L’ideologia coloniale ha giustificato lo sfruttamento delle colonie e legittimato la schiavitù, dando vita all’elaborazione della dottrina razziale.
tratto da “Sulla nostra pelle: razzismo ambientale e disuguaglianze di salute"; di Fabio Perocco, Francesca Rosignoli.
Parallelamente alla nascita e allo sviluppo del colonialismo e del capitalismo, il razzismo ambientale attraversa la storia della società moderna, specialmente la storia di quei paesi che hanno vissuto la colonizzazione europea – in particolare il settler colonialism (colonialismo dei coloni).
La longevità del razzismo ambientale si deve alle premesse coloniali e imperialiste dello sviluppo capitalistico, alle caratteristiche razziste e sessiste dello sviluppo moderno, le quali, nel generare processi economico-sociali e politiche statali all’insegna della disparità sociale e razziale, hanno determinato disuguaglianze razziali nella condizione lavorativa, abitativa, residenziale, e quindi nella salubrità dei luoghi di vita e nella salute ambientale.
Queste premesse sono alla base delle disparità sociali, urbanistiche, territoriali, ambientali, che sono giunte – lungo la continuità dei processi storici, in particolare lungo la persistenza delle pratiche delle amministrazioni statali - fino ad oggi - e che si ripercuotono in maniera differenziata sulle condizioni di salute e malattia della popolazione generale.
Perciò, nel criticare, ad esempio, una situazione di inquinamento da rifiuti tossici in una data località, è necessario guardare anche alla causa profonda (il razzismo strutturale, il racial capitalism) oltre alla causa immediata (la politica ambientale dell’amministrazione locale di quella data località).
Negli Usa, ad esempio, la continuità storica del razzismo ambientale è legata ai caratteri originari, fondativi, del paese.
Il fattore razza e la disparità razziale penetrano le radici della società e dello stato statunitense.
Il razzismo, elemento costitutivo delle strutture sociali e istituzionali del paese, permea i processi economici e produttivi, le politiche statali e i processi normativi, e di conseguenza pervade l’assetto urbanistico, la configurazione dell’ambiente, l’organizzazione del territorio, la salute ambientale.
Riversatasi nel mercato del lavoro, nell’organizzazione del lavoro, nelle condizioni degli ambienti lavorativi, nelle dinamiche urbanistiche, territoriali e spaziali, la natura razziale dello stato e della società statunitense costituisce la causa profonda delle specifiche disuguaglianze ambientali che si trovano in questa o quella località, delle specifiche disuguaglianze razziali di salute riscontrabili in una data area, delle disuguaglianze di salute ambientale presenti qua e là nel paese.
La costituzione storica di una linea di demarcazione razziale nel sistema dei rapporti sociali è la radice profonda di dinamiche concernenti il mercato del lavoro, la geografia abitativa, la vita quotidiana, le politiche statali, le politiche abitative, urbanistiche, territoriali, ambientali, che spesso vengono criticate e considerate come ingiuste.
Allo stesso tempo questa linea di demarcazione razziale è la radice profonda di disuguaglianze ambientali, di salute, di salute ambientale, che altrettanto spesso risultano persistenti, ampie e profonde.
L’istituzionalizzazione della disuguaglianza e della segregazione razziale – confluite nelle dinamiche di mercato (del lavoro, della casa, della salute, etc.), nella pianificazione urbana, territoriale, industriale – ha fatto sì che l’ambiente stesso abbia vissuto un processo di razzializzazione.
L’ambiente razzializzato (racialized environment) ha avuto conseguenze negative sulla condizione generale delle popolazioni non bianche, dai redditi ai percorsi scolastici, dall’alloggio alla salute.
Tale processo di razzializzazione dell’ambiente e del territorio non è un fenomeno limitato ai contesti urbani, anzi: storicamente è iniziato e si è sviluppato negli ambienti rurali – caratterizzati dall’economia schiavista e dall’economia di piantagione, specialmente negli stati del Sud – dove si è radicato nelle strutture profonde della società locale nella forma di agro-environmental racism.
Ora, dato questo radicamento strutturale del razzismo nella società statunitense, non è un caso che, in occasione delle proteste e delle rivolte seguite al vile assassinio di G. Floyd o alla disparità razziale nella mortalità da Covid-19 registratasi negli Usa, il movimento Black Lives Matter abbia affermato che il razzismo è tossico (toxic racism), che rappresenta un problema di salute pubblica e che è un esempio di crisi della salute pubblica.
In molti paesi dell’America Centrale e Meridionale la devastazione ambientale prodotta dall’intenso estrattivismo agroindustriale e minerario ha avuto un carattere schiettamente razzista, tanto che in queste terre – dissanguate da cinque secoli di rapina coloniale – ecocidio ed etnocidio sono termini che sono pronunciati di frequente e insieme.
In Ecuador, per esempio, il razzismo si esprime sia nell’espropriazione o nell’accumulazione attraverso l’espropriazione del territorio ancestrale – che comprende l’espulsione forzata e la violenza – sia nella devastazione ambientale, che si ripercuote sulla salute e sui mezzi di sussistenza.
La compromissione delle condizioni di vita e di salute determina la scomparsa più o meno lenta delle popolazioni indigene.
Ne sa qualcosa il popolo Guaraní, che sulla propria pelle oggi vive, in forme nuove, la tragica esperienza del binomio razzismo ambientale-estrattivismo; esperienza vissuta nel passato nel contesto del colonialismo mercantile e delle sue encomiendas, oggi vissuta nel contesto del neocolonialismo finanziario e termonucleare.
Anche nel caso dei paesi dell’America Centrale e Meridionale il razzismo ambientale ha le proprie radici nella struttura sociale, nel sistema dei rapporti sociali dei paesi interessati, radici che affondano nel dominio coloniale.
In questi paesi il colonialismo storico ha prodotto e lasciato in eredità società iper-polarizzate (con una massa di contadini poveri da un lato e un gruppo di proprietari fondiari latifondisti che detengono il potere politico dall’altro lato) e iper-militarizzate (con lo stato impegnato prevalentemente nel controllo e nella repressione delle classi popolari per il mantenimento dell’ordine costituito).
Un caso emblematico è quello del Brasile.
Nonostante un’immagine di paese multiculturale in cui domina l’armonia tra bianchi, neri e marroni, il passato coloniale, schiavistico e razzista del Brasile è più vivo che mai ed è ancora molto radicato nella struttura sociale e nella vita quotidiana.
Negli ultimi tre decenni il Brasile è cresciuto economicamente, il suo Pil è cresciuto e il paese è entrato nei circuiti del mercato mondiale; allo stesso tempo le disuguaglianze interne sono aumentate aspramente, così che oggi il Brasile si presenta come un paese più ricco (a livello di Pil globale, di produzione industriale, di export) ma più disuguale.
La crescita economica ha prodotto nel medio periodo un leggero miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni di colore, tuttavia persistono profonde disuguaglianze razziali che toccano le popolazioni indigene, i discendenti degli africani e gli immigrati, e che riguardano tutte le sfere della vita sociale, dall’accesso al mercato del lavoro alle occupazioni, dal tasso di disoccupazione ai redditi, dalla condizione di salute alla condizione abitativa.
La profonda disuguaglianza razziale presente in questo paese ha determinato tra le popolazioni di colore condizioni di vita e di lavoro durissime, grandi difficoltà nell’accesso al sistema sanitario e nella tutela della salute, che, con l’arrivo della pandemia, si è riflessa sulla esposizione, infezione e trasmissività del virus nonché sulla mortalità da Covid-19.
Dunque, dietro alla persistenza e alla diffusione dell’ingiustizia ambientale c’è l’eredità vivente del razzismo.
Fattore strutturale, sistemico ed endemico della società moderna, elemento costitutivo e organico del capitalismo, il razzismo rimanda ad un rapporto materiale di sfruttamento tra razze, classi, generi e nazioni, rimanda ad un rapporto sociale di dominazione che comprende una dimensione ideologica che naturalizza, giustifica e legittima lo sfruttamento.
Il razzismo è la disuguaglianza, il razzismo è disuguaglianza.
Il razzismo inferiorizza idealmente chi è già in una condizione materiale di inferiorità e sfruttamento.
La bestializzazione fisica, psichica e morale dello schiavo nero, la disumanizzazione del colonizzato, la dichiarazione di inferiorità naturale dei popoli non bianchi, ha conservato e riprodotto il rapporto sociale di dominazione dell’Europa colonialista sui popoli colonizzati.
Il colonialismo ha costituito pertanto il fondamento storico e materiale del razzismo: se l’Europa è stata la culla del razzismo, il razzismo è il figlio primogenito del colonialismo.
La stessa dottrina razziale è sorta come ideologia dell’inferiorizzazione dei neri e degli indios, in particolare come ideologia della schiavitù dei neri nelle piantagioni americane, fungendo da supporto ideologico allo schiavismo e al sistema coloniale.
Radicata in rapporti materiali disuguali preesistenti ad essa, la dottrina razziale ha prodotto nel tempo un’immagine dei colonizzati, dei neri, come esseri inferiori per natura: esseri indolenti, abulici, primitivi, appena scesi dall’albero, infantili, senza voglia di lavorare, privi di ingegno, volontà, determinazione, spirito, personalità, slancio, arguzia – qualità “naturali”, invece, dell’uomo bianco, borghese, europeo.
In queste immagini e retoriche di allora, si ritrovano i leitmotiv dei discorsi che giustificano e normalizzano le varie forme di razzismo, ivi comprese l’ingiustizia ambientale e le disuguaglianze razziali di salute.
Il razzismo è l’ideologia della divisione internazionale del lavoro prodotta dal colonialismo ed emersa con il capitalismo, ideologia funzionale allo sviluppo mondiale disuguale combinato, e organica all’esistenza di paesi specializzati nel fornire materie prime e braccia a buon mercato e di paesi specializzati nell’assimilare le risorse altrui – ovvero, per dirla con le parole di Galeano: paesi specializzati nel rimetterci e paesi specializzati nel guadagnarci.
Ma il razzismo è anche l’ideologia dello sfruttamento dei proletari e delle donne, cioè della divisione sociale del lavoro.
Esso si regge sull’oppressione di classe (classismo) e di genere (sessismo), oltre che sull’oppressione di razza; e nell’essere l’ideologia della razza sociale dei neri, dei proletari, delle donne, è un’arma sia contro i popoli colonizzati sia contro la classe-che-vive-di-lavoro, contro i proletari della metropoli.
Il rifiuto della mescolanza di sangue (oggi delle culture) contiene ed esprime la volontà di produrre e mantenere questo insieme di disuguaglianze.
Pertanto, il razzismo si trova all’incrocio tra la divisione internazionale del lavoro (la divisione del mondo in nazioni dominanti e nazioni dominate) e la divisione sociale del lavoro (la divisione della società in classi sociali).
E pertanto rinvia all’essenza e allo sviluppo del capitalismo, alla posizione che vi occupa la razza sociale dei neri, dei proletari, delle donne: il razzismo nasce nel, con e per il capitalismo.
Ed è, come sottolinea Wallerstein, la formula magica che consente al capitalismo:
1) di minimizzare i costi di produzione (a partire dal costo del lavoro);
2) minimizzare i costi del disordine politico (aumentando il più possibile, attraverso le divisioni e le ostilità razziali, la stratificazione della forza lavoro).
Il razzismo comprime i costi di produzione e di riproduzione sociale, ma al contempo inietta il virus della differenziazione e dell’odio tra popoli e razze: è un’arma di oppressione di massa, ma anche un’arma di divisione di massa.
La stessa dottrina razziale – che non rimane sospesa nel mondo delle idee e senza conseguenze sulla realtà concreta è volontaristica, fa appello alla lotta contro le razze inferiori e contro le classi popolari.
Essa persegue attivamente, con la lotta politica, la lotta culturale, la lotta ideologica, la disuguaglianza tra razze, classi, generi e nazioni: chiama alla lotta, incita all’azione, sprona ad agire per tenere sotto e segregate le razze considerate inferiori; si fa politica di stato, politica razziale, mobilitazione politica, attività di partito, anche nell’ambito urbanistico, territoriale, ambientale.
Dato che riguarda la disparità sociale, le strutture della disuguaglianza e condizioni di vita ineguali, la questione razziale rimanda di fatto alla questione sociale: quella razziale è una grande questione sociale, del tempo di ieri e del tempo di oggi.
Commenti
Posta un commento