Le fondamenta della ricchezza e del benessere poggiano sulla riproduzione sociale e il lavoro di cura.

tratto da "Comunità di Cura"; di Stefania Barca.

https://link.springer.com/chapter/10.1007/978-3-031-20928-4_8#Sec3

Comunità di Cura

Praialta Piranheira, è il nome dell'insediamento agroforestale dell'Amazzonia brasiliana che ha ispirato il mio ultimo libro intitolato "Forze di Riproduzione". 

Praialta è un tipo particolare di area protetta, quella che la legge brasiliana chiama “riserva estrattiva”, cioè terra pubblica che viene esclusa dallo sfruttamento capitalista e dall'imperativo della crescita del PIL e gestita da comunità che si approvvigionano attraverso l'estrazione sostenibile di frutti selvatici, noci, frutti di mare e altri prodotti forestali. 

Le riserve estrattive del Brasile hanno avuto origine dalle lotte di base per la giustizia sociale risalenti agli anni '80 e alla Alleanza dei Popoli della Foresta

Lotte per i beni comuni interspecie, intesi come una "comunità politica" fatta di persone che non vedono la propria umanità come separata dal non umano, ma piuttosto come coesistenza e rigenerazione con quest'ultimo.

Questa comunità interspecie comprende le popolazioni indigene, ma anche i raccoglitori di gomma e altre persone "razzializzate" che si riproducono insieme ad una varietà di biomi, non solo foreste ma anche ecosistemi fluviali e mangrovie.

Il sostentamento, la sovranità alimentare e il benessere di queste comunità dipendono dalla ricchezza dei loro territori, dei quali si prendono cura con uno spirito di legame con la terra e di cura di sé. 

Zé Cláudio Ribeiro da Silva e Maria Do Espírito Santo, ad esempio, gli estrattivisti la cui storia ha ispirato il libro, si guadagnavano da vivere estraendo la castanha do Pará (noce brasiliana), che raccoglievano dall'appezzamento loro assegnato all'interno dell'insediamento di Praialta; difendersi dal taglio illegale e dal traffico di legname era la prima preoccupazione.

Le comunità di cura della terra che i brasiliani chiamano "riserve estrattive" sono il prodotto del conflitto e della lotta sociale, della resistenza al patriarcato capitalista e alla supremazia bianca, alla crescita del PIL e alla finanziarizzazione della natura negli ultimi decenni. 

Poiché la logica della cura si oppone alla logica dell'estrazione (nel senso capitalista e produttivista del termine), le comunità di cura della terra sono costantemente minacciate e prese di mira dalla violenza strutturale, sia fisica che simbolica. 

Oggi molti estrattivisti sono costretti a lasciare la riserva e trasferirsi nelle aree urbane o nelle piantagioni per diventare proletari, parte della forza lavoro per la crescita capitalista. 

La logica di base è quella di rompere il rapporto "premuroso" delle persone, tra loro e con la terra, trasformando comunità più-che-umane in singoli proletari e risorse in attesa di sfruttamento. 

Queste pressioni sono state costanti per tutta la storia del Brasile e si sono intensificate durante il governo di Bolsonaro, un mix fascista di eteropatriarcato, supremazia bianca e negazionismo climatico. 

A Brasilia, nell'estate del 2021, mentre la Corte Suprema Federale del Brasile decideva sulla proposta del governo di ridurne drasticamente il riconoscimento dei territori, ebbe luogo la più grande mobilitazione indigena degli ultimi 30 anni, con 6000 persone accampate nella capitale. 

L'ecologia politica femminista ci aiuta a dare un senso alla storia delle comunità di cura della terra in Brasile, evidenziando una componente chiave della loro lotta: la rilevanza e il valore del lavoro di cura, che si estende dalla sfera domestica alla terra e all'ambiente non umano. 

Prendo in prestito il termine "cura della terra" dalla studiosa ecofemminista Carolyn Merchant, che ha scritto sul "nesso storicamente costruito tra donne e cura" nella cultura occidentale, per dare un senso critico all'azione delle donne in una serie di mobilitazioni ambientali. 

Tuttavia, la mia comprensione della cura della terra va oltre l'attenzione alle donne e anche oltre la stessa mobilitazione ambientale. 

Riferendomi al concetto di "lavoro meta-industriale" di Ariel Salleh, e basandomi sulla storia di Prailata Piracheira, vedo la cura della terra come il lavoro di riproduzione ambientale, cioè “il lavoro di rendere la natura non umana adatta alla riproduzione umana, allo stesso tempo proteggendola dallo sfruttamento e assicurandone le condizioni per la rigenerazione, al fine di soddisfare i bisogni delle generazioni presenti e future”.

I "custodi della Terra" tengono in vita il mondo, eppure la loro agentivita' ambientale è in gran parte non riconosciuta nelle narrazioni tradizionali della catastrofica epoca di cambiamento del sistema terrestre che gli scienziati chiamano Antropocene. 

Questa invisibilità del lavoro di cura della terra ha a che fare con i paradigmi culturali dominanti della modernità capitalista e industriale, una "formazione storica" che identifica la modernità con le forze di produzione e con la geo-supremazia umana

È quindi necessario annullare la prospettiva della geo-supremazia per vedere le comunità di custodi della terra come parte di un'agentivita' storica più ampia che è stata di fondamentale importanza per la riproduzione dei sistemi terrestri nel corso della storia umana.


La "riproduzione ambientale" è un concetto femminista, in quanto si basa su una denaturalizzazione del lavoro riproduttivo che ne rende visibile la rilevanza sociale ed ecologica al di là della sfera domestica/di sussistenza. 

Mira anche a richiamare l'attenzione sui processi sociali che tendono ad appropriarsi di questo lavoro e ad includerlo nell'economia politica capitalista o produttivista di stato, che dà priorità alla crescita del PIL rispetto alla vita, sia umana che non umana. 

Come alle donne nella riproduzione sociale, così alle persone razzializzate, colonizzate e/o a basso reddito, alle comunità contadine, indigene e afrodiscendenti, è stato storicamente assegnato il ruolo di riproduttori di natura non umana, ciò che gli economisti e i tecnocrati oggi chiamano servizi ecosistemici

Interessanti contraddizioni possono essere osservate in questa "dimora nascosta" (prendendo in prestito il termine da Nancy Fraser) di conservazione della natura. 

Avendo luogo principalmente al di fuori delle relazioni salariali capitaliste, il lavoro di cura è anche non alienato; consente, cioè, alle persone di impegnarsi in una relazione diretta con la natura non umana e di riconnettersi con il loro essere di specie.

Allo stesso tempo, la logica dell'accumulazione capitalistica senza fine spinge verso la scomparsa del lavoro autonomo e di sussistenza con tutti i mezzi, compresa la violenza sia simbolica che materiale, finanziarizzando e inglobando ogni forma di cura all'interno delle relazioni capitalistiche. 

Imparando da Maria do Espírito Santo e descrivendo il suo coinvolgimento nel progetto Praialta, si può individuare in questa contraddizione fondamentale della riproduzione ambientale, "il contesto da cui emergono le lotte per la cura della terra", sia come resistenza organizzata all'estrazione di valore sia come micropolitica quotidiana di ri-esistere con la natura non umana nelle relazioni di cura. 

Per questo è necessario includere i curatori della terra tra le “forze di riproduzione”, cioè tra i soggetti storici con un potenziale contro-egemonico, che trova espressione nella lotta politica organizzata a livello locale e nazionale, oltre che globale.

Come ha dimostrato la conferenza sulla decrescita del 2021 all'Aia, il movimento per la decrescita, emerso dalla coscienza critica occidentale dei limiti planetari e sociali alla crescita del PIL, sta evolvendo verso una più piena comprensione delle radici patriarcali e razziali/coloniali dell'imperativo della crescita. 

Insieme all'approccio decoloniale e all'attivismo ecologista, l'ecologia politica femminista offre un contributo fondamentale a questo sforzo, promuovendo una ridefinizione delle politiche di decrescita basata sul presupposto che “le fondamenta della ricchezza e del benessere del mondo poggiano sulla sfera della riproduzione sociale e del lavoro di cura”. 

Se la politica della decrescita consiste nella ricerca di un'alternativa radicale al paradigma egemonico della crescita del PIL come fondamento della ricchezza e del benessere, allora le comunità di cura della terra non potranno che occupare in essa un posto centrale.


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