I vecchi riflessi della concezione "razziale" della nazione sembrano ancora oggi pericolosamente vivi.
tratto da "Il Risorgimento delle Lettere: l'invenzione di un paradigma?" di Elsa Chaarani Lesourd.
In Parentela, santità e onore alle origini dell'Italia unita, lo storico Alberto Banti aveva esaminato la forma del discorso nazionale nell'Italia risorgimentale.
Il postulato di partenza era che l'idea di una comune "nazione" italiana non fosse assolutamente scontata: pochi scambi economici tra gli Stati, pochi mezzi di comunicazione, nessuna vera lingua comune e molte differenze culturali.
Ne "La nazione del Risorgimento", Banti dimostra che quella di "nazione" è una costruzione retorica dotata di un potere comunicativo così efficace da riuscire a convincere gran parte della popolazione dell'esistenza di una comunità di interessi che, nei fatti, quasi non esiste.
Nel libro, Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo, l'autore ritorna sull'argomento estendendo le sue precedenti conclusioni al periodo che va dall'Unità al fascismo.
Quest'ultimo volume è suddiviso in quattro capitoli: “La nazione del Risorgimento” e “Amor di patria” (sull'Italia postunitaria); “La consacrazione degli eroi”, (dall'interventismo alla fine della guerra); “Sangue e suolo” (dal dopoguerra agli anni del fascismo).
Il primo capitolo riprende l'argomento del volume La nazione del Risorgimento.
In Italia, lo Stato unitario, costituitosi nell'Ottocento, si fondava su una nuova idea – la nazione – apparsa all'indomani della Rivoluzione francese, che poneva fine al principio del diritto divino sostituendolo con il “principio nazionale”.
In Europa e in Italia la parola conobbe rapidamente una grande fortuna politica, sia tra i sostenitori della Rivoluzione francese che tra i detrattori delle occupazioni napoleoniche.
La comparsa della parola "nazione" nel vocabolario politico fu accompagnata da un'altra parola chiave: "patria".
La parola "nazione" ha però degli aspetti problematici: quante "nazioni" ci sono?
Chi ne fa parte?
Per quali motivi?
La risposta, non scontata, era che "l'identità della nazione" andasse cercata nella "cultura italiana", sebbene all'epoca pochissimi abitanti della Penisola fossero italofoni.
Nonostante la fragilità di questa ipotesi, (che difficilmente corrisponde alla realtà), la creazione di questa nazione effettivamente si realizzò, tra il 1815 e il 1861, con impressionante efficienza; ma ciò avvenne attraverso l'attivismo e le insurrezioni che agitarono la Penisola fino al 1860.
Secondo Banti, la causa di questo successo fu dovuta al fatto che i leader intellettuali presentarono il "discorso nazional-patriottico" attraverso modalità che facevano appello all'emozione più che alla ragione: questo ne spiega lo straordinario potere di persuasione anche su persone analfabete (circa l'80% della popolazione della Penisola).
Lo sviluppo di questo discorso coincise con il movimento culturale del Romanticismo, desideroso di rivolgersi a un pubblico più ampio, come si può vedere in numerosi testi come la Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliuolo di Berchet, del 1816.
In questa prospettiva, i melodrammi con contenuto patriottico potevano essere compresi, attraverso la magia della musica e del canto, anche da chi non sapeva leggere.
Il primo elemento di questo discorso nazionale era la nazione vista come "comunità di parentela": l'Italia è una "madre" e gli italiani sono "fratelli" (vedi l'inno nazionale Fratelli d'Italia) legati dal "sangue".
Svariate opere politiche, letterarie o musicali furono variazioni su questi temi, da Marzo 1821 di Manzoni a La battaglia di Legnano di Verdi e Cammarano.
Grazie a una straordinaria inventiva simbolica, le opere che promuovevano il “discorso nazional-patriottico” furono in grado di manipolare il pubblico facendo appello alle sue emozioni primarie.
L'idea di nazione, recente e artificiale, si trasformò in un dato “naturale” grazie all'immagine di una parentela che univa tra loro i membri della nazione in termini di "sangue, stirpe e razza".
Altro elemento centrale di questo discorso era la sofferenza che, nei paesi cattolici, aveva una risonanza fortissima: si faceva ricorso a termini chiave come “martirio” e “sacrificio”.
Con uno slittamento di significato, il “martire”, eroe del Risorgimento, diventava colui che aveva testimoniato la sua “fede” politica offrendo la propria vita in “sacrificio” per il bene della comunità nazionale.
Banti affronta anche la questione del genere, perché il discorso nazionale postulava un'innegabile superiorità degli uomini sulle donne e distribuiva i ruoli imposti ai due generi.
Secondo l'autore, in Ultime lettere di Jacopo Ortis, la pretesa romantica dell'amore-passione altro non era che la possibilità di una felice relazione amorosa vista come base (matrimoniale) per la "riproduzione della comunità nazionale”.
Per proteggere la "linea di sangue", i maschi dovevano sacrificarsi sul campo di battaglia e le donne dovevano sostenerli, rassegnandosi a sacrificare padri, mariti e figli.
Le narrazioni che promuovevano il discorso (nazional - patriottico) dell'aggressione sessuale delle eroine (Lucia nei Promessi sposi, o Lisa e Laudomia in Niccolò de' Lapi di Massimo d'Azeglio, ad esempio) erano il chiaro segno di una concezione biopolitica della nazione.
Gli stupri delle donne italiane da parte del nemico venivano infatti considerati dal punto di vista della "contaminazione della razza italiana da parte della razza nemica".
Nel secondo capitolo, "Amor di patria", l'autore mostra innanzitutto come le norme adottate nel 1865 facessero subito prevalere il diritto di sangue (ius sanguinis) sullo ius soli, in modo strettamente patrilineare: "è cittadino chi è nato da padre italiano".
A causa della particolare rigidità di questo “diritto di sangue” italiano, pochissime naturalizzazioni poterono essere concesse tra il 1861 e la fine dell'Ottocento .
Banti si avvicina poi ai testi della "pedagogia nazional-patriottica”, dove sono ben presenti i temi fondamentali affrontati durante il Risorgimento: patria come comunità di parentela, legame tra comunità e territorio, mistica del martirio; questi temi si ritrovano nei testi educativi, in particolare Cuore di Edmondo De Amicis.
I “martiri” e i “santi” patriottici fungevano (e fungono) da modello per le generazioni successive, grazie alla loro presenza tra i vivi sotto forma di statue e commemorazioni.
Le statue degli eroi perpetuavano il loro "martirio" nel mondo dei vivi, e talvolta questa ritualizzazione assumeva un aspetto macabro, come quando venne imbalsamato il cadavere di Mazzini o riesumate le spoglie mortali degli eroi della nazione.
La distribuzione di genere dei ruoli, proposta da testi pedagogici come Cuore (modello femminile della figura materna che accetta il sacrificio e l'eroismo dei più giovani) si può ritrovare anche in molte opere cinematografiche: è dovere delle donne, durante la guerra (madri, infermiere e madrine dei soldati sono i loro modelli), sostenere gli uomini andati al fronte.
Ne “La consacrazione degli eroi”, Banti misura l'eco dell'interventismo e dell'entrata in guerra dell'Italia nel 1915 nelle lettere private delle famiglie e nei diari dei soldati.
Notiamo innanzitutto la sovrapposizione dell'immagine della madre allegorica a quella della madre biologica: sotto la penna dei giovani soldati, la patria è un'altra madre, e il sacrificio della loro vita è ingigantito.
Talvolta a farlo sono gli stessi genitori, come in questa commemorazione scritta per il figlio dalla madre di un giovane morto in combattimento, da cui è tratto il titolo del volume: "Patria! Sublime madre nostra, il tuo volere sia fatto!"
A volte, le lettere dal fronte mostravano i dubbi di giovani soldati di fronte all'orrore quotidiano della guerra, così lontano dai bei discorsi del “maggio radioso”.
La morte per la patria si declinava secondo i motivi del “martirio”, del “dovere e del sacrificio”, della nobiltà di questa “bella morte”.
Così il nazional-patriottismo emerse come una sorta di religione laica, parallela alla religione reale e celebrata in due occasioni, la cerimonia del "milite ignoto" e le commemorazioni dei giovani caduti al fronte.
Tutte le madri erano invitate a riunirsi presso la tomba del milite ignoto, affinché i legami di "razza" (che uniscono gli italiani) venissero, ancora una volta, resi manifesti.
Nelle commemorazioni l'eroe era giovanissimo e la sua morte bella; non veniva raccontato alcun orrore ma piuttosto enfatizzata l'idea del sacrificio “cristiano”.
“Sangue e suolo”, il quarto capitolo, si concentra sul periodo tra le due guerre.
I sopravvissuti alla Grande Guerra provarono una profonda delusione e talvolta trovarono consolazione nel nazionalismo del partito di Mussolini, che riprendeva molti elementi del discorso nazional-patriottico: in primo luogo, la nazione vista come "comunità di parentela" in possesso di un territorio, distinto da altre etnie, e l'idea di una comunità "spirituale" che comprendesse le "glorie italiche" (come Dante o Galileo).
Le parole "razza" e "lignaggio" (o razza e stirpe) erano usate molto prima della svolta delle leggi razziali del 1938, perché servivano a definire la nazione italiana come comunità genealogica ed etnica.
Nel 1938 il razzismo biologico divenne una delle dottrine del regime fascista e si tradusse concretamente in discriminazione dei diritti civili e politici degli abitanti della Penisola.
Il Manifesto della razza affermava che le razze umane avessero una realtà scientifica e che le differenze tra i popoli si basassero proprio su queste differenze “razziali”.
La popolazione italiana era quindi, secondo questo ragionamento, "ariana" (e aveva "una civiltà ariana") poiché aveva la stessa composizione razziale di mille anni prima.
Quanto agli ebrei, essi non appartenevano alla “razza italiana”.
Qualunque sia la fondatezza di altre interpretazioni storiche, questo antisemitismo, che coinvolse cittadini fino ad allora considerati italiani era dovuto, secondo Banti, al legame simbolico che univa "sangue" e "suolo", popolazione e territorio.
Già nella legge del 1912 si può riscontrare, a proposito di ius sanguinis e ius soli, la preminenza del criterio genealogico rispetto a quello territoriale.
Ma la svolta è evidente dopo il 1938, quando si accresce il controllo sulle unioni (base della riproduzione della comunità etnica) tra persone di “razze” diverse.
Così agli uomini e alle donne italiane viene fatto divieto di sposare persone di altra "razza", "semita" o "non ariana".
Il tema fu persino oggetto di propaganda nel periodico La difesa della razza, dove si chiedeva alle giovani donne italiane di diffidare degli uomini di razze diverse, presentati come pericolosi.
Infine, il rito delle commemorazioni dei defunti per la patria assumeva proporzioni ossessive, in particolare quando si compiva il macabro rito dell'esumazione dei morti per la patria.
In tutte queste occasioni le donne venivano esaltate nel loro ruolo di riproduttrici della comunità nazionale ed educatrici dei futuri cittadini, e sollecitate all'accettazione del sacrificio che l'eventuale morte dei loro mariti o figli presupponeva.
Nell'epilogo Banti conclude che, se le parole "nazione" e "patria" sembravano scomparse dal vocabolario politico dopo il trauma della seconda guerra mondiale, i vecchi riflessi della concezione "razziale" e biologica della nazione sembrano ancora oggi pericolosamente vivi, anche tra coloro che, in buona fede, vorrebbero combatterli.
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