La coscienza, spesso descritta come una casualità evolutiva o un incidente di percorso, sembra ben più che la semplice "consapevolezza di esistere".

tratto da “La vendetta di Zarathustra” di Hakim Bey.


Voglio sostenere, basandomi sull’archeologia, l’antropologia, la storia dell’arte e delle religioni, che le società più “arretrate” posseggono una forma qualitativamente diversa di coscienza, meno alienata di quella postindustriale della società capitalista e della sua cultura monolitica basata sul feticismo dell’agiatezza.

Si può ipotizzare che il primo grande passo verso l’alienazione sia stata la domesticazione delle piante e degli animali in epoca neolitica tra gli altopiani delle odierne Iran, Turchia e Iraq. 
Quella che probabilmente nacque come lo svilupparsi di una relazione amorosa con certe piante e animali, al punto che gli umani preferirono vivere con loro tutto il tempo piuttosto che cacciare o raccogliere risorse, comportò complicazioni impreviste per la salute e la coscienza, dato che il benessere fisico e la coscienza sono strettamente connessi o cocreativi.
Non più simili ai vegetali e agli animali rispetto all’animismo del paleolitico, gli esseri umani divennero loro “superiori”  nel paganesimo del neolitico, e successivamente questa superiorità costituì una scissione o alienazione dalla natura. 

Bisogna sottolineare però che l’addomesticamento non diede origine, o condusse inevitabilmente, alla nascita della civiltà e dello stato. 
Il contadino proto-vassallo viveva una vita comunitaria tutto sommato egualitaria. 
Il tempio era il centro della ridistribuzione e del benessere, non del debito e del peccato. 

Una volta che lo stadio neolitico iniziale dell’allevamento e della coltivazione basilari venne sostituito dall’agricoltura, il tempo libero e l’abbondanza del paleolitico (interrotti occasionalmente da periodi di intenso sforzo e digiuno occasionale) vennero rimpiazzati da un’economia più regolare e sicura, basata sul surplus e su quello che potremmo già chiamare lavoro.
Il primo generava ansia (qualcuno poteva appropriarsi del surplus della ricchezza comune), il secondo creava monotonia (cacciatori e raccoglitori non eseguivano mai solo una mansione). 
La preoccupazione e la noia erodevano così la vecchia coscienza, con risultati riscontrabili nell’arte neolitica, molto meno libera di quella paleolitica. 
Ma l’agricoltore libero viveva comunque una vita colta e sacra rispetto agli schiavi, la classe lavoratrice (fellahin) che si formò con l’improvvisa nascita dello stato circa 6000 anni fa. 
Per un milione di anni gli umani si erano evoluti conducendo una vita non autoritaria basata sulla mutua collaborazione e ora, in un lampo, la società si riorganizzava per il beneficio esclusivo di una classe governante formata da re, guerrieri e sacerdoti. 
Il Tempio era diventato la Banca Centrale, il centro di comando del peonaggio e della repressione. 
Tutte le civiltà hanno avuto inizio in un’orgia di sacrifici umani; in seguito l’impulso omicida venne considerato economicamente controproducente e fu sostituito dal tributo di guerra, dalla schiavitù, dal debito e dall’ideologia religiosa che giustificava la sofferenza.
Per gli umani, creati per servire gli dèi e i loro rappresentanti, ribellarsi era divenuto "peccato"!
Da allora gli apologi del potere – teologi, filosofi, scienziati – ci spiegano che il progresso consiste in maggior ricchezza e bellezza per la classe dominante, e duro lavoro e bruttezza per la gente comune. 

È chiaro che la nascita della civiltà segna il momento di crisi della coscienza, che ora deve diventare "cattiva" o “falsa” per mantenere l’illusione che questo stato d’essere innaturale è in qualche modo divinamente (o scientificamente) predeterminato perché evoluzionario
In precedenza, nel paleolitico, secondo gli intellettuali sarebbero esistite solo povertà e guerra universali, in seguito sarebbero invece arrivate la "straordinaria" rivoluzione agricola, le "glorie" della civiltà classica e infine la "perfezione" del tecnocapitalismo trionfante. 
Ovviamente, tutti sanno nel profondo del cuore che le cose non stanno così. 
Non solo la civiltà ha creato ingiustizia e lavori monotoni per noi mentre ha garantito libertà e cultura per le élite, ma è ora evidente che la civiltà distruggerà l’ambiente, cioè la natura, per stupidità e avidità. 
La dissonanza cognitiva tra le grandiose rivendicazioni della civiltà e l’effettivo banale immiserimento della vasta maggioranza degli umani spinge o alla ribellione, talvolta preda di una rabbia incontrollata, o alla muta disperazione e al feticismo consumista. 
La religione non offre più una valida scusa per una tale coscienza schizoculturale; il risultato è il futuro che abitiamo oggi: senza dio, artificiale, orrendo e apparentemente terminale. 

Tutto ciò non è avvenuto però nell’arco di una notte, sono serviti migliaia di anni alla nuova economia per diffondersi e infettare il mondo intero; persino oggi in pochi angoli remoti del globo persistono tracce di forme precedenti di consapevolezza tra le comunità tribali e rurali. 
Inoltre, nel corso dei secoli alcuni umani si sono sempre ribellati alla civiltà; è sempre esistito un movimento underground, sotto la superficie dell’oppressione e dell’ideologia, dedito al rifiuto e alla resistenza. 
E ovviamente si è dimostrato impossibile sradicare i mistici e i poeti che in alcuni casi vedevano oltre la coltre di miraggi, apprendendo le vestigia di antiche verità; ad esempio il fatto che, in apparenza, solo gli umani sembrano autocoscienti, ma si potrebbe ben sospettare che lo siano anche scimmie, cani e persino corvi. 

Cerchiamo a questo punto di delineare una storia della nostra coscienza; possiamo ripercorrerla per tappe.

Autocoscienza tragica 

Diventiamo consapevoli di noi stessi in quanto esseri separati tragicamente e cronicamente dalla “natura originale”.
Inventiamo la spiritualità, l’arte e la “sessualità” come mezzi per riunificarci con il mondo perduto degli animali (animismo)
Questo è lo stadio: 
1) del dono, la reciprocità arcaica; 
2) dello sciamanismo, misticismo senza religione; 
3) della cultura, ancora priva della radicale separazione della civiltà tra classi superiori e inferiori. 

Autocoscienza acuta 

Giunti al neolitico, la coscienza vive una crisi in quanto veicolo che segna un profondo divorzio dalla natura selvaggia.
La spiritualità della reintegrazione ora viene sospinta dall’angoscia e dalla violenza tramite il sacrificio, l’animismo è sostituito dal paganesimo
L’animismo considerava tutto sacro, mentre il paganesimo proietta la sacralità su dèi concepiti come Altro dal mondo
Tra le due attitudini non c’è una separazione netta, ma uno spettro; con il paganesimo gli dèi possono irrompere nell’esistenza quotidiana. 

Coscienza civilizzata 

Gli dèi non si manifestano più nella nostra consapevolezza, ma possono essere raggiunti solo indirettamente attraverso la mediazione sacerdotale. 
Ci si sente condannati, peccaminosi, condannati al lavoro da una maledizione biblica: il corpo è sovrascritto dall’alienazione (è un nemico); ma il mondo non è ancora percepito come materia inerte. 
Un’arte veramente elevata e grande ispira una gioia estetica affine all’animismo primordiale, persino il proletariato crea e colleziona ancora questo genere d’arte.
Inoltre, lo stato primitivo è ancora inefficiente nei suoi meccanismi di controllo. 
La scrittura può costituire la "magia" dello stato ma può anche essere sovvertita in un mezzo di resistenza. 
Ci sono ancora zone non mappate della terra in cui si può scappare per sfuggire ai padroni, le utopie dei pirati. 
Certi tipi di misticismo e magia giacciono ancora al di fuori della realtà dominante dell’oppressione e della noia. 

Razionalismo 

La graduale apoteosi della civilizzazione e l’emergere di ciò che oggi riconosciamo essere il capitalismo portò a un illuminismo cartesiano che per la prima volta rovesciò la dottrina della terra vivente (mantenuta dall’ermetismo tradizionale a partire dall’antichità), rimpiazzandola con il dogma della materia inerte e del cogito isolato.
L’influenza della tecnologia e dell’economia può aver aiutato a dare origine a questa visione del mondo, ma la stessa diede vita a una nuova disastrosa forma di coscienza, in cui il si convinse di essere razionale
In pratica questo è il momento della morte di Dio, anche se la tremenda novella non venne recepita a fondo se non dopo un paio di secoli. 
La nuova coscienza rigetta o ignora qualsiasi irruzione divina nella propria vita e impone la «crudele strumentalità della ragione» sul mondo ridotto a oggetto, piuttosto che co-soggetto
La fisica newtoniana con il suo universo meccanico viene rispecchiata nelle idee economiche come l’utilitarismo, dove gli ideali di efficienza e profitto cancellano le sfere dell’emozione estetica e della realizzazione di un’unità con la natura.
Possiamo considerare l’enclosure sia come la perfetta metafora sia come l’implementazione più razionale di queste idee: lo spirito venne emarginato assieme alla terra. 
I poveri, che verranno presto dichiarati inadatti, erano già considerati immeritevoli; ciò che d'ora in poi conterà sarà solo il... contabile
I pretesi ideali positivi del razionalismo (come la democrazia rappresentativa) vennero di colpo tramutati, con il capitalismo industriale, in vere maledizioni.

L’autocoscienza borghese 

Arriviamo ora a quella che potrebbe essere definita la mentalità moderna.
L’educazione è diventata un processo di acculturamento ai dogmi del razionalismo e dell’utilitarismo, il risultato è un Sé sovra-educato, non l’uomo rinascimentale ma lo specialista dissociato
È richiesta una repressione sessuale su scala praticamente industriale per creare la disciplina necessaria a sopravvivere e persino prosperare sotto il capitalismo.
Ma il risultato si manifesta come un livello patologico di autocoscienza acuta.
I pensieri del XIX secolo si aggrappano alla religione come un pennone spezzato che galleggia dopo un naufragio, ma dove la religione cominciava a fallire, la mente borghese emergeva trionfante.
Il darwinismo sociale perverti' l’idea dell’evoluzione atea in una scusa per la repressione eugenetica della classe operaia e delle altre razze. 
Un materialismo volgare eresse difese rigide e isteriche contro l’irrazionale e il sensuale.
La coscienza malata della borghesia si preoccupava solo del Sé, gestendolo come fosse un portafoglio di investimenti ma temendolo come un Mr. Hyde. 
In guisa di un motore a vapore, derivava la propria energia dall’autosoppressione. 
La ricchezza non era più un segno d’elezione divina ma di perfezione evolutiva: è moralmente giusto essere segretamente infelici; è il prezzo da pagare per essere civilizzato e avanzato, come un vero gentiluomo o madame vittoriane. 
Nel frattempo gli “altri” che non hanno raggiunto questo stadio avanzato, i poveri, i “nativi” e “selvaggi” che vivono alle estremità oscure dell’impero, rappresentano l’inconscio
Le minoranze devono essere oppresse così come l’inconscio deve essere soppresso e negato. 
Loro sono rimasti tutt’uno con la natura, e ciò li rende superflui e spregevoli. 
L’unico Sé che ha valore è il Sé borghese.

I poveri, sebbene oppressi, appaiono in realtà meno repressi dei loro padroni; dunque diventano “puerili”, un termine offensivo nelle bocche dei legislatori ma, per la resistenza, forse una verità romantica: i poveri hanno i loro piaceri, il sesso, le droghe, le feste sfrenate e il caos.
Potrebbero persino possedere una consapevolezza mistica perduta dalla più nobile controparte civilizzata. 
I nativi con le loro danze degli spiriti "senza speranza", i contadini con le loro "stupide" ribellioni agrarie, sono davvero in qualche modo più in contatto con la “divina natura” di quanto lo sia la borghesia? 
Io dico di sì!

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