Oggi si ripropone, in forme ancor più drammatiche, l’alternativa «(eco)socialismo o barbarie».

tratto dall'introduzione di G.Sottile al libro di I.Angus "Facing the Anthropocene".
Alla frattura individuata da Marx nel ciclo dei nutrienti (azoto, potassio, fosforo) – causata della intervenuta separazione tra città e campagna e conseguenza della accumulazione originaria in Gran Bretagna – fece seguito la produzione sintetica di fertilizzanti e poi di pesticidi, che hanno caratterizzato l’agricoltura industriale e la cosiddetta «rivoluzione verde» sino ad oggi.

Tale frattura metabolica è alla radice della crisi ecologica contemporanea, e si accompagna a quella del ciclo del carbonio (da cui il riscaldamento globale) inaugurata dal «capitalismo fossile», da cui conseguono eutrofizzazione e acidificazione delle acque, perdita di biodiversità etc. 

In sostanza, «il ricambio organico» tra uomo e natura si configura come un metabolismo sociale che interagisce con il metabolismo naturale. 
Quello proprio al capitalismo ha un carattere ecocida, giacché produce una frattura metabolica che mette a rischio la sopravvivenza delle specie e dell’uomo, soprattutto con l’avvento della «Grande accelerazione». 

Il capitalismo deve essere visto come un sistema che per certi aspetti porta alle estreme conseguenze tratti che appartengono allo stesso processo della civilizzazione. 
Insomma, alla base della catastrofe ecologica, in corso e ventura, non vi è una astratta, generale attività umana ma un sistema economico insostenibile.
Non più solo il capitalismo si trova ad un bivio, ma l’intera civilizzazione. 
Il capitalismo si è trovato spesso ad un bivio, per via delle sue ripetute non identiche débâcle economiche. 

Marx rilevava che «il processo di produzione appare soltanto come un male necessario per far denaro», e che il capitalismo viene preso «periodicamente da una vertigine» nella quale si vuole «fare denaro senza la mediazione del processo di produzione».

La finanziarizzazione della crisi ecologica opera nel senso di intercettare reddito a fini speculativi, incrementando la quantità del debito, ove il sottostante è la gestione di rischi ecosistemici, poiché, da quando si assiste al riscaldamento globale, l'andamento dell’economia dipende in misura sempre maggiore dalle condizioni climatiche. 
Essa è parte di una mutazione in senso speculativo del capitale, a cui si assiste in misura notevole a partire dai primi anni ’70, quando fu abbandonato il regime dei cambi fissi e cominciò ad emergere il dominio della sfera finanziaria sul capitale produttivo, con un incremento esponenziale del valore degli asset finanziari sul PIL. 

Solo che ora non è in gioco solo il futuro del capitalismo.

Il merito del lavoro di Ian Angus è quello di aver delineato l’impatto del capitalismo sui cambiamenti climatici; di avere delineato in dettaglio la genesi del capitalismo fossile; di aver chiarito come la crisi ecologica sia la crisi di un determinato sistema sociale, e che dunque abbia carattere storico.

Oggi si ripropone, in forme ancor più drammatiche che in passato, l’alternativa «(eco)socialismo o barbarie». 

Angus rileva come l’alternativa non sia mai stata l’URSS (e men che mai la Cina di ieri e di oggi), riconoscendo l'impatto devastante (sugli ecosistemi) di quel sistema caratterizzato dal produttivismo
Marx affermava che "gli operai devono scrivere sulla loro bandiera il motto rivoluzionario: SOPPRESSIONE DEL SISTEMA DEL LAVORO SALARIATO”; al contrario, la storia del movimento operaio si è svolta nel senso di una "lotta per l'integrazione" nel capitalismo, giacché, come ancora osserva Marx, «La condizione della sua [dell’operaio] esistenza è la vendita della forza-lavoro». 
Da circa quarant’anni è iniziata quella che si può chiamare una fase di de-integrazione, per via dell’aggravamento delle condizioni economiche e dello smantellamento progressivo del welfare, con il risultato che i salariati si trovano costretti ad aggrapparsi, per lo più, ad una qualunque forma di reddito. 
Insomma, l’auspicabile urgente fine dell’industrialismo capitalistico è insieme l’auspicabile urgente fine del regime del lavoro salariato, in un quadro in cui il
contrasto irrimediabile si è spostato, oramai in misura evidente, tra il processo di riproduzione del capitalismo ed il processo di riproduzione della nostra specie, che come l’intera biosfera, dipende dalla salvaguardia dei sistemi basilari di supporto alla vita.

Tuttavia, poiché il regime sociale capitalistico è monolitico, omogeneo, pervasivo al suo interno a differenza di modi di produzione precedenti, in cui i contrasti tra ceti e classi erano evidenti, «fine del mondo» e «fine del capitalismo», osserva Angus, citando Jameson, vengono identificati; sicché una questione profondamente politica viene percepita come parte dell’ordine "naturale" delle cose.

Negli ultimi decenni, sul piano teorico, si sono discusse varie alternative, specialmente in area anglosassone. 

Numerose ricerche antropologiche, negli ultimi decenni, hanno dimostrato che ciò che chiamiamo civiltà, con un tono apologetico, sia nella sostanza dominio degli uomini sugli uomini e di questi sulla natura.
Il regime economico e l’apparato
tecnico-scientifico odierni impediscono l’uso potenziale di fonti di energia alternative (come delle stesse rinnovabili) e di tecniche di gestione conseguenti, così come la nascita di un altro regime alimentare.

In un qualche senso dobbiamo tornare ad essere “incivili”, figli come siamo di "pratiche necrofile fattesi sistema” negli ultimi secoli. 
In questo quadro, posizioni antispeciste di ispirazione ecoanarchica, marxista e non solo, sembrano offrire interessanti contributi, che si aggiungono a quelli da tempo forniti dall’ecologia sociale di Murray Bookchin. 

«Nel mondo e in noi stessi», scrive Vaneigem, «ci troviamo all’incrocio di due civiltà; l'una finisce di rovinarsi sterilizzando l’universo sotto la propria gelida ombra, l’altra scopre, ai primi bagliori di una vita che rinasce, l’uomo nuovo, sensibile, vivo e creatore, fragile ramoscello di una evoluzione in cui l’uomo economico ormai non è altro che un ramo secco».

La pars costruens, è data dai modelli di economia partecipativa elaborati nel corso degli ultimi decenni. 
In particolar modo, Albert delinea un sistema economico-sociale a pianificazione consiliare (alternativo ai mercati ed alla cosiddetta «pianificazione centralizzata»), dunque dal basso, ossia "autogestito da lavoratori e consumatori”; cosa che più di tutte incarna quella «economia dei produttori associati» di cui parlava Marx. 
Esso pone le basi per una autentica «democrazia diretta», poiché vengono meno le condizioni del dominio degli uomini sugli uomini, a cominciare dai rapporti di classe, dalla divisione del lavoro e dall’esistenza di apparati istituzionali, pubblici o privati, ove il lavoro, come libero esercizio di capacità in un ambito sociale, non assumerebbe una forma mercificata e non incarnerebbe alcuna forma di dominio. 

L’ecosocialismo prefigurato da Angus insiste su alcuni aspetti di una ecologia radicale e sulla necessità di una rivoluzione sociale che conduca ad una civiltà ecosocialista (in quanto individua nel sistema capitalistico la causa di quella svolta planetaria chiamata Antropocene); una società in cui si pongano le condizioni per un’autentica, non ingannevole sostenibilità; ove, richiamando Marx, i produttori associati regolano razionalmente il metabolismo uomo-natura. 
Occorre auspicare in tal senso, secondo Angus, la nascita di un “movimento di lavoratori che abbia un carattere
ecologista", poiché ciò che presiede alla degradazione delle condizioni umane sul pianeta e ciò che procura la degradazione ambientale sono due aspetti d’una stessa faccenda. 
Il metabolismo sociale capitalistico non esprime un "generico" processo produttivo ed una "generica" attività lavorativa, è tutt’uno con la forma mercificata del lavoro come componente ecocida di questo metabolismo; ciò che la teoria del valore-lavoro di Marx vuole appunto sottolineare. 

Come osservava O’Connor, "è ormai diventato evidente che nel capitalismo la tecnologia, le forme del lavoro etc., inclusa l’ideologia del progresso materiale, sono diventate per lo più parte del problema, e non la soluzione".
In tal senso, Angus indica una serie di misure radicali da intraprendere nell’immediato se si vuol far fronte a quanto accade ed accadrà.
L'ecosocialismo appare come un'alternativa che ci consentirebbe di tornare alla terra secondo la forma dei tempi che ci attendono, giacché, in caso contrario ed a meno di un miracolo, per dirla con Adorno dovremo solo vergognarci, nell’inferno che abbiamo creato, "di possedere ancora… l’aria per respirare".

Ancor di più occorre rivolgersi a quella saggezza che precedette "le magnifiche sorti e progressive" e che ancora resiste nel richiamo alla vita che proviene dalle culture indigene: "Per molti anni, noi, leaders indigeni e popoli dell'Amazzonia, abbiamo avvisato voi, nostri fratelli che hanno causato tanti danni alle nostre foreste. 
Quello che voi state facendo cambierà il mondo intero e distruggerà la nostra casa, e distruggerà anche la vostra… 
Solo una generazione fa, molte delle nostre tribù lottavano fra di loro, ma ora siamo uniti, lottando insieme contro il nostro comune nemico. 
E questo nemico comune siete voi, i popoli
non indigeni che hanno invaso le nostre terre e ora stanno bruciando anche le piccole parti delle foreste in cui viviamo, quelle che voi ci avete lasciato.
Chiediamo che interrompiate ciò che state facendo, la distruzione, il vostro attacco agli spiriti della Terra. … 
Perché fate tutto ciò? 
Voi dite che è per lo sviluppo … 
Perché dunque fate tutto ciò? 
Noi vediamo che è perché alcuni di voi possano ottenere una grande quantità di denaro...
Per vivere, dovete rispettare il mondo, gli alberi, le piante, gli animali, i fiumi e anche la terra stessa. 
Perché tutte queste cose hanno spiriti, tutte sono spiriti e senza gli spiriti la Terra muore, la pioggia si fermerà e le piante alimentari marciranno e moriranno esse pure. 
Tutti respiriamo quest’aria, tutti beviamo la stessa acqua. 
Viviamo in questo pianeta. 
Abbiamo bisogno di proteggere la Terra. 
Se non lo faremo, i grandi venti verranno e distruggeranno la foresta.
E allora voi sentirete la paura che noi già sentiamo."

La capacità del capitalismo da sempre consiste nel farci credere che il peggio debba ancora venire. 
Se esso infine si è mostrato, possiamo opporvi un racconto che, se si re-intitolasse "Notizie da nessun luogo", narrerebbe di come l’uomo cominciò a ritirarsi dalla natura, liberando animali, piante e sé stesso da qualunque recinto, gabbia, prigione e procedura di sterminio, ed in buon ordine, dopo millenni di «condanne di morte a vita», (ri)cominciò a vivere. 


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