Le comunità locali si propongono come protagoniste del proprio territorio e come dirette responsabili della sua tutela.
tratto da "Centri storici e turismo sostenibile nel bacino del Mediterraneo"; di Fabio Pollice.
https://riviste.fupress.net/index.php/bsgi/article/view/88
Il turismo nella regione mediterranea, anche a fronte di un’estrema diversificazione del quadro attrattivo, è un fenomeno prevalentemente costiero; gli altri fattori di attrazione presentano perlopiù un ruolo accessorio che svolge la funzione di caratterizzare e/o differenziare l’offerta turistica, assumendo solo raramente un ruolo trainante per lo sviluppo turistico del relativo contesto territoriale.
Il turismo tende infatti a svilupparsi in maniera autonoma, senza intessere relazioni di interdipendenza e di reciprocità con le altre componenti dello spazio territoriale; ne sono un esempio abbastanza eloquente i villaggi turistici che offrono al loro interno tutti i servizi di cui il turista necessita, isolandolo dal contesto territoriale che diviene tuttalpiù oggetto di escursioni, tanto episodiche quanto superficiali.
Le ricadute sono modeste e il territorio subisce un processo di progressiva deterritorializzazione che, oltre a privarlo della propria matrice identitaria, tende a comprometterne le potenzialità di sviluppo.
Più il contesto territoriale è arretrato e incapace di promuovere un processo di sviluppo turistico endogeno ed autocentrato, più il turismo tende ad acquisire una dimensione marcatamente esogena e le logiche speculative degli investitori – attori prevalentemente esterni al contesto territoriale – prevalgono sugli interessi della comunità locale che viene progressivamente privata dell’accesso alle proprie risorse territoriali o, addirittura, delle risorse stesse.
Così, quello che viene a configurarsi in alcune aree è uno sviluppo dualistico con una fascia costiera colonizzata da un turismo di matrice esogena – tanto nella domanda quanto nell’offerta – e densamente infrastrutturata, che in sé riflette i caratteri propri della cultura “colonizzatrice” e un retroterra che al contrario presenta spesso condizioni di marginalità economica e sociale.
In realtà quello che interessa la fascia costiera è uno sviluppo piuttosto effimero, sia perché si presenta più nella forma (strutture e infrastrutture turistiche) che nella sostanza (più elevati livelli del reddito pro capite), sia perché spesso comporta una compromissione irreversibile degli ecosistemi costieri e delle qualità paesaggistiche del luogo, andando così a depauperare quello stesso patrimonio attrattivo che ne è alla base.
Peraltro, costituendo il paesaggio uno dei principali fattori attrattivi, le aree in cui più intenso è stato lo sviluppo turistico sono proprio quelle caratterizzate da elevati valori paesaggistici e sono, di conseguenza, quelle ad aver subito i maggiori danni ambientali.
Inoltre, a fronte delle maggiori opportunità occupazionali offerte dalle aree costiere, la popolazione locale si è progressivamente spostata dagli insediamenti interni a quelli litoranei, con il risultato che mentre i primi sono andati spopolandosi, la pressione antropica sulla costa è andata costantemente aumentando, contribuendo anch’essa alla compromissione dei valori paesaggistici ed ambientali.
Bisogna infatti considerare che la popolazione locale, nel tentativo di emulare gli investitori esterni, ne ha non di rado replicato – talvolta anche in maniera inconsapevole – le logiche di infrastrutturazione turistica, puntando, attraverso un’offerta tendenzialmente standardizzata e spesso qualitativamente mediocre, ad un turismo di massa.
La carenza di risorse finanziarie, unitamente all’inadeguatezza delle competenze manageriali, ha fatto sì che il comportamento emulativo posto in essere dall’imprenditoria locale si sia spesso tradotto in un’ulteriore e talvolta più pervasiva compromissione del paesaggio costiero, con risultati economici peraltro assai più modesti, che in non pochi casi sono andati peggiorando nel tempo in conseguenza della predetta dequalificazione dei fattori attrattivi (paesaggio, qualità delle acque costiere, qualità dei servizi, etc.).
Naturalmente vi sono aree o destinazioni turistiche che hanno sviluppato una configurazione attrattiva profondamente diversa, incentrata sulla valorizzazione delle qualità paesaggistiche e legata alla matrice identitaria del luogo, ma si tratta di casi isolati il cui successo, per assurdo che possa apparire, è stato determinato proprio dalla loro alterità rispetto alle destinazioni del turismo di massa.
Queste destinazioni hanno infatti cominciato ad attrarre un segmento transnazionale del mercato turistico e si è innescato un processo virtuoso in cui una domanda qualificata e attenta alle specificità del luogo ha stimolato un’offerta di qualità che, a sua volta, ha contribuito ad accrescere l’attrattività della destinazione nei confronti di questo specifico target di mercato, differenziando ulteriormente la proposta attrattiva e sottraendola alla competizione delle destinazioni orientate ad un turismo di massa.
Anche questo tipo di configurazione turistica può talvolta celare logiche di sviluppo non propriamente sostenibili.
Bisogna infatti considerare che la matrice di questi processi di valorizzazione turistica del territorio presenta spesso un carattere marcatamente esogeno, con effetti non secondari sul piano delle ricadute economiche che il turismo è in grado di generare e sul livello di controllo che la comunità locale è in grado di esercitare sulle traiettorie di sviluppo del proprio territorio.
Inoltre, l’esigenza di accrescere l’attrattività del territorio nei confronti della domanda internazionale, porta l’imprenditoria turistica – e, non di rado, le stesse istituzioni locali – a porre in essere interventi che alterano l’autenticità dei luoghi.
I modelli di riferimento sono essenzialmente tre:
1) la mistificazione del luogo, dove per tale deve intendersi il processo attraverso il quale viene ricreata una configurazione attrattiva che non trova riscontri, se non episodici e superficiali, nei vissuti e nei valori della comunità locale o attinge al suo passato, riportandolo artificialmente in vita, affinché il territorio possa riflettere quell’immagine stereotipata che di esso ha la domanda internazionale;
2) la disneyficazione del luogo che corrisponde invece a quel processo attraverso il quale il territorio viene ridotto ad icona di se stesso, una rappresentazione a beneficio dei turisti che coinvolge direttamente o indirettamente tutta la comunità locale o quella parte di essa più direttamente coinvolta nella soddisfazione dei bisogni della domanda turistica, mentre si opera una sistematica “commodificazione” dei diversi elementi di cui si compone il patrimonio attrattivo e del territorio nel suo complesso, diversamente dalla mistificazione, qui il territorio viene banalizzato e i riferimenti identitari utilizzati per la costruzione di una sorta di “parco tematico”;
3) la museificazione del luogo che è infine quel processo attraverso il quale gli operatori turistici – pubblici e privati tendono ad irretire qualsiasi processo di trasformazione territoriale porti ad un’alterazione del quadro attrattivo e a modificare quell’assetto territoriale a cui è legata l’immagine che la domanda turistica si è costruita di quel luogo.
Nell’area mediterranea gli esempi di destinazioni turistiche che riflettono i processi appena delineati sono assai numerosi e possono incontrarsi tanto lungo tutto l’arco costiero del Mediterraneo.
L'elemento che li accomuna è senza dubbio la matrice prevalentemente eterodiretta dello sviluppo turistico e l’apporto marginale delle comunità locali sia in termini economici, sia in termini culturali, visto che anche laddove l’attrattività turistica sembra legata alla valorizzazione della cultura locale, alla comunità viene spesso assegnato il ruolo di mero “figurante”.
Non può dunque stupire che lo sviluppo turistico delle regioni costiere del Mediterraneo non abbia inizialmente interessato gli insediamenti preesistenti, andando in prevalenza a concentrarsi a ridosso della costa e al di fuori degli aggregati urbani, sebbene e non di rado in contiguità con essi.
Le cause vanno individuate, da un lato, nell’esigenza di disporre di aree costiere libere e sufficientemente ampie da consentire la realizzazione di strutture ricettive di dimensioni tali da garantire agli investitori internazionali adeguati livelli di redditività, e, dall’altro, invece, nell’esigenza di sfruttare il potenziale attrattivo del preesistente tessuto insediativo, non di rado caratterizzato da notevoli valori storici e monumentali, o anche soltanto per l’opportunità di attingere alla sua offerta di servizi e manodopera.
Così molti centri costieri e la quasi totalità di quelli interni non sono stati interessati, se non marginalmente, dallo sviluppo turistico che si è registrato nel proprio intorno geografico.
Del resto per i grandi tour operator - attraverso i quali nell’area mediterranea, e particolarmente nei paesi della sponda meridionale, transita larga parte della domanda internazionale – sarebbe stato e sarebbe tuttora difficile ed economicamente non profittevole acquisire e ristrutturare il patrimonio edilizio preesistente per farne strutture ricettive e pararicettive atte ad accogliere la domanda turistica e a soddisfarne le esigenze.
Negli ultimi decenni la domanda turistica mondiale è andata costantemente aumentando, ma è anche profondamente mutata nelle sue componenti motivazionali e comportamentali.
Ad aumentare, sia in risposta ad un’offerta turistica eccessivamente standardizzata e qualitativamente insoddisfacente, sia per effetto di una crescente sensibilità culturale, è stata la domanda di turismo “esperienziale” e “relazionale”: un turismo incentrato sull’esperienza dei luoghi nella loro autenticità e capace di porre il turista nelle condizioni di costruire un rapporto più profondo e diretto con la comunità locale; condizione ineludibile per esperire il territorio nella sua dimensione relazionale.
Una domanda turistica così caratterizzata non può trovare soddisfazione in un’offerta che tende ad isolare il turista dal contesto territoriale (vacanze in villaggi turistici, viaggi organizzati e soluzioni a queste affini) e a proporre, in ossequio a logiche meramente economiche, servizi standardizzati in contesti che vivono spesso problemi di dequalificazione ambientale, dovuti all’eccessivo carico antropico derivante proprio dal turismo di massa.
Questo tipo di domanda è infatti alla ricerca di destinazioni “alternative”, caratterizzate da un rapporto più equilibrato tra residenti e turisti, dove è possibile vivere l’alterità del luogo nella sua autenticità, senza l’intermediazione di quella sovrastruttura turistica – tipica dei sistemi d’offerta a trazione esogena – che tende a corrompere i valori attrattivi attraverso le succitate tendenze alla mistificazione, disneyficazione e museificazione del contesto locale.
L’attenzione di questo particolare segmento della domanda turistica, che è andato peraltro assumendo una dimensione sempre più transnazionale, non è rivolta soltanto a destinazioni alternative, poste solitamente al di fuori dei circuiti del turismo di massa, ma anche a soluzioni ricettive alternative che riflettano in termini architettonici e relazionali la specificità del luogo; alternative, anche in questo caso, a quelle che sono le strutture di cui solitamente si compone l’offerta turistica massificata (villaggi turistici, grandi strutture alberghiere, campeggi, etc.).
La collocazione di queste strutture all’interno di un contesto territoriale, sia esso urbano o rurale, che mantiene i propri elementi di specificità – , unitamente alla natura endogena delle iniziative imprenditoriali che sono ad esse sottese, fa sì che le stesse possano proporsi come dei nodi di connessione tra la cultura locale e quella ospite; accessi privilegiati a quella dimensione relazionale del territorio che il turista si propone di esperire.
In estrema sintesi la rifunzionalizzazione turistica dei centri storici, quando operata dalla comunità locale e incentrata sulla valorizzazione sostenibile del patrimonio culturale, consente di promuovere un turismo che presenta le seguenti caratteristiche:
– relazionale: la condivisione del medesimo spazio relazionale favorisce l’interazione tra turista e territorio e consente al primo di acquisire una consapevolezza diretta e non mediata dei valori culturali del luogo;
– esperienziale: larga parte del patrimonio culturale immateriale è fruibile solo attraverso la comunità locale che ne è portatrice, l’interazione con la comunità locale consente di conseguenza al turista di esperire il territorio nella sua dimensione immateriale;
– sostenibile: la sostenibilità di questa forma di turismo risiede sia nell’utilizzazione del patrimonio edilizio esistente che riduce il consumo di suolo e l’impatto sul paesaggio derivante dalla costruzione di nuove strutture e infrastrutture turistiche (sostenibilità ambientale), sia nella migliore redistribuzione sociale delle ricadute economiche derivanti dal turismo (sostenibilità sociale), sia ancora nel rispetto dei valori identitari del territorio e nel coinvolgimento della comunità locale (sostenibilità culturale), sia infine nella maggiore flessibilità del sistema locale d’offerta e nella maggiore rispondenza alle dinamiche evolutive della domanda (sostenibilità economica).
Naturalmente affinché lo sviluppo turistico dei centri storici possa assumere questa configurazione virtuosa è assolutamente necessario che lo sviluppo stesso venga a configurarsi come un processo endogeno ed autocentrato.
Di qui l’esigenza di promuovere a livello mediterraneo uno scambio di buone prassi in modo da favorire la riqualificazione dei centri storici e un più attivo coinvolgimento delle comunità locali nei processi di rigenerazione e sviluppo turistico.
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