Secondo Sahlins l’economia è una «distintiva creazione umana simbolica» che ha a che fare con il processo materiale di vita delle società «per quel che sono».

tratto da "Un classico di sorprendente attualità"; di Roberto Marchionatti.
La prima parte del libro "Stone Age Economics" (L'economia dell'età della pietra; 1972) dell'antropologo Marshall Sahlins è dedicata alla descrizione del modello di produzione e distribuzione primitivo, a partire dalla critica del tradizionale concetto di economia di sussistenza, che descriveva le società primitive come il luogo dell’incessante ricerca di cibo; quello che Adam Smith, nel procedere alla fondazione dell’economia politica classica, aveva descritto come lo stadio «rozzo e primitivo» dell’umanità, lo stadio iniziale, intendendo quello finale come la società «civile» di mercato. 
Ma questo stato di "profonda arretratezza materiale" non emergeva dalle ricerche etnologiche recenti che peraltro confermavano molte testimonianze del passato riguardo uno stato di relativa abbondanza caratterizzato da: "limitata attività lavorativa, ritmi di lavoro lenti e apporto dietetico largamente adeguato in base agli standard occidentali". 

Dunque, scrive provocatoriamente Sahlins, possiamo definire la società selvaggia una società dell’abbondanza (affluent society).

Per cogliere la «struttura profonda» delle economie primitive, Sahlins introduce il concetto di «modo di produzione domestico», istituzione produttiva dominante di tali società.
Sua caratteristica è la produzione inferiore alle possibilità esistenti, dovuta al sottoutilizzo delle risorse e della forza lavoro, pur essendo la tecnologia disponibile sufficientemente produttiva da non poter essere ritenuta causa di assenza di surplus, come invece ipotizzato senza eccezioni nella visione economicista da Smith in poi. 
Il modo di produzione domestico, sostiene Sahlins, contiene un principio anti-eccedentario: «finalizzato alla produzione di mezzi di sussistenza, è contraddistinto dalla tendenza ad arrestarsi a quel punto». 
I suoi obiettivi economici sono limitati: «definiti nei termini di un sistema di vita».
In tale sistema vale la «regola di Chayanov» secondo cui quanto più grande è la capacità lavorativa relativa dell’unità domestica tanto meno i suoi membri lavorano – idea che l’economista russo Alexander Chayanov elaborò in un suo lavoro degli anni Venti studiando la tradizionale economia contadina. 

A partire da tale evidenza, Sahlins si chiede: perché la comunità primitiva arresta la produzione a un certo punto pur potendo, grazie alle potenzialità della tecnologia, ancora espanderla? 

La spiegazione di questo, che per la scienza economica appare come un paradosso, sta nel fatto che, sostiene Sahlins, le comunità primitive hanno adottato una «via zen all’opulenza»: limitando i propri bisogni materiali, l’uomo primitivo può assaporare «un’incomparabile abbondanza materiale».
L’organizzazione produttiva dei primitivi è cioè il risultato della scelta di riprodursi limitando l’accumulazione e i bisogni, creando un’entità socio-culturale capace di adattarsi all’ambiente e godere di una vita ad "alta intensità di tempo libero"

Stante la tendenza generale alla sottoproduzione, nota Sahlins, la singola unità domestica potrebbe non essere in grado di far fronte ai propri bisogni.
Questo rischio è normalmente evitato dalle regole sociali prevalenti nella comunità primitiva, attraverso il ruolo della parentela e della politica
I rapporti parentali comportano solidarietà e cooperazione, mentre la politica, quando si supera la fase della semplice solidarietà parentale, rappresenta, attraverso il particolare ruolo che il capo vi svolge, uno stimolo a produrre, ma non a fini di accumulazione: il capo, scrive Sahlins, agisce come un «parente superiore» che incarna le finalità collettive
La posizione di capo esclude la possibilità di accumulare beni per sé stesso; al contrario, impone la generosità assoluta, e per essere prodigo, il capo deve possedere beni da donare ai membri della comunità, quindi, insieme ai suoi familiari, deve produrre beni da donare per ottenere e mantenere il suo prestigio. 
Più in generale il dono, sostiene Sahlins commentando il "Saggio sul dono" di Marcel Mauss, è l’analogo primitivo del contratto sociale, è il contratto sociale primitivo

Reciprocità, attraverso lo scambio di doni (all’interno della comunità e tra comunità a fini di alleanza), e strategia zen sono dunque i pilastri del funzionamento della società primitiva. 
In effetti Sahlins, come prima di lui Mauss, riprende la grande tradizione umanistica che si sviluppa con Michel de Montaigne e poi Denis Diderot, che offriva dei selvaggi una descrizione, fondata sul ricchissimo materiale fornito dalle relazioni di viaggio, alternativa a quella della teoria degli stadi, interpretazione dell’evoluzione delle società umane che rappresentò la base ideologica dell’economia politica smithiana, sempre riproposta, in forme diverse, negli sviluppi successivi della scienza economica e che Sahlins critica radicalmente e mostra scientificamente inconsistente. 

Il consenso sulle tesi di Sahlins si è mantenuto ampio tra gli antropologi.

L’antropologa americana Elizabeth Cashdan ha sintetizzato questa opinione largamente condivisa dalla fine degli anni Ottanta, dopo un decennio di tentativi di attenuare il valore delle tesi sostenute da Sahlins, scrivendo che «resta vero che tra la maggior parte dei cacciatori-raccoglitori il lavoro per la sussistenza è intermittente, il tempo libero è abbondante e lo stato nutrizionale eccellente». 
A rafforzare la sua tesi, i lavori dell’archeologia, a partire dai rivoluzionari lavori di Lewis Binford (che di Sahlins fu compagno di studi) degli anni Sessanta, sull’origine dell’agricoltura: essi hanno mostrato, da un lato, che la transizione alle società agricole del Neolitico non è stata determinata da necessità di sopravvivenza ma è stata piuttosto determinata da complesse cause sociali e culturali e, dall’altro, che la rivoluzione neolitica ha portato a un drammatico aumento del tempo di lavoro e a un peggioramento dello stato di salute. 

Sahlins propone un approccio teorico al problema economico alternativo a quello della scienza economica, che egli definisce un approccio di economia antropologica, secondo il quale l’economia non è che "una categoria della cultura".

Allo stesso tempo si sono sviluppate linee di ricerca che, pur riconoscendo la validità dei dati di Sahlins, hanno cercato però spiegazioni alternative, essenzialmente compatibili con il modello economico formalista (li potremmo definire approcci neo-formalisti), e quindi cercando di negare l’alterità dell’approccio di Sahlins, così ancora subordinando teoricamente lo studio antropologico delle società selvagge alla scienza economica, confermandone il carattere imperialistico.
La pubblicazione di "Stone Age Economics" ha infatti determinato la pubblicazione di studi che pur riconoscendo la rilevanza del contributo etnologico dell'opera di Sahlins, allo stesso tempo hanno cercato di delimitarne la rilevanza teorica e cercato di interpretare quei fatti etnologici come risultato di un comportamento coerente con quello ipotizzato dalla teoria economica, come evolutasi negli ultimi decenni oltre il tradizionale modello neo-classico definitosi all’inizio del Novecento. 

In primo luogo ricordiamo l’ambizioso tentativo di fornire un modello economico generale di funzionamento di una società primitiva di Richard Posner, noto giurista ed economista americano, importante esponente della scuola di economia di Chicago, in un saggio originariamente pubblicato nel 1980. 
Posner sostiene che le istituzioni delle società primitive possono essere comprese come "adattamenti degli individui a una situazione di incertezza ed elevati costi informativi". 
Tali costi sarebbero particolarmente elevati nelle società in questione a causa della supposta loro arretratezza scientifica e tecnologica
Il quadro che Posner offre è quindi quello di una società dove l’uomo primitivo è a tutti gli effetti un homo oeconomicus, nel senso che si dimostra capace di comportamento razionale ottimizzante e le istituzioni sociali trovano la loro ragion d’essere negli alti costi di transazione e di informazione in condizioni di elevata incertezza. 
Questi alti costi sono il risultato di carenze conoscitive che rendono limitate le possibilità di sfruttamento delle risorse –quindi le risorse appaiono oggettivamente scarse. 
Le carenze conoscitive sono a loro volta considerate il risultato degli scarsi incentivi all’innovazione esistenti in tali società. 
Da ciò una società fondamentalmente statica, inesorabilmente costretta a essere quel che è a causa del circolo vizioso in cui si avvita, a partire dall’assenza di incentivi al cambiamento. 
Il benessere è limitato, la società è povera. 
Così Posner, mentre cerca di inglobare in un modello economico molte caratteristiche delle società primitive emerse nelle ricerche etnologiche, rivaluta il giudizio smithiano delle società selvagge come stadio rozzo e primitivo. 
Posner sostiene che i popoli primitivi sono rozzi e vivono in condizioni di scarsità di risorse perché hanno una "limitata conoscenza della natura e hanno tecnologie inadeguate". 
Ma queste assunzioni non sono confermate dalle ricerche sul campo che sottolineano invece le "grandi conoscenze dei primitivi circa l’ambiente in cui vivono e l’adeguatezza delle tecniche disponibili ai loro fini"

La seconda importante linea di ricerca che ha cercato di rivalutare l’interpretazione economica rispettando al contempo le evidenze etnologiche nasce dal tentativo, che origina anch’esso alla fine degli anni Settanta del Novecento, condotto da Jack Hirshleifer, anch’egli economista neo-classico della scuola di Chicago.
I fenomeni sociali sono esaminati come prodotti delle azioni individuali, cercando di cogliere le caratteristiche essenziali di un problema di adattamento
L’analisi della selezione delle risorse naturali si basa sulla teoria dell’optimal foraging (che possiamo tradurre come ‘procacciamento ottimale’), un insieme di modelli originariamente formulati in sociobiologia per predire come un animale si comporta quando è alla ricerca di cibo. 
Tali modelli sono stati utilizzati per esaminare le decisioni sulla selezione delle risorse e l’uso della terra da parte dei cacciatori-raccoglitori. 
Essi assumono che i cacciatori-raccoglitori sono competenti e abili e si comportano come agenti massimizzanti sotto determinati vincoli, la loro selezione delle risorse essendo influenzata da fattori come il valore, la densità e la prevedibilità delle risorse, e dalla loro distribuzione spaziale. 
Nel modello i cacciatori-raccoglitori appaiono come agenti razionali (come gli agenti della teoria economica neo-classica) che perseguono l’efficienza nel sostentamento: il comportamento efficiente è spiegato come una "combinazione di comportamento razionale economico e selezione neo-darwiniana (potremmo definire questo approccio come neo-formalista). 
Riflettendo su tale contributo possiamo certamente sostenere che il modello conferma che nella gestione delle risorse naturali le società primitive operano in modo efficiente. 
Ma nel fare ciò tale modello assume, mutuandola dalla scienza economica, un’ipotesi di massimizzazione da parte degli individui e dei gruppi primitivi considerando quindi il selvaggio un agente razionale massimizzante che opera in un contesto di risorse scarse – che non è necessaria.
Questa assunzione manifesta in realtà la subordinazione ideologica dell’ecologia comportamentale alla scienza economica e al suo universo ideologico. 

I nostri lontani antenati sono stati in grado di godere di una vita, come è stato detto, ad alta intensità di tempo libero, libera dal vincolo della scarsità. 
Dopo la grande recessione e la profondissima crisi sociale che il mondo occidentale ha conosciuto a partire dalla fine del primo decennio degli anni Duemila, risulta sempre più chiaro che per rispondere alle questioni vitali del nostro tempo vi è urgente bisogno di una nuova economia

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