I popoli indigeni, che da almeno 10 millenni abitano i territori dell'odierno Brasile, nel XXI secolo non hanno ancora il diritto di possederne una parte.
tratto da "Diseredati. Indiani del Brasile"; di Survival International.
“Oggi i bianchi proclamano ad alta voce: Siamo stati noi a scoprire la terra del Brasile.
Ma i nostri antenati conoscono questa terra da sempre.
Noi abbiamo i libri e perciò siamo importanti, dicono i bianchi.
Ma sono solo bugie.
L’unica cosa che i bianchi hanno fatto è stato rubare la terra ai popoli della foresta e distruggerli.
Io sono figlio di un vecchio Yanomami e vivo nella foresta dove viveva il mio popolo quando sono nato, ma non vado in giro a dire ai bianchi di averla scoperta io!
Io non dico di aver scoperto questa terra solo perché il mio sguardo si è posato su di essa e non pretendo per questo di esserne il proprietario.
É sempre stata qui, ancor prima di me.
Io non dico: Ho scoperto il cielo e non grido nemmeno Ho scoperto i pesci e gli animali, perché sono sempre stati qui fin dall’inizio dei tempi”.
Davi Yanomami, 1999
“Le nostre terre sono invase, le foreste distrutte, gli animali sterminati e i nostri cuori lacerati dall’arma micidiale che si è rivelata essere la civilizzazione.
Per i bianchi e per i cosiddetti uomini civilizzati, volerci restare non è altro che puro romanticismo.
Non per noi; per noi è la nostra vita”.
Donna Kaingang, 1975
“Quando si parla della scomparsa dei sei
milioni di persone nei campi di concentramento, si conoscono i nomi e la data di morte di gran parte di loro.
Noi popoli indigeni ci ricordiamo di circa 6 milioni di fratelli e sorelle che sono stati sterminati, ma nella maggior parte dei casi non esiste nessuna informazione riguardo questi massacri.
Si è trattato di uno sterminio silenzioso e ininterrotto, che continua tuttora”.
Nailton Pataxó, 2000.
Nel 1500 in Brasile vivevano oltre 1000 popoli diversi: oggi ne sopravvivono 215.
Quando i primi europei arrivarono in Brasile, 500 anni fa, nel paese vivevano
presumibilmente 5 milioni di Indiani.
Oggi ne sopravvivono solo 350.000.
Cinque secoli di massacri, sfruttamento,
torture e malattie hanno annientato gran
parte della popolazione indigena, e di centinaia di tribù non si conserva più
nessuna traccia.
Che vi sia stato un genocidio è un fatto indiscutibile.
I Nazisti hanno sterminato più della metà
degli Ebrei europei.
In Brasile, invece, il numero degli Indiani è diminuito del 93% quasi esclusivamente per mano dei coloni europei e dei loro discendenti, che hanno ucciso milioni di persone o le hanno messe in condizioni tali da provocarne inevitabilmente la morte.
Nonostante ciò, gli Indiani del Brasile contano oggi una gran varietà di popoli che vivono nelle foreste pluviali tropicali, nelle praterie, nelle savane e anche nei deserti.
Alcuni sono indistinguibili dalla moltitudine dei brasiliani poveri.
Molti altri, invece, conservano la loro identità distinta, anche se, in qualche caso, vivono da secoli a stretto contatto con i coloni.
Altri, invece, non hanno alcun contatto con l’esterno: il Brasile è probabilmente il paese che ospita il maggior numero di tribù isolate al mondo.
Differenziazioni come queste sono comuni in tutto il Sud America, tuttavia esistono 4 fattori che rendono la situazione brasiliana unica:
1) in Brasile vivono molte tribù che non hanno mai avuto contatti con l’esterno o quasi, e che perciò sono estremamente
vulnerabili;
2) secondo la legge brasiliana gli Indiani sono minorenni e a nessuna tribù è riconosciuto il diritto di proprietà della terra, sebbene tale diritto sia sancito dalle leggi internazionali;
3) il governo dispone di un ufficio agli
affari indiani e di ingenti fondi per progetti a favore dei popoli indigeni;
4) malgrado ciò e con poche eccezioni, le
autorità non proteggono assolutamente gli
Indiani e alcuni di loro devono affrontare
oggi il loro sesto secolo di genocidio.
Il Brasile è l’unico stato del Sud America a disporre di un grande dipartimento governativo agli affari indiani, il FUNAI (Fondazione Nazionale Indiana).
Il FUNAI venne istituito agli inizi del secolo scorso con il compito specifico di proteggere e assistere gli Indiani.
Tuttavia, non ha saputo impedire la scomparsa di intere tribù, al punto che durante il XX secolo, gli Indiani si sono estinti al ritmo medio di un popolo ogni due anni; in alcuni momenti, il FUNAI ha contribuito direttamente al genocidio.
I governi succedutisi non sono riusciti a porre fine a questa sconvolgente tragedia.
Potenti lobby minacciano da sempre chi ha a cuore la causa degli Indiani, sia al governo sia presso il FUNAI.
Molti politici ricevono denaro e voti dalle compagnie minerarie o del legname, mentre altri incrementano i loro conti privati stornando denaro dai fondi internazionali destinati allo “sviluppo”.
Le forze armate continuano a inventare false minacce straniere per giustificare la presenza dei militari nelle aree di confine, dove vivono gli Indiani, rafforzando così il controllo su di loro.
Tutti costoro considerano i popoli tribali un intralcio ai loro piani e alle loro ambizioni.
Spesso sono i loro interessi ad avere la meglio, vanificando e disarmando tutte le leggi e i decreti pro indigeni.
Non si fa nemmeno in tempo a tracciare sulla mappa i confini di una riserva indiana che una potente lobby tenta di ridurli o cancellarli.
Nell’ultimo mezzo secolo, in Brasile sono confluiti miliardi di dollari da parte di agenzie internazionali come la Banca Mondiale e, di conseguenza, da parte dei contribuenti nordamericani ed europei.
La pressione esercitata dai sostenitori degli Indiani è riuscita ad assicurare che una parte di questo denaro (piccola ma pur sempre dell’ordine di milioni di dollari) venisse destinata dal governo alla protezione delle terre indiane.
Il governo brasiliano aveva promesso la
demarcazione di tutti i territori indigeni entro il 1993.
Un terzo dei territori non è ancora stato demarcato, mentre dove ciò è stato fatto, la terra non è protetta in modo adeguato, e chi la invade illegalmente, spesso con la violenza, rimane di solito impunito.
Se la demarcazione sarà completata e fatta rispettare, rappresenterà un passo importante per i popoli indigeni ma non sarà ancora una garanzia totale di sicurezza.
Le tribù indigene resteranno vulnerabili finché il Brasile rifiuterà di rispettare la legge internazionale, ratificata formalmente dal Brasile nel 1965 e poi subito dimenticata.
Il fatto che nel XXI secolo si pensi che i popoli che abitano il Brasile da almeno 10.000 anni non abbiano il diritto di possederne una parte, è una tragica parodia di ciò che prescrive perfino la legge naturale.
Tra il 1986 e il 1993, 40.000 cercatori d’oro
hanno invaso la terra degli Yanomami portando con sé malattie verso cui gli Indiani non hanno difese immunitarie.
Morì il 20% della popolazione.
Confrontando questa situazione con quella del vicino Perù, che non si distingue certo per i suoi atteggiamenti favorevoli agli Indiani, risulta ancora più chiaro che il Brasile ha fortissimi motivi per vergognarsi.
In Perù, un paese estremamente più povero del Brasile, non sono giunti contributi internazionali consistenti per finanziare programmi a favore degli indigeni, ma rispetto al Brasile vi abitano molti più Indiani amazzonici.
Ciò nonostante, dal 1974, moltissime comunità indigene dell’Amazzonia peruviana hanno ottenuto reali titoli di proprietà sul territorio, che conferiscono loro diritti comunitari perpetui.
In Brasile, al contrario, il massimo a cui gli Indiani possono aspirare sono le riserve, chiamate “aree indigene” (che gli Indiani possono solo usare ma non diventarne proprietari).
Negli anni successivi all’entrata in vigore della legge del 1974, due comunità indiane peruviane a settimana hanno ricevuto il titolo di proprietà terriera.
Forse gli eccessi peggiori della storia brasiliana sono finiti: l’avvelenamento deliberato e premeditato degli abitanti di interi villaggi, il bombardamento aereo e la distruzione delle case da parte dei costruttori di strade appartengono al passato.
È vero anche che i sociologi non consigliano più il governo brasiliano di sradicare gli Indiani, come fecero gli antropologi fino agli anni ‘30.
Negli ultimi trent’anni si è sviluppato, inoltre, un piccolo ma vigoroso movimento di sostenitori degli Indiani che si è diffuso
anche ai livelli più alti dello Stato e della
Chiesa.
E, cosa più importante, è sorto un movimento composto dagli Indiani stessi; sebbene sia allo stato embrionale, ha favorito la nascita di molte organizzazioni che si battono per i propri diritti.
Rimane il fatto che gli Indiani vengono
ancora uccisi e che nessuno viene condannato; che a causa della mancanza
di terra e di futuro i bambini si suicidano
anche a 10 anni, e che un gran numero
di indigeni soccombe per malattie “importate”: in soli sette anni, un’ondata
di malaria diffusa dai minatori ha ucciso
più del 20% degli Yanomami.
La foresta amazzonica continua ad essere
abbattuta e bruciata su vastissima scala.
Le tribù contattate negli ultimi anni
e quelle che sono appena state contattate,
rischiano ancora di essere sterminate.
Quando riescono a sopravvivere, devono
sopportare decimazioni e sofferenze proprio come nel passato.
L’unica vera soluzione a lungo termine è che il governo rispetti la legge internazionale e riconosca finalmente la proprietà terriera indigena.
Il rifiuto a ottemperare il proprio dovere è la chiara prova del più estremo razzismo istituzionalizzato; una convinzione tanto radicata in Brasile che perfino i sostenitori degli Indiani temono, sollevando la questione della terra, di scatenare forti sentimenti anti-Indiani nei corridoi del potere.
Questi popoli affrontano un genocidio, forse non intenzionale come prima, ma pur sempre un genocidio, come cinque secoli fa.
Questo crimine atroce non può essere considerato solo come un problema “interno” al Brasile: è un crimine contro l’umanità, cioè contro tutti noi, e quindi un problema e una responsabilità di ciascuno di noi.
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