Osservando il modo in cui viene gestito il cambiamento climatico è possibile rintracciare tutte le gerarchie e i processi sociali che abbiamo sempre contestato.

tratto da "Per un conflitto climatico e di classe. Strike the green transition!" di Climate Class Conflict-Italy (CCC-IT).
La transizione verde è un enigma che interroga le nostre iniziative politiche. 
Essa ci costringe a confrontarci con il 
significato sistemico dell'ecologia e con i molteplici effetti che i cambiamenti nel rapporto tra produzione, riproduzione e 
ambiente hanno sulle nostre vite. 

La transizione verde è un campo di battaglia che ridisegna i confini e le possibilità dei movimenti sociali, obbligandoci a prendere una posizione. 
Essa riarticola la produzione e la riproduzione sociale sotto la bandiera 
ideologica della gestione del cambiamento climatico, mentre stabilisce materialmente le condizioni ambientali per l'accumulazione del capitale in tempi di crisi. 

In quanto ha a che fare con l'accumulazione di capitale, la transizione verde riguarda la logistica, la produzione industriale e le condizioni salariali, nonché la regolamentazione della circolazione e del lavoro dei migranti e del lavoro riproduttivo delle donne. 

Per noi, lottare per la giustizia climatica significa affrontare il problema di come la crisi climatica viene sfruttata dai governi e dal capitale per riprodurre le disuguaglianze e suggellare la loro legittimità. 
Significa accumulare il potere necessario per realizzare una trasformazione veramente radicale, un compito che non può né essere lasciato ai soli "specialisti" del clima, né limitato a singole lotte territoriali scollegate da ciò che accade altrove. 
Questo è il compito di un movimento sociale transnazionale alimentato da una 
comprensione condivisa delle urgenze politiche più pressanti che le persone devono affrontare e del modo in cui collegarle. 

Un conflitto climatico e di classe transnazionale non è qualcosa che abbiamo già, e ciò di cui abbiamo più bisogno. 
Questo non significa però che partiamo 
da zero. 

Facciamo parte di movimenti e organizzazioni per il clima che hanno legami internazionali e che in questi anni 
hanno fatto dell'ecologia un terreno di lotta fondamentale. 
Ciò è stato reso possibile dall’ampia 
rivendicazione di un futuro di giustizia sociale e climatica contro i governi e i capitalisti che lo barattano in cambio di profitti facili qui e ora. 
È stato possibile contrastando la 
narrazione di una transizione verde che promette di offrire un futuro a zero emissioni, mentre continua a subordinare e sfruttare lavoratori, donne e migranti e ad appropriarsi delle risorse per il solo profitto. 

Molte pratiche sono state abbracciate 
dal movimento per il clima, come i blocchi, i climate camp e gli scioperi globali

Allo stesso tempo, gli scioperi di lavoratori e lavoratrici e le proteste nei settori dei trasporti, delle miniere, dei combustibili fossili e del carbone contro il peggioramento delle condizioni di lavoro prodotto dalla transizione verde ci spingono a pensare a come superare i limiti delle nostre iniziative. 
I lavoratori e le lavoratrici che scioperano per non perdere il posto di lavoro stanno lottando contro un sistema che contrappone i loro interessi alle esigenze ecologiche di tutti attraverso l'imperativo della transizione verde. 
Essi si trovano di fronte allo stesso sistema che gli attivisti e le attiviste per il clima vogliono cambiare, un sistema la cui riproduzione pesa sul lavoro gratuito delle donne e sui salari di tutti i lavoratori. 
Qui si trova un potenziale collegamento che deve essere costruito e praticato 
politicamente. 

È bene essere molto chiari su questo punto: il compito degli attivisti per il clima 
non è quello di "insegnare" ad altri come condurre la lotta; piuttosto essi devono contribuire a costruire "alternative credibili, attuabili e concrete alla narrazione dominante" che aiutino a superare le differenze. 
La nostra iniziativa climatica e di classe 
transnazionale deve fare i conti con questo e costruire un potere a partire dalla connessione politica di queste differenze.

Per questo pensiamo che il rifiuto delle politiche sul cambiamento climatico debba essere parte del rifiuto di una guerra che viene combattuta con armi vere e proprie in Ucraina e con armi economiche e politiche in tutto il mondo. 
Sotto la minaccia dell'"insicurezza" energetica, il ritmo e la portata della transizione verde pianificata dall'UE e dai governi nazionali sono cambiati, con l'obiettivo di sottomettere qualsiasi contestazione pratica dei suoi effetti all'interesse superiore della costruzione di un'Europa più forte per mezzo della guerra.

Lo sciopero è uno degli strumenti politici che i movimenti ecologisti hanno adottato in questi anni per esprimere il loro rifiuto delle scelte del capitale e degli Stati, mal disposti ad anteporre il "cambiamento di sistema" al "cambiamento climatico". 
Mentre è più che mai chiaro che nessun governo riuscirà a garantire una "transizione giusta" da questa società inquinata da gerarchie capitaliste, sessiste e razziste, ciò che possiamo aspettarci da uno sciopero del clima è ancora oggetto di discussione. 

Il movimento globale dello sciopero femminista contro la violenza patriarcale ha contribuito profondamente ad ampliare il significato e la portata dello sciopero come processo sociale che mira a colpire i pilastri della violenza che riproduce 
continuamente la società . 

Pensiamo che per continuare a crescere, il processo dello sciopero del clima debba essere in grado di cogliere le linee del 
conflitto climatico e di classe che attraversano lo spazio transnazionale, in modo da rafforzare il rifiuto di sottomettersi all'insieme delle condizioni sociali imposte dalla transizione verde. 
Lo sciopero ecologista dovrebbe avere 
l'ambizione di collegare le lotte nei luoghi di lavoro - e ce ne sono molte già in atto all'interno e contro il settore energetico e 
fossile - con quelle che si svolgono in tutti i territori colpiti dalla transizione verde, superando i limiti delle vertenze nazionali o locali.

I progetti per il rinnovabile riproducono dipendenze dall'industria estrattiva, rendendo così le politiche verdi ed energetiche neoliberali un modo per rafforzare le gerarchie esistenti. 
Le comunità locali sono colpite da questi movimenti transnazionali del capitale che 
ora cercano nuove opportunità di accumulazione nel settore "verde" e restano impotenti di fronte a una transizione presentata come necessaria e 
indiscutibile. 

Prendendo le mosse dal territorio è dunque necessario rimettere in discussione il concetto di "ambiente", per sottolineare il legame tra lo sfruttamento capitalistico della natura e quello delle persone. 
Il governo della mobilità all'interno di spazi e ambienti diversi riproduce gerarchie sociali e territoriali mentre consolida il dominio del capitale sulle diverse condizioni, frammentando anche le nostre lotte. 
La sfida è quella di articolare le lotte ecologiste, sindacali e sociali in un'iniziativa transnazionale per ripensare il nostro ambiente, da costruire su "terreni comuni"

"Come possiamo promuovere un 
internazionalismo a partire dalla nostra comune esperienza di separazione?”

Certamente, la guerra è una radicale esperienza di separazione. 

Tra gli effetti mondiali che la guerra in Ucraina sta avendo c'e la moltiplicazione 
delle linee di divisione tra i movimenti sociali. 
Questo rende molto più difficile il nostro processo di organizzazione transnazionale e dimostra l'importanza di rifiutare la logica della guerra. 
Allo stesso tempo, la guerra sta praticamente cambiando il modo in cui la transizione verde viene legittimata e realizzata. 
Anche quando non è materialmente 
connessa a una determinata politica nazionale o locale, la guerra influisce sulla nostra vita quotidiana poiché viene utilizzata per giustificare il forte aumento dei prezzi del gas o il sostegno economico alle estrazioni di combustibili fossili, che andranno a vantaggio delle sole compagnie petrolifere mentre renderanno obsoleto qualsiasi obiettivo climatico. 

La guerra ha introdotto diverse discontinuità nei piani energetici europei. 

Simone Ogno (ReCommon) suggerisce che l'impossibilità di attingere al gas russo ha portato i governi europei a passare dall'autoritarismo russo a fornitori altrettanto autoritari come gli Emirati Arabi Uniti; d'altro canto, tutto ciò ha giustificato il rilancio dei combustibili fossili. 

Facendo riferimento alla situazione delle miniere in Germania, si evidenzia il legame tra il rilancio dei combustibili fossili e il peggioramento delle condizioni di vita, salute e lavoro di chi vive nelle zone colpite. 

In questa fase, la tensione tra la necessità di far leva sulla transizione per autonomizzarsi dal gas russo e quella di utilizzare fonti energetiche immediatamente più efficienti mantiene intatta la priorità dell'accumulazione
In questa prospettiva, è cruciale quanto si sostiene sui piani in corso per la ricostruzione post-bellica ucraina. 
Mentre la guerra sta colpendo non solo lo Stato, ma l'intera popolazione ucraina, l'UE sta iniziando a organizzare la trasformazione neoliberale del sistema energetico ucraino per adattarlo alle esigenze del mercato unico. 

Questo dimostra che la transizione verde è parte integrante del clima di guerra che l'UE e altri Stati stanno alimentando in tutto il mondo; il crescente militarismo, la violenza e il nazionalismo sono i principali obiettivi che una politica transnazionale di pace, per la giustizia sociale e climatica deve affrontare. 
Il nostro impegno climatico e di classe deve puntare a rendere esplicite le connessioni politiche e transnazionali, in modo da poter affrontare e sovvertire ogni subordinazione.

Come sottolineato nel contributo di Climate Class Conflict – Italy (CCC-IT): “la guerra sta imponendo la sua ecologia” anche attraverso la riaffermazione della centralità della logistica per l’accumulazione del capitale. 

Questo ci spinge a decentrare lo sguardo 
quando guardiamo a progetti come grandi 
autostrade, parchi eolici, espansioni portuali, tunnel, gassificatori ecc... che incidono direttamente sull'ambiente in cui viviamo. 
Uno sciopero del clima che rifiuti questi progetti "verdi" non può esimersi dal compito di svelare le condizioni che si celano dietro queste decisioni apparentemente "tecniche" o "necessarie", mettendo in luce ciò che la transizione verde sistematicamente nasconde. 

Proteste messe a tacere in nome di un ambiente attraente per gli investimenti delle grandi imprese: lavoratori ricattati o direttamente licenziati per fare spazio a 
una forza lavoro più adatta alla produzione verde; processi di eliminazione graduale dei combustibili fossili che tingono di una nuova tonalità verde i vecchi profitti finanziari ed estrattivi; tagli imposti al consumo di energia che colpiranno maggiormente coloro che già sopportano il peso della riproduzione sociale, ossia le donne e i migranti. 

Non possiamo affrontare con successo nessuno di questi ostacoli alle nostre iniziative politiche senza affrontare la sfida rappresentata dalla dimensione transnazionale che li produce. 
Dobbiamo fare del nostro ecologismo 
un modo per trasformare questa sfida in 
un'opportunità: per affrontare la guerra, la crisi climatica e la transizione verde, abbiamo bisogno di un conflitto climatico e di classe transnazionale!


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