Nel vasto ed eterogeneo campo di ricerca delle “geografie del cibo”, la scala urbana ha ormai acquisito una evidente centralità.
tratto da "Cibo e trasformazioni urbane. Varianti di foodification"; di Panos Bourlessas, Mirella Loda, Matteo Puttilli.
Il concetto di foodification è emerso negli ultimi anni come una chiave di lettura utile per rendere conto dell’estrema rilevanza del cibo (in termini di offerta gastronomica e di discorsi e immaginari creati attorno ad essa) nell’ambito di più ampi processi di riconfigurazione della base economica e della cultura urbana.
Del resto, che cibo e città siano intimamente interconnessi e che gli spazi (urbani) dedicati al cibo rappresentino qualcosa di più di semplici luoghi di produzione e consumo non costituisce certo una novità.
Il presente contributo ha un duplice obiettivo: ricostruire la genesi della foodification (anche nei suoi legami con il dibattito internazionale sul rapporto tra città e cibo); illustrare come i contributi raccolti contribuiscano a strutturare e ad ampliare il dibattito sulla foodification e le sue implicazioni urbane.
Alle origini di un dibattito
Ci sembra utile distinguere tra (almeno) due prospettive differenti, solo in parte tra loro collegate, attraverso le quali la dimensione urbana del cibo è stata affrontata.
Una prima prospettiva – ampiamente rappresentata in Italia e nel contesto europeo – si interessa ai cosiddetti sistemi locali/urbani del cibo, e più precisamente ai modi in cui, attraverso il cibo, è possibile riorganizzare le filiere agro-alimentari su base locale, nell’ottica di un progressivo riavvicinamento della città al territorio.
Si tratta di un filone che, partendo da premesse di carattere ecologico sul metabolismo dei sistemi urbani, si è poi focalizzato sul ruolo giocato dalle pratiche dal basso e dalle politiche nella riorganizzazione – funzionale e spaziale – delle relazioni tra cibo e città verso una maggiore sostenibilità ambientale e sociale.
In diversi contesti urbani nel mondo, la diffusione di pratiche locali spontanee e insorgenti (quali l’agricoltura urbana, i gruppi di acquisto, le reti alimentari alternative, ecc.) da un lato, e di progetti e politiche urbane più o meno istituzionalizzate dall’altro, sono state lette, analizzate e promosse come un segnale di una progressiva acquisizione di consapevolezza rispetto al ruolo delle città nella transizione verso sistemi del cibo più sostenibili, sia in senso ambientale che sociale ed economico.
Nel contesto italiano, tale prospettiva di analisi ha trovato corpo in diverse iniziative di carattere interdisciplinare e connotate da un forte orientamento all'azione, nelle quali la geografia gioca un ruolo spesso propulsivo, nel senso di promuovere l’adozione di politiche locali del cibo nelle varie arene politiche e contesti istituzionali alla scala urbana e non solo.
Accanto a tale prospettiva, si riconosce una seconda linea di indagine, incentrata sul ruolo che la somministrazione e il consumo di cibo giocano nel contesto di significative trasformazioni urbane in campo economico, sociale e culturale, con particolare riferimento al tessuto economico e commerciale di specifiche aree della città e, all’interno di queste, alle pratiche quotidiane di consumo e fruizione dello spazio.
In questo secondo campo di riflessione, sin dai primi anni Novanta del secolo scorso Sharon Zukin (1991) notava come gli spazi dedicati al cibo e al bere stessero acquisendo un ruolo sempre più importante nel facilitare quei "processi di rivitalizzazione e gentrificazione" attivati dalla penetrazione, in quartieri deindustrializzati e/o degradati, di classi sociali portatrici di nuove urbanità e orientamenti di consumo.
Pochi anni dopo, Joanne Finkelstein (1999) coniava il neologismo foodtainment per porre al centro dell’attenzione il fatto che il cibo – e in particolare la costruzione di un immaginario estetico, culturale e urbano attorno al cibo, al bere e al mangiare fuori – rappresentasse ormai un rinnovamento in corso delle modalità di esperire la città e di ridefinire gli stili di vita al suo interno e, di conseguenza, come tali immaginari e atmosfere fossero richiamati e sfruttati nei processi di rigenerazione e autopromozione di quartieri e parti della città stessa.
Se tali contributi si concentrano soprattutto sulla dimensione culturale mediata dal cibo, più recentemente altri approfondimenti hanno posto al centro del dibattito le implicazioni politiche, economiche e sociali connesse a tali trasformazioni, con particolare enfasi sui "processi di normalizzazione, controllo e privatizzazione degli spazi urbani" mediati anche attraverso l’apertura di luoghi dedicati alla vendita e al consumo di cibo, in primis ristoranti, café e food stores, e dalle relative pratiche di consumo.
La chiave di lettura che emerge da tale prospettiva è quella della food gentrification, la quale ha trovato riscontro anche in ambito extra-accademico come una prospettiva di analisi dalla connotazione fortemente politicizzata, utile a rendere consapevoli di come i luoghi vengano gentrificati (anche) attraverso il cibo e a condividere prospettive di azione per contrastare tali processi.
Nonostante gli spunti interpretativi e analitici offerti da questa prospettiva, non è difficile riconoscere in tali contributi uno spiccato riferimento al contesto anglo-sassone e, più nello specifico, statunitense: la prospettiva della food gentrification, in particolare, fa da contrappunto alla presenza di food deserts, vale a dire ampie aree urbane – notoriamente le più povere e connotate dalla presenza di minoranze etniche – in cui l’accesso al cibo (e specialmente cibo fresco, di qualità, sano) è difficile se non impossibile.
In questa prospettiva, la food gentrification parla soprattutto della conversione di alcune di queste aree attraverso l'apertura di specifiche tipologie di esercizi e rivendite alimentari – specialmente quelle caratterizzate dalla vendita di prodotti freschi e biologici – che attraggono nuove fasce di popolazione, risultando spesso inaccessibili ai residenti di lungo corso.
Si tratta di situazioni con evidenti riscontri anche nel contesto europeo e italiano, per quanto segnato da altrettante differenze: ad esempio, se è indubbio che anche in Italia esistano aree in cui l’accesso al cibo è difficile (e luoghi soggetti a processi di gentrification ai quali il cibo partecipa come componente più o meno trainante) allo stesso tempo ci sembra che tali trasformazioni, sia sul piano tangibile sia intangibile, siano meno episodiche e puntuali, ma più pervasive e diffuse; che non si limitino a investire spazi non ancora gentrificati, ma spesso riguardino le parti delle città più benestanti, o attrattive, in primis i centri storici urbani, portando qui agli estremi gli effetti di più ampi processi di riconversione e rifunzionalizzazione (ad esempio in chiave turistica) già in atto da tempo.
Varianti di FOODIFICATION
La comparsa e l’introduzione del termine nel dibattito internazionale merita una certa attenzione: tra il 2019 e il 2020 in diversi contesti accademici italiani, si è cominciato a impiegare il concetto per rendere conto dell’estrema rilevanza del cibo (in termini di offerta alimentare, e di discorsi e immaginari creati attorno ad essa) nell’ambito di più ampi processi di riconfigurazione della base economica e della cultura urbana.
La foodification, in altri termini, allude al carattere massivo, dilagante ed espansivo del comparto gastronomico nei contesti urbani, apprezzabile – anche per banale esperienza diretta – sia nello spazio fisico, attraverso la continua apertura di nuovi ristoranti, caffè ed esercizi di somministrazione, sia nello spazio virtuale, tramite l’invasiva presenza del cibo nell’immaginario urbano messo in circolo dalle diverse piattaforme digitali istituzionali e non (social network, Google Maps, siti di recensioni, di promozione turistica, ecc.).
Un aspetto peculiare del dibattito sulla foodification sorto in Italia è relativo, da un lato, alla simultaneità con la quale i diversi lavori hanno iniziato a trattare il tema da angolature in parte differenti e, dall’altro lato, all’assenza di richiami reciproci tra i diversi studi, almeno in origine.
In tale mancanza di riferimenti e legami è utile creare uno spazio in cui far esplicitamente dialogare diversi approcci, metodi e strumenti di indagine con i quali la foodification è stata analizzata.
A riguardo, pur nella diversità di specificazioni e declinazioni che la foodification acquisisce, ci sembra di poter evidenziare alcune caratteristiche comuni, che conferiscono al dibattito sul tema elementi di continuità e coerenza.
In primo luogo, il fatto che il termine foodification, più che definire un fenomeno, rappresenti una chiave di lettura aperta dei processi di trasformazione urbana.
L’attenzione al cibo si pone come una lente per comprendere ed esprimere processi più vasti che investono le città contemporanee, e dei quali il comparto alimentare costituisce un elemento di forte trasversalità.
Di conseguenza, la foodification acquisisce valenza esplicativa nel contesto delle molteplici forze che plasmano la realtà e ridefiniscono le funzioni degli spazi urbani alla scala metropolitana, quali le dinamiche demografiche, l’andamento dei flussi turistici e dei valori immobiliari o la riorganizzazione delle attività produttive e commerciali.
Il focus sul cibo può aprire nuove possibilità analitiche (e prospettive interpretative) che aiutino a comprendere gli effetti socio-spaziali di tali processi: si pensi alla misura in cui l’aumento delle attività di ristorazione contribuisce alla funzionalizzazione al turismo dei centri storici delle città d’arte.
Tale focus aiuta altresì a ragionare sui reali spazi di manovra delle politiche urbane nel regolamentare fenomeni la cui origine è sovralocale.
La foodification va peraltro intesa in termini contestuali.
I casi analizzati (in ambito nazionale ed internazionale) dimostrano come il comparto gastronomico abbia acquisito una sempre maggiore centralità nella base economica delle città, specialmente nelle aree centrali o a maggiore vocazione turistica e ricreativa.
Tuttavia, perdurano marcate differenze nei modi in cui la foodification si propaga e investe i diversi contesti urbani, in Italia e non solo: l'intensità, la diffusione e gli impatti della foodification rimangono fortemente variabili nello spazio e nel tempo.
Ad esempio, la recente pandemia ha costituito un evidente elemento di discontinuità nel processo di foodificaton, ma ha suscitato in diversi contesti conseguenze e risposte differenti.
Infine, ci sembra utile sottolineare il carattere necessariamente multidimensionale della foodification.
Dalla dimensione materiale della somministrazione di cibo nei locali e negli esercizi di ristorazione, alla dimensione immateriale dei discorsi e delle rappresentazioni che plasmano l’immagine urbana (anche) attraverso il comparto gastronomico; dalla dimensione tangibile delle pratiche economiche e sociali che trasformano gli spazi urbani e le modalità della loro fruizione, a quella intangibile delle atmosfere urbane mediate attraverso il cibo, tutte concorrono a ridefinire l’identità e gli status degli spazi così come dei gruppi sociali che li abitano e li frequentano.
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