tratto da "Potere coloniale e modo di produzione estrattivista. Una riflessione sull'encomienda e sul sistema della mita, attuata nella città mineraria di Potosí, alle radici del capitalismo contemporaneo"; di Emiliano Di Marco.
fenomeni principali dei processi di accumulazione capitalista contemporanea, i quali richiedono per il loro mantenimento quantità di materie prime ed energia sempre maggiori, traducendosi in una maggiore pressione su beni naturali e territori.
L'importanza cruciale del modello estrattivista si basa nell'articolazione delle operazioni estrattive (che vengono effettuate da altre operazioni del capitale) che implicano forme eterogenee di lavoro e di sfruttamento delle sue molteplici “esternalità”, dislocate su una scala globale.
Questo processo tenderebbe a fondarsi sempre più sulle capacità dinamiche delle
imprese di accumulare “saperi”, ottenendo gran parte del potere dal comando spaziale e dall'utilizzo di differenziali geografici e legali, sia per le operazioni di carattere estrattivo sui dati, sull'ambiente, sul lavoro vivo e sul lavoro esternalizzato (spesso caratterizzato da forme di sfruttamento semi-schiavistico e fuori dalle tutele legali), sia per sfruttare le differenze del costo della manodopera, superando le barriere spaziali (geografiche e virtuali), che vengono annientate attraverso la compressione spazio-temporale, ovvero l'accelerazione della velocità di trasporto delle informazioni e delle merci dai luoghi di produzione e assemblaggio ai nodi di distribuzione e circolazione logistica.
L'estrattivismo, considerato come modo di produzione, coesiste storicamente (e
contemporaneamente) con altri modi di produzione, nonostante il "dispiegamento del modello culturale-razionale della modernità".
Ciò che emerge nel progetto coloniale in America latina è infatti l'immagine allo specchio di un'ammissione di identità dell'Occidente, cioè della sua relazione con altre esperienze culturali e della differenza con altre culture, che si è basata sulla naturalizzazione di una struttura dove le differenze erano ammesse solo come disuguaglianze, in senso gerarchico.
Questo modello eurocentrico è stato attuato con:
1) la repressione sistematica di altre forme di espressione, conoscenza e significato dei dominati;
2) l'imposizione selettiva di modelli di produzione di conoscenza e significati;
come mezzo di accesso regolamentato ad alcune sfere del potere dei dominatori.
Questo modello è stato ed è tuttora, in
parte, l'immagine allo specchio del capitalismo.
In quanto modo di sfruttamento della forza lavoro, l'estrattivismo non rappresenterebbe una novità storica se non lo si osservasse come fenomeno collegato alla dinamica del capitalismo, alla luce cioè del sistema storico in cui il capitale ha iniziato ad essere operato con l'obiettivo primario della sua autoespansione.
Questo perché, ad essere una novità non è stato tanto l'utilizzo di un modo di produzione e di accumulazione estrattivo,
che nel caso del lavoro degli schiavi è antico quanto l'umanità.
Ciò che ne costituisce la forma peculiare assunta nella modernità è che, a partire da un determinato momento storico (collocato idealmente intorno al XVI secolo europeo), questo fenomeno è andato ad aggiungersi alla costruzione delle catene del valore delle merci, le quali venivano trasportate per nave attraverso lunghi viaggi oceanici ed immesse nei mercati europei che si andavano sempre più strutturando nella forma di mercati capitalistici.
Una volta realizzate simili catene del valore, legando tra loro molteplici processi di produzione, il tasso di accumulazione iniziò a diventare una funzione dell’ampiezza del margine di profitto che poteva essere ottenuto, in una situazione in cui questo margine poteva fluttuare considerevolmente.
Osservata anche sotto questo profilo, si può quindi comprendere bene perché l'economia capitalista sia stata governata fin dall'inizio dall'intento di massimizzare l'accumulazione, senza che ciò comportasse necessariamente un modello universalista e razionale che sussumesse le soggettività di tutti gli attori coinvolti nel modo di produzione capitalista.
La proletarizzazione della forza lavoro, di conseguenza, è stata realizzata solo in alcune aree e non in altre, e lo stesso processo di proletarizzazione ha avuto tempi diversi a seconda dei contesti, differenziandosi nelle periferie del sistema economico mondiale a seconda della natura e della struttura geografica dei flussi economici e della concentrazione di capitali, per effetto dello scambio tra centro e periferie.
Questo modello, che nel XVI secolo ha iniziato a basarsi sull'accumulazione dei
capitali, ha assunto forme inedite di razzializzazione e gerarchizzazione nelle colonie del Nuovo Mondo, a partire da una sua origine peculiare in Spagna, dove durante la Reconquista iniziarono a prendere corpo le idee speculari di razza e di etnia.
Non si può non osservare che nel processo secolare che portò alle conversioni forzate ed alla cacciata dei mori e degli ebrei dalla penisola iberica, vennero creati e messi in atto dei dispositivi (con l'emanazione di statuti e documenti legali) che crearono il principio della limpieza de sangre su una base di massa.
La radice del razzismo moderno non può non essere intravista in queste prime norme attuate nella Spagna dei re cattolici e dal famigerato istituto della Inquisición.
In questo turbolento movimento storico, sin dalla bolla papale del 3 maggio 1493, le appena scoperte “Isole del Mare Oceano” a ovest dell'Oceano Atlantico vennero concesse da Papa Alessandro VI ai sovrani di Spagna, con l'obbligo di evangelizzarne gli abitanti.
L'America venne costituita come il primo modello di potere spazio-temporale a vocazione mondiale e come un'identità della modernità, attraverso due processi storici convergenti:
1) da un lato, definendo delle differenze tra conquistatori e conquistati, che vennero codificate nell'idea di razza, vale a dire in una struttura sociale che poneva alcuni in una situazione naturale di inferiorità rispetto ad altri;
2) dall'altro, articolando tutte le forme storiche di controllo del lavoro, delle sue risorse e dei suoi prodotti, in funzione dell'accumulazione del capitale e per indirizzare le merci nel mercato mondiale.
Questo concetto di razza non si basava su un principio biologico, ma era razziale e razzializzante perché classificava gli esseri umani su una scala discendente, ponendo come referente e criterio di classificazione gli ideali cristiani occidentali.
Nei viceregni spagnoli (e portoghesi) in America iniziò così a delinearsi un nuovo
sistema di sfruttamento sociale, la cui novità stava nel fatto che schiavitù, reciprocità, servitù, tassazione, produzione semplice di merci e capitale coesistevano non più solo simultaneamente, cioè nello stesso spazio temporale, come retaggio e sedimento di fenomeni storici precedenti, ma vennero volutamente e scientemente stabiliti e combinati in un modo di produzione capitalistico.
Questo sistema ha costituito una vera novità storica; a partire dal XVI secolo ha associato tra loro forme diverse di lavoro per produrre beni da destinare al nascente mercato mondiale, situato prevalentemente nelle grandi città europee.
Questa forma eterogenea di sfruttamento, che non aveva precedenti storici, introdusse in modo associato la monetizzazione della forza lavoro nelle colonie, consentendo il traffico di nuove merci da e verso l'Europa e, oltre al lavoro salariato dei primi coloni, introdusse nei territori gli schiavi (importandoli dall'Africa) e la servitù, mettendo al lavoro forzato gli indigeni “liberi” per pagare tributi e produrre merci.
Il capitalismo, di conseguenza, nasceva nel Nuovo Mondo in quanto elemento
egemonico del nuovo mercato mondiale ma nella forma di una “colonialità del potere” che si instaurava sugli assoggettati e sugli schiavi, costituendosi a partire da questa peculiare e violenta forma gerarchizzante e razzializzante che ha poi assunto un carattere strutturante e globalizzante nei secoli successivi.
La logica della razzializzazione sistemica, che emerge come tratto caratterizzante del dominio coloniale nel Nuovo Mondo, può essere compresa ulteriormente se la si riconduce all'interno delle tendenze contraddittorie di un sistema capitalistico in espansione, il quale richiedeva tutta la forza lavoro disponibile, ma necessitava allo stesso tempo di massimizzare l’accumulazione del capitale minimizzando i costi di produzione (e quindi i costi della forza lavoro) e i costi del disordine politico (e dunque minimizzare la conflittualità della forza lavoro).
Da questo punto di vista, il razzismo prese la forma dell'etnicizzazione della forza-lavoro, andando a creare nei secoli una gerarchia occupazionale, e delle
remunerazioni, tendenzialmente correlata ad alcuni criteri "sociali".
Il razzismo ha poi ricreato costantemente comunità socializzate ai ruoli gerarchizzati e razzializzati, creando la base “meritocratica” per giustificare le disuguaglianze, e fornendo la dottrina che permette al capitalismo di funzionare come sistema: remunerare molto meno un importante segmento della forza-lavoro.
Questi dispositivi si vedono all'opera nella prima fase della colonizzazione delle Americhe, quando i popoli conquistati vennero considerati vassalli della monarchia spagnola ed organizzati al lavoro secondo il sistema medioevale dell'encomienda, istituita in Spagna con la Reconquista e applicata anche nella colonizzazione delle Americhe.
Encomiendas
Con questo sistema, confermato dalle Leyes de Burgos del 1512, sulla base delle quali si stabilì il principio discriminante dell'evangelizzazione, la Corona spagnola concedeva un'encomienda, cioè un diritto ad un padrone spagnolo di esercitare un potere su un numero variabile di indios.
Le encomiendas si sono poi “evolute” in Perù nella forma di una schiavitù “comunitaria” derivata dai colonizzatori per estrazione epistemica dalla pratica tradizionale della mita.
Dove rimase però l'encomienda, nel corso del XVI secolo, questo sistema divenne un mezzo per costituire veri e propri monopoli, mantenuti in modo perpetuo dal titolare (l'encomendero e i suoi discendenti), per organizzare il lavoro di un villaggio o di gruppi di villaggi di indios.
La vicenda delle encomiendas fornisce un esempio evidente di come, nella
costruzione del sistema storico che includeva il modello coloniale attuato in America, sono stati consapevolmente messi all'opera differenti modi di organizzare il lavoro:
1) la schiavitù;
2) un modello simile al feudalesimo;
3) il lavoro salariato;
4) quello in proprio.
Questi modi di produzione coesistettero a lungo nel sistema-mondo storico capitalista, a seconda della modalità di controllo più adatta a particolari tipi di produzione, e concentrati in zone diverse dell'economia mondo: schiavitù e feudalesimo nelle periferie;
lavoro salariato e in proprio al centro.
Poiché le modalità di controllo del lavoro influenzano il sistema politico e la forza dell'apparato statale, si sono così avuti differenti modelli di organizzazione statale e coloniale che coesistevano tra loro nell'economia mondo, i quali assicuravano quella gerarchizzazione e divisione del lavoro necessaria all'esistenza stessa del sistema capitalista.
Ciò ha avuto origine dal fatto che le forze del primo capitalismo, al “centro” del sistema economico, avevano spinto ad un'espansione verso l'esterno fino al punto in cui le perdite non diventavano maggiori dei guadagni, a seconda delle tecnologie esistenti all'epoca per la guerra ed il trasporto via mare e nonostante il fatto che, nel primo secolo della colonizzazione, poco di quello che si poteva produrre nelle Americhe, a parte l'oro e l'argento, era commerciabile nelle piazze europee.
La distinzione che iniziò a prendere forma a partire dal 1500 iniziò così ad indicare il delinearsi di una periferia dell'economia mondiale, in cui venivano prodotti beni di rango inferiore (cioè beni il cui lavoro era meno remunerato), che tuttavia era parte integrante del sistema complessivo della divisione del lavoro.
Questo modello di colonizzazione e di commercio con l'America non ha avuto eguali in altre parti del mondo.
La differenza sostanziale tra il commercio che gli europei avevano instaurato con l'Asia e quello con le colonie in America, consisteva nel fatto che il mentre primo era un commercio di importazione basato sullo scambio; il secondo era basato invece sull'estrazione di risorse per mezzo del lavoro degli schiavi, laddove la potenza di fuoco era sufficiente per consentire a piccole forze di mercenari e avventurieri di effettuare operazioni di estrazione controllando in un dominio completo la forza lavoro.
La dimensione storico-strutturale dell'estrattivismo, caratterizzata (ancora oggi) dall'esportazione di materie prime e dalla subordinazione all'economia mondiale (così come si è andata configurando in America Latina), non può dunque che essere legata alla conquista, al genocidio e al colonialismo europeo.
Commenti
Posta un commento