostrade e spedizioni merci.
In determinate circostanze, l'autodeterminazione collettiva delle comunità richiede la protezione dei mezzi di sussistenza per difenderli dal commercio globale e dagli accordi di investimento, come nel caso del Trattato Unione Europea-Mercosur in relazione ai sistemi alimentari.
Questi movimenti sociali e comunità locali indicano il sentiero per una trasformazione globale della vita politica, economica, sociale, culturale ed ecologica, guidata da valori etici.
C'è accordo nelle scienze sociali critiche sul fatto che il ruolo dello stato nelle trasformazioni socio-ecologiche sia ambiguo.
La sua dipendenza dalla crescita e dalle tasse spinge l'apparato statale a garantire strutture, processi e rapporti di potere insostenibili anche rispetto a politiche che, a prima vista, intendono affrontare la crisi ecologica.
In molti paesi la repressione dello stato, per difendere gli interessi delle élite, agisce spesso apertamente e in modo unilaterale nell'interesse del capitale e delle oligarchie.
Il confine tra capitale e stato è così "sfocato" nel contesto di sottili “democrazie di mercato".
La forma attualmente dominante, lo stato-nazione, ha ripetutamente dimostrato una grave incapacità di andare oltre, nella migliore delle ipotesi, un approccio di welfare ma questo, ovviamente, non è servito a far fronte a questioni globali come la crisi climatica.
C'è una certa centralizzazione del potere implicita in questa forma di stato, e l'enfasi sulla "democrazia" liberale che la sostiene sembra essere più adatta all'economia capitalista che ad un'economia ecologicamente sensibile e incentrata sulle persone.
Una società senza uno stato centralizzato, anche laddove possibile, lascia però aperta la questione del coordinamento e della governance su larga scala, dato che in un mondo interconnesso nessuna comunità può esistere isolata e dato che ecosistemi, culture ed economie esistono su scala più ampia.
L'esperienza di democrazia radicale tentata dai movimenti di autonomia zapatista e curda sono istruttivi, in quanto di portata significativa, così come i movimenti di autodeterminazione indigena in America Latina o di autogoverno/swaraj/democrazia ecologica radicale da parte di alcune comunità in India centrale.
Nel frattempo però, poiché lo stato-nazione probabilmente continuerà ad esistere nel prossimo futuro, gli sforzi dei movimenti per renderlo responsabile, trasparente e reattivo ai bisogni e ai diritti degli emarginati, nonché alla sostenibilità socioecologica, sono importanti.
L'economia e gli attori economici, infatti, non sono solo orientati al profitto, ma in linea di principio potrebbero anche essere al servizio del bene comune.
Ci sono esempi incoraggianti che dimostrano come le alternative socio-ecologiche ottengano sostegno politico e programmatico soprattutto da comuni e stati regionali.
Trasformazioni socio-ecologiche radicali richiederebbero l'attuazione di strategie di decrescita socialmente sostenibili, a più livelli di governance nel Nord globale, e varie strategie di benessere radicale, alternative all'attuale modello di sviluppo, nel Sud del mondo.
La decrescita è stata descritta come un "downshifting selettivo, equo e democraticamente guidato, dei livelli di produzione e consumo, che sostiene il benessere umano, la giustizia sociale e le condizioni ecologiche, riducendo al contempo la mercificazione e la commercializzazione della vita sociale."
Radicato negli anni '70, nei dibattiti sui limiti alla crescita, il concetto di decrescita è emerso con vigore dall'inizio degli anni 2000 nei movimenti sociali e nei circoli accademici e intellettuali, sottolineando le contraddizioni dell'idea capitalista di sostenibilità ecologica basata sull'eccessiva fiducia nell'ecotecnologia e nei meccanismi di mercato.
Decostruendo l'ideologia della crescita, gli studi sulla decrescita si sono concentrati sia su pratiche di base e processi sociali che incarnano valori e strategie interstiziali che su istituzioni e politiche statali come caps, green tax, riduzione dell'orario di lavoro o reddito di base, che potrebbero portare progressivamente a una prospera decrescita.
La decrescita non solo mette in discussione le basi materiali e ideologiche delle economie di crescita, ma mette anche in discussione l'infrastruttura culturale che le giustifica.
I movimenti sociali e i progetti che operano dentro e intorno al mosaico di alternative di decrescita, stanno creando spazi liberati dalla dipendenza dominante dalla crescita, in cui sperimentare esperienze e modalità di vita alternative, spazi di partecipazione e di possibile amplificazione.
L'autolimitazione collettiva è la condizione per raggiungere non solo la giustizia, ma anche "la libertà non solo per pochi, ma per tutti" – libertà radicata nell'assunzione di responsabilità per gli impatti sociali (e ambientali) delle azioni sugli altri.
La ricerca della libertà collettiva coinvolge l'organizzazione delle società e il loro metabolismo sociale, in modo che i suoi membri non debbano vivere a spese degli altri.
Le società infatti hanno sempre stabilito dei limiti, in forme diverse: la pratica e gli schemi comunitari di vecchia data che persistono, nonostante la continua spinta all'esproprio, lo illustrano in modo toccante.
Illusioni come "nessun limite" o "i vincitori prendono tutto", sono del tutto nuove: sono state introdotte nell'immaginario capitalista come controparte di un mondo di "scarse risorse" (dove i più adatti devono sopravvivere mentre il resto può non servire o non sopravvivere affatto).
Al contrario dell'autolimitazione collettiva come esercizio di libertà sociale, la libertà per pochi prende la forma del modo di vivere imperiale (a spese degli altri) attraverso l'espansione (colonialismo, neoestrattivismo), lo sfruttamento di fattori di produzione a basso costo (lavoro schiavizzato, sfruttato e precarizzato), l'intensificazione della produttività e l'esternalizzazione delle conseguenze su gruppi sociali subalterni o future generazioni (rifiuti, distruzione di comunità basate sulla sussistenza).
Le relazioni capitaliste, però, non sono mai “totali” ma restano contestate.
Altre forme di organizzazione sociale come, ad esempio, le economie solidali o alcuni tipi di assistenza e lavoro riproduttivo, esistono in parallelo e in qualche modo costituiscono la parte sommersa di una "economia dell'iceberg": un insieme eterogeneo di attività economiche nascoste alla vista e svalutate, ma che costituiscono il fondamento della cosiddetta economia produttiva.
Non sono necessariamente indipendenti dall'economia capitalista, né sono di per sé “sostenibili”, ma si fondano altri principi di funzionamento e pratiche di valore alternative a quelle egemoniche orientate al profitto.
Nel nord del mondo, così come nel sud, queste forme di convivenza "altre" sono sempre più minacciate, poiché le persone e le comunità sono fermamente spinte, o violentemente costrette, ad entrare nel modo capitalista di produzione e di vita.
I conflitti di distribuzione ecologica e i movimenti socio-ecologici stanno crescendo in resistenza all'escalation del metabolismo sociale globale e ai suoi impatti devastanti: espansione delle frontiere delle merci, mercificazione della natura e dello spazio, governance neoliberista/austerità.
Le alleanze tra vari movimenti, gruppi, pratiche ed esperimenti sociali vissuti nel nord e nel sud del mondo stanno già attivamente difendendo spazi per praticare modi alternativi di vivere insieme, assicurando le condizioni per rendere possibile una "vita buona per tutti ".
In un mondo di limiti sociali, le condizioni per vivere una vita buona sono definite attraverso un processo collettivo che tiene conto delle lotte sociopolitiche, e dipende dalla capacità degli altri di fare lo stesso.
Nel concetto di confini della società, la libertà come autonomia è assicurata grazie a un "giusto processo deliberativo che porta a regole sociali e politiche che garantiscono le condizioni sostanziali di una vita buona per tutti".
La liberazione dalla logica eteronoma e pervasiva dell'espansione e dell'accelerazione illimitate dovrà dunque sostenere il valore individuale e collettivo della libertà intesa come "non dover vivere a spese degli altri".
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