I prossimi anni saranno decisivi per il nostro futuro: si prevede che il riscaldamento nell'area mediterranea supererà i tassi globali di circa il 25%.
La persistenza del riscaldamento negli ultimi 60 anni supera di gran lunga quanto può essere spiegato dalla sola variabilità naturale.
Si prevede che il riscaldamento futuro nel bacino del Mediterraneo supererà significativamente i valori globali, con implicazioni imprevedibili sui tassi di innalzamento del livello del mare nei prossimi decenni.
Molti indicatori mostrano tendenze coerenti con un pianeta in fase di riscaldamento nell'ultimo secolo.
Le temperature nella bassa atmosfera e nell'oceano sono aumentate, così come l'umidità specifica (sia vicino alla superficie che sul livello del mare).
Non solo il contenuto di calore dell'oceano è aumentato drasticamente, ma più del 90% dell'energia acquisita nel "sistema combinato oceano-atmosfera" negli ultimi decenni è stata assorbita dall'oceano.
Le due più grandi calotte glaciali del nostro pianeta, sulle masse terrestri della Groenlandia e dell'Antartide, si stanno riducendo.
Ulteriori indicatori del cambiamento climatico in atto sono, tra gli altri, le variazioni osservate nella stagione di crescita delle piante o nella stagione delle allergie.
Come per la temperatura, diversi indicatori mostrano continui cambiamenti climatici;
numerosi ricercatori indipendenti hanno analizzato ciascuno di questi indicatori e sono giunti alla medesima conclusione: tutti questi cambiamenti dipingono un'immagine coerente e convincente di un pianeta in fase di riscaldamento.
La direzione della tendenza:
1) la temperatura media della superficie terrestre è in aumento;
2) la temperatura media della superficie del mare è in aumento;
3) il livello del mare è in aumento;
4) la temperatura troposferica è in aumento;
5) il contenuto di calore oceanico nei 700 m superiori è in aumento;
6) l'umidità specifica è in aumento;
7) il manto nevoso dell'emisfero settentrionale (marzo-aprile e annuale) è in diminuzione;
8) l'estensione del ghiaccio marino artico (settembre e annuale) è in diminuzione;
9) il bilancio di massa cumulativo della criosfera è in diminuzione.
Temperature globali come quelle osservate di recente e proiettate per il resto di questo secolo, sono correlate a forzanti molto diverse rispetto a quelle dei climi passati.
Studi suggeriscono che temperature globali simili a quelle recenti, sono state probabilmente osservate per l'ultima volta durante il periodo Eemiano - l'ultimo interglaciale - 125.000 anni fa.
A quel tempo, le temperature globali erano, al loro apice, circa 1°C-2°C più calde delle temperature preindustriali.
In coincidenza con queste temperature più elevate, i livelli del mare durante quel periodo erano di circa 6-9 metri più alti dei livelli odierni.
Questo riscaldamento del periodo Eemiano può essere spiegato, in parte, con i cambiamenti nella radiazione solare incidente, dovuti a variazioni cicliche nella forma dell'orbita terrestre intorno al sole, mentre le concentrazioni di gas serra erano simili ai livelli preindustriali (280 ppm).
Per trovare nella composizione chimica dell'atmosfera, una concentrazione di 400 ppm di CO2 , simile a quella odierna, bisogna risalire fino al Pliocene, più di 3 milioni di anni fa.
Durante questo periodo, si raggiunsero temperature globali anche di 3°- 4°C superiori a quelle di oggi e il livello del mare era di circa 25 metri più alto.[1]
L’aumento del livello del mare, il riscaldamento e l’acidificazione dell’oceano, aumentano i rischi per le popolazioni che vivono nelle zone costiere (incluse le città), nelle piccole isole, presso le foci dei fiumi e nelle regioni artiche.
Alcune comunità costiere molto vulnerabili dovranno adottare misure di adattamento ben prima della fine di questo secolo, anche in scenari con contenute concentrazioni di gas serra e basse emissioni.
Poiché il livello del mare continuerà a salire e gli eventi estremi diventeranno più frequenti, si assisterà ad un aumento dei rischi di inondazione per le comunità costiere.
In assenza di politiche e azioni per la riduzione delle emissioni di gas serra, si prevede che, rispetto al periodo 1850-1900, la frequenza delle ondate di calore marine aumenti di circa 50 volte entro il 2081-2100, con aumenti maggiori per l’oceano artico e l’oceano tropicale.
Inoltre, in tutti gli scenari futuri, lo spessore della neve diminuisce ed è atteso un incremento dello scongelamento e del degrado del permafrost.
Ulteriori cambiamenti nella criosfera terrestre potrebbero influenzare la disponibilità di risorse idriche e il loro uso, la qualità delle acque nelle aree di alta montagna e nelle regioni a valle, la sicurezza alimentare e i mezzi di sostentamento, specialmente (ma non solo) nelle regioni artiche.
Le conseguenti calamità naturali, come inondazioni, valanghe, frane e destabilizzazioni del suolo contribuiranno ad incidere negativamente: in particolare, la qualità dell’acqua potrà essere minacciata dalla mobilizzazione di contaminanti (soprattutto mercurio) rilasciati dalla fusione dei ghiacciai e dalla degradazione del permafrost.
Gli impatti dei cambiamenti climatici, diretti (come il riscaldamento e l’acidificazione dell’oceano) e indiretti, causano alterazioni importanti che incidono sui benefici che gli ecosistemi forniscono alla vita umana, come cibo (pesca, acquacoltura, ecc), benefici per la salute, ma anche mitigazione dei cambiamenti climatici stessi e protezione della biodiversità.
Il riscaldamento del mare e la riduzione dei ghiacci contribuiscono infatti alla migrazione di specie animali e vegetali verso latitudini e altitudini più elevate, in condizioni che, a causa di limiti e barriere ambientali, possono talvolta aumentarne la probabilità di estinzione.
La combinazione del riscaldamento globale con l’aumento dei carichi dei fiumi con materie organiche e nutrienti prodotte dalle attività umane (es. uso eccessivo di fertilizzanti in agricoltura, acque reflue da abitazioni e da attività industriali, ecc. ) causa l’espansione di zone di anossia e ipossia (deficienze di ossigeno nell’organismo).
La vegetazione costiera (che protegge la costa dall’erosione e contribuisce all’assorbimento del carbonio) costituisce l’habitat naturale per la fauna locale; ma nel corso del XX secolo il 50% delle zone umide costiere è andato perduto, a causa degli effetti combinati prodotti dalla pressione antropica, dai cambiamenti climatici, dall'innalzamento del livello del mare e dall'aumento degli eventi meteorologici estremi.
Nello scenario ad elevate emissioni si prefigura, entro il 2100, un’ulteriore perdita di queste aree umide, compresa tra il 20% e il 90% rispetto allo stato attuale.
I cambiamenti nella distribuzione delle specie marine, la riduzione della biomassa oceanica e la riduzione del potenziale di pesca influenzeranno sempre di più i redditi e la sicurezza alimentare, in modo particolare nei paesi che dipendono fortemente dalla pesca e dalle risorse marine per il proprio sostentamento.
Gli impatti dei cambiamenti climatici sull’oceano e sulla criosfera producono cambiamenti (distribuiti in modo diseguale) che, in alcuni casi, sono irreversibili, e la cui intensità è destinata ad aumentare.[2]
Il Mar Mediterraneo è un bacino semichiuso situato in una zona di transizione tra regimi di circolazione atmosferica di media latitudine e subtropicale, ed è caratterizzato da forti contrasti terra-mare.
Per questo motivo, è considerato un "hot spot" dell'attuale cambiamento climatico, dove si prevede che il riscaldamento futuro supererà i tassi globali di circa il 25%.
Ciò può comportare tassi di innalzamento del livello del mare più elevati rispetto alla media globale, con conseguenti perdite significative dei valori ambientali, culturali ed economici delle coste mediterranee.
Analisi spazio-temporali mostrano una forte relazione tra le temperature mediterranee e il tasso di innalzamento del livello del mare.
A livello regionale, le previsioni globali sull'innalzamento del livello del mare potrebbero essere peggiorate dal previsto aumento del riscaldamento nel bacino del Mediterraneo.
Ciò potrebbe avere importanti implicazioni nel prossimo futuro per le coste mediterranee (naturali e modificate dall'uomo) caratterizzate da un'area costiera ristretta con alte concentrazioni di persone e risorse nonché da rapidi cambiamenti demografici, socioeconomici e ambientali.[3]
I cambiamenti climatici si manifestano attraverso incrementi di temperatura, modifiche nel regime delle precipitazioni e maggiore frequenza e durata dei fenomeni climatici estremi.
Riduzione delle risorse idriche, instabilità dei suoli, incendi boschivi, erosione costiera, desertificazione e perdita di produttività colturale ed ecosistemica sono solo alcuni dei molteplici fattori di rischio che caratterizzano l’intero bacino del Mediterraneo.
Negli scenari peggiori, ci si può attendere un generalizzato innalzamento della temperatura media fino a 5°C in più al 2100 rispetto a inizio secolo.
L’Italia è, inoltre, un’area fortemente soggetta a fenomeni di dissesto geologico, idrologico e idraulico che rappresentano una seria minaccia per la popolazione.
Fattori antropici (consumo di suolo e impermeabilizzazione, occupazione delle aree fluviali, ecc.), uniti all’innalzamento della temperatura e all’aumento di fenomeni di precipitazione localizzati nello spazio, hanno un ruolo importante nell’esacerbare il rischio.
I cambiamenti climatici attesi (periodi prolungati di siccità, eventi estremi e cambiamenti nel regime delle precipitazioni) presentano rischi per la qualità e per la disponibilità delle risorse idriche, anche in Italia.
Tali rischi sono più evidenti nei mesi estivi e nelle zone semi-aride, specialmente il Sud.
Il caldo intenso rappresenta un rischio in termini di salute della popolazione e i centri urbani sperimentano già oggi temperature anche di 5-10°C più elevate rispetto alle aree rurali circostanti; nel 2019 i giorni di caldo intenso sono stati 29 in più rispetto al periodo 1961-1990.
Secondo le proiezioni climatiche ci si attende un aumento di questi fenomeni che si acuiscono nelle realtà urbane.
Esiste anche un forte legame tra incremento di temperatura e inquinamento atmosferico.
L’atteso aumento di periodi di caldo intenso influisce sull'aumento della mortalità, su casi di malattie cardiovascolari e respiratorie.
Le città italiane sono particolarmente esposte anche ai rischi legati ad esondazioni ed inondazioni derivanti da precipitazioni intense: il 91% dei comuni italiani risulta a rischio frane e alluvioni, e oltre 7 milioni di persone vivono o lavorano in aree definite ad “alta pericolosità”.
Infine, i cambiamenti climatici acuiranno il divario tra regioni più ricche e regioni più povere: gli impatti economici, infatti, tenderanno ad essere più elevati proprio in queste ultime.[4]
[1] USGCRP (2016) "Climate Science Special Report";
[2] IPCC (2019) "Rapporto Speciale su Oceano e Criosfera in un clima che cambia";
[3] M. Vacchi e altri (2021) "Climate pacing of millennial sea-level change variability in the central and western Mediterranean";
[4] CMCC (2020) "Analisi del rischi, i cambiamenti climatici in Italia" ;
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