tratto da "Cheap Food. Introduzione all'evoluzione dei regimi agroalimentari nel sistema-mondo"; di A. Barbero.
La scalata al potere economico e finanziario, con la nascita di società e mercati globalizzati, rappresenta una delle tappe evolutive che hanno interessato congiuntamente tanto il capitalismo, quanto il sistema agroalimentare (mondiale e locale).
La produzione intensiva per le masse di tutto il mondo si è sedimentata nel pensiero comune e rappresenta un importante punto di forza dell'attuale sistema.
L'industrializzazione dell'agricoltura e altre attività volte alla massimizzazione della resa e dei profitti, se da un lato si mostrano al pensiero dominante come necessarie e benevole per le attività umane, dall'altro nascondono la nocività ambientale.
La percezione della pericolosità è, a livello sociale, tuttavia minima: l'attenzione per le tipologie di produzione, come l'uso di sostanze tossiche (tanto per l'ambiente quanto per l'uomo e per gli animali che ne vengono a contatto) costituisce molto raramente un criterio di scelta.
In questo scenario, si può comprendere pienamente il ruolo attivo giocato dal settore della grande distribuzione, di cui i supermercati e le relative derivazioni rappresentano il simbolo principale.
Il dominio attuale dei supermercati all'interno della distribuzione alimentare costituisce un asse portante delle politiche neoliberiste di fine novecento nonché della difficile situazione, in termini di salute e accesso al cibo, del giorno d'oggi.
Tale situazione, come dimostrato, è in stretta relazione con la nascita di nuovi supermercati nelle periferie mondiali, con la riduzione dei raccolti (determinati dalle modalità di coltivazione intensiva e di utilizzo di sostanze tossiche che garantiscono un'alta resa nell'immediato ma un elevato esaurimento di risorse nutritive nel lungo periodo), con l'aumento dei prezzi alimentari nei mercati mondiali (fortemente influenzati dall'andamento finanziario), con l'insorgenza di nuove malattie e conflitti armati.
Le dinamiche di conflitto sono dunque, in parte, legate all'accessibilità alimentare, sempre più influenzata da mercati globali, multinazionali e catene di distribuzione.
Il capitalismo e la sua (relativa) diffusione mondiale
A partire dallo sviluppo di Genova e Venezia e dei traffici finanziari e di commercio di materie prime, l'espansione del capitalismo (osservata attraverso le analisi, tra i vari autori, di Jason Moore e Fernand Braudel) si afferma insieme all'emergere di una nuova relazione uomo-natura, di matrice utilitarista e monetaria, che determina continue espansioni territoriali alla ricerca delle Four Cheaps, (lavoro, cibo, energia e materie prime a "buon mercato") i quattro elementi imprescindibili per lo sviluppo della struttura capitalista.
In altri termini, la separazione dell'uomo dalla dimensione naturale (attraverso il dualismo cartesiano) ha permesso di vedere la natura come un "magazzino di risorse primarie", come quelle energetiche o minerarie, prelevabili a costi decisamente bassi.
Attraverso l'appropriazione di questi quattro elementi, realtà come Genova, Venezia e le Province Unite hanno influenzato le sorti e gli equilibri geopolitici dell'Europa post-medievale.
Dal XVI secolo, l'importanza di tali fattori si dimostra, ad esempio, attraverso la dipendenza della Spagna imperiale dai commercianti di legname provenienti dal Baltico olandese, o dalla continua espansione verso nuove frontiere delle coltivazioni di zucchero, caffè, cacao e tabacco.
La nascita di apparati snelli come le Repubbliche marinare (città-stato) o delle Province Unite, rappresenta la fase iniziale del capitalismo, successivamente evolutosi con l'emergere degli stati più potenti e degli imperi, soprattutto quello britannico (la cosiddetta "officina del mondo").
Lo sviluppo di uno stabile apparato coloniale fu una delle armi dell'impero britannico per il mantenimento dello status quo mondiale.
Le piantagioni, la manodopera e le risorse minerarie ed energetiche delle colonie erano infatti strumenti economici fondamentali, al pari delle flotte navali per le campagne militari.
Attraverso la costante espansione, necessaria per la ricerca e il prelievo di risorse primarie, anche altri soggetti dello scacchiere geopolitico crebbero d'importanza.
Le due guerre mondiali restituirono un nuovo paese egemone all'interno dei rapporti geopolitici; la Gran Bretagna, in seguito alla Grande Depressione e ai danni delle guerre mondiali, fu costretta a cedere il ruolo di garante della stabilità mondiale agli Stati Uniti che, attraverso programmi di aiuti, piani di sviluppo, prestiti ed investimenti furono in grado di ricreare un sistema vagamente imperialista, almeno finché la guerra fredda e la competizione tecnica non si conclusero (con il declino dell'Unione Sovietica).
La globalizzazione, la crescita delle multinazionali (in seguito alle politiche neoliberiste degli anni '80) e del potere cinese costituiscono il quadro attuale,
in cui il prelievo eccessivo di risorse sembra essere prossimo ai limiti strutturali.
Uno sguardo alla produzione agroalimentare
Se è vero che il sistema capitalista si regge sui quattro pilastri sopra descritti, allora anche la sua evoluzione costituisce una relativa evoluzione degli elementi portanti.
Con l'egemonia britannica, produzione e consumi iniziarono un lento ma inesorabile processo di omogeneizzazione, in grado di contrarre i costi produttivi e massimizzare i profitti.
1) Il primo regime alimentare, appunto quello britannico, era basato sulla produzione nelle colonie e sullo sviluppo del sistema di trasporti, sulla schiavitù della manodopera coloniale e sulla proletarizzazione di quella urbana.
Carni e granaglie, all'interno del regime britannico, venivano concentrati nelle colonie, provocando una serie di effetti ambientali a catena.
2) Il successivo regime alimentare è quello statunitense, successivo alla seconda guerra mondiale e precedente alla deregulation neoliberista degli anni '80.
Durante questo periodo (circa un ventennio), si assiste all'industrializzazione (nonché alla nascita del termine e della questione) del Terzo Mondo, attraverso i piani di sviluppo, gli investimenti e i fondi stanziati dagli Usa; ma alle spalle delle strategie propagandiste si nasconde la volontà di riorganizzare una forma di impero non convenzionale, in seguito ai programmi di decolonizzazione.
Tale regime si caratterizza inoltre per lo sviluppo delle biotecnologie e dell'industria chimica, applicata all'agricoltura, specialmente in territori periferici come India e Messico.
La Rivoluzione Verde rappresenta proprio il tentativo di introdurre organismi geneticamente modificati all'interno del settore agroalimentare.
3) Il terzo regime alimentare, ovvero quello attuale, denominato dai teorici Corporate food regime, è caratterizzato dalla profonda industrializzazione dell'agricoltura e dell'allevamento, dall'ingombrante presenza di OGM e biotecnologie, dall'impoverimento del Sud del Mondo, destinato alla produzione agroalimentare per le grandi multinazionali attive in tutti i principali mercati mondiali, dalla rapida ascesa dei supermercati che, nell'arco di circa trent'anni, sono divenuti globalmente la principale forma di acquisto dei prodotti alimentari.
In questo contesto sono paradigmatici gli esempi della produzione di quinoa e altri legumi come la soia, insieme ad un nuovo legame che vincola ulteriormente il settore agricolo all'accumulazione di capitale, (come si è visto in relazione all'aumento mondiale dei prezzi durante il biennio 2007-2008): i biocombustibili e la febbricitante rincorsa nel nascente mercato all'accaparramento di vasti territori, a discapito dei terreni destinati alla produzione di cibo.
La destinazione di risorse verso nuovi
settori e mercati espone così la collettività a una potenziale diminuzione dell'accessibilità alimentare nonché a potenziali guerre per il cibo.
Lo sviluppo della grande distribuzione ha dato vita a numerose declinazioni del
supermarket: ipermercati, discount, supermercati, punti vendita di prossimità e outlet sono infatti comparsi in tutto il mondo, anche nei territori periferici, tradizionalmente legati a produzioni ed alimenti locali e con valori storico-culturali altamente significativi.
L'ascesa delle multinazionali nel settore alimentare viene esemplificata dal fast-food e dalle sue sconseguenze negative per allevatori, bestiame, salute e ambiente circostante.
La frenetica vita quotidiana viene molto spesso scandita dalla frequentazione dei fast-food, dove viene servito velocemente del cibo consumabile altrettanto in fretta, a prezzi economici e dal gusto ipnotico.
Il sapore di questi alimenti tuttavia è il risultato del forte apporto di sali e zuccheri, corresponsabili di numerose malattie cardiovascolari, intestinali e psicofisiche.
La qualità dei cibi proposti è mediamente molto bassa, essendo un parametro troppo costoso per i produttori e per il tipo di pasto proposto.
Lo sviluppo e aumento delle diete basate su un ampio, e in alcuni casi eccessivo, apporto di proteine animali, espone l'ambiente a ulteriori produzioni inquinanti ad alto impatto (allevamenti ed acquacoltura intensivi).
Accanto a tali pratiche alimentari, la cultura e le pratiche quotidiane sono interessate da un alto livello di spreco (che fa da contraltare all'elevato numero di indigenti in tutto il mondo).
Lo spreco rappresenta una piaga culturale sedimentata nel tessuto sociale e legata allo status sociale, al pensiero dominante e al livello di benessere percepito.
Lo spreco alimentare si manifesta infatti nei paesi sviluppati o nelle più alte fasce sociali dei paesi in via di sviluppo.
Lo spreco sembra operare anche come mezzo di distinzione all'interno della sfera sociale, tuttavia esso è qualcosa di più: rappresenta infatti l'estrema mercificazione del cibo (risorsa indispensabile per la vita).
I processi legati al passaggio verso nuovi sistemi
I supermercati sono dunque divenuti il principale metodo d'acquisto, costituendo il regime dominante nelle modalità di acquisto e accesso al cibo.
Nel tentativo di contrastare un modello unicamente finalizzato alla massimizzazione dei profitti sono emersi i Gruppi d'Acquisto Sostenibili.
Queste esperienze dimostrano che l'innovazione e lo sviluppo passano attraverso realtà dalle dimensioni più che contenute e da una decisiva evoluzione socio-culturale.
Cambiamento culturale che si osserva, in particolare, nella nascita di iniziative volte alla riduzione degli sprechi alimentari.
Il paragone fra i due modelli restituisce uno spunto di analisi e di riflessione circa
l'efficienza sistemica dell'attuale panorama, governato da un impianto finanziario e capitalista indiscusso protagonista dell'incessante degrado ambientale; degrado osservabile nella perdita di biodiversità, nell'esaurimento di interi ecosistemi, nella perdita di fertilità dei suoli e nell'aumento di sostanze chimiche dannose per la salute e per l'ambiente.
Si dimostra, oggi in modo sempre più evidente, lo stretto legame esistente tra cibo e capitale, nonché tra capitale e ambiente.
Questa evidenza non fa che esplicitare un concetto apparentemente scontato, ma proprio per questo molto spesso lasciato ai margini della riflessione: la naturale dipendenza di qualsiasi attività umana dal pianeta, che in quanto sistema finito è caratterizzato da limiti invalicabili.
Il veloce raggiungimento di tali limiti fa da contrasto a quelle innovazioni socio-tecniche interessate alla salvaguardia dell'ecosistema e ad un rinnovamento culturale in una direzione che specificatamente si riferisca alla creazione di filiere corte di prodotti coltivati biologicamente nonché alla limitazione degli sprechi alimentari.
Una parte dell'innovazione che queste nicchie esprimono, rappresenta modelli culturali differenti, attenti all'ambiente così come alla qualità del prodotto: modelli che costituiscono forme di pensiero, di economia e di lavoro alternative rispetto ai canoni dominanti.
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