Connessioni storiche tra Colonialismo, Commercio Mondiale e Capitalismo.

di socialclimatejustice.blogspot.com

Il colonialismo, il commercio mondiale e il capitalismo sono processi storici interconnessi che hanno modellato le società e l'economia globali.
Attraverso l'analisi di alcuni autori e testi, i quali offrono prospettive diverse ma complementari su questa complessa rete di relazioni, è possibile esaminare come questi elementi si siano influenzati reciprocamente per contribuire alla creazione di strutture di potere che persistono fino ad oggi.
Nel suo libro "La maledizione della noce 
moscata", lo scrittore Amitav Ghosh esplora la storia del commercio della noce moscata e il ruolo cruciale che esso ha svolto nello sviluppo delle rotte commerciali globali.
Ghosh evidenzia come la ricerca di spezie esotiche abbia alimentato l'espansione coloniale delle potenze europee.
Questo commercio ha contribuito alla prosperità delle nazioni colonialiste ed ha comportato la sottomissione e l'espropriazione delle popolazioni indigene.
L'interesse per la noce moscata e altre spezie ha stimolato la competizione tra le potenze coloniali, permettendo a commercianti e mercanti europei di stabilire rotte commerciali che operavano a scapito delle economie locali.
Ghosh mette in luce come l'economia coloniale fosse intrinsecamente legata a pratiche che generavano ricchezza per pochi mentre destrutturavano le società locali e distruggevano interi ecosistemi.
Similmente, nel suo "Storia dello zucchero", l'antropologo Sidney Mintz evidenzia come il commercio dello zucchero abbia plasmato il mondo moderno e sia stato essenziale per il funzionamento del capitalismo.
Lo zucchero, inizialmente considerato un lusso, divenne un bene di consumo di massa nel XVIII secolo, alimentando la domanda e il commercio transatlantico.
Le piantagioni di canna da zucchero nei Caraibi, basate sul lavoro forzato degli schiavi, rappresentano un esempio emblematico dell'abominio del colonialismo.
Mintz descrive come il capitalismo moderno sia emerso da questa relazione tra colonialismo e commercio, con le potenze europee che hanno utilizzato l'industria della canna da zucchero per espandere i loro mercati e realizzare profitti.
La schiavitù, pertanto, non è solo un aspetto del colonialismo, ma una sua componente fondamentale, inseparabile dalla crescita del commercio mondiale.
Anche secondo lo storico Eric Williams, nel suo libro "Capitalismo e schiavitù", la schiavitù non è stata solo una conseguenza del colonialismo, ma piuttosto un elemento chiave nel processo di accumulazione del capitale.
La sua analisi storica della relazione tra la schiavitù e la crescita economica britannica suggerisce che la prosperità della Gran Bretagna durante il periodo coloniale fosse profondamente radicata nello sfruttamento dei corpi degli schiavi africani nelle Americhe.
Williams sostiene che la schiavitù abbia fornito non solo i beni di consumo necessari per il mercato europeo, ma anche il capitale investito nella Rivoluzione Industriale.
Questa relazione ha creato un ciclo di accumulazione in cui la domanda di beni coloniali ha alimentato il bisogno di manodopera schiavile, e viceversa.
Pertanto, il capitalismo occidentale si è sviluppato su basi che sono state, in larghissima parte, sostenute dal colonialismo e dalla tratta transatlantica degli schiavi.

Alfred Crosby, nel suo libro "Imperialismo ecologico", introduce una chiave di lettura innovativa sulle interconnessioni tra colonialismo e capitalismo, attraverso la lente dell'ecologia.
Lo storico dell'ambiente sostiene che l'impatto del colonialismo sugli ecosistemi sia stato potenziato dall'espansione delle pratiche capitalistiche.
Gli imperi coloniali non hanno solo sfruttato il lavoro di schiavi e colonizzati, ma hanno anche alterato gli ecosistemi locali per il proprio tornaconto economico.
Crosby analizza come l'introduzione di colture non native e di specie esotiche, insieme alla deforestazione, abbia trasformato gli ecosistemi locali in modi che hanno avuto effetti devastanti a lungo termine.
Questa "ecologia coloniale" dimostra come l'industrializzazione e il rapporto tra società e natura siano stati influenzati dalle pratiche commerciali e coloniali che hanno messo in moto cicli di sfruttamento delle risorse e della manodopera.
Il filosofo della Martinica Malcolm Ferdinand in "Un'ecologia decoloniale" approfondisce ulteriormente il concetto di ecologia coloniale presentando un approccio critico al problema della crisi attuale.
Ferdinand esamina come le strutture coloniali di potere continuino a manifestarsi nelle dinamiche economiche moderne, suggerendo che per affrontare la crisi ecologica sia necessario intraprendere un processo di decolonizzazione del pensiero, delle pratiche e delle politiche.
L'autore ritiene che la comprensione delle intersezioni tra razzismo, colonialismo e crisi ecologica permetta di sviluppare risposte più giuste ed eque.
La sua analisi sottolinea l'importanza di ascoltare le voci delle comunità indigene, non solo per integrare le loro conoscenze nel dibattito ecologico, ma per evidenziare la necessità di un cambiamento radicale rispetto al modo in cui pensiamo e agiamo riguardo all'ambiente.
L'analisi delle interconnessioni tra 
colonialismo, commercio mondiale e capitalismo dimostra l'urgenza di ripensare le nostre narrazioni storiche.
Ogni opera citata contribuisce a una comprensione più profonda di come questi fenomeni siano intrecciati non solo nel passato, ma anche nel presente.
La perdurante eredità del colonialismo si manifesta non solo attraverso la storia economica, ma anche nelle dinamiche ecologiche.
In un'epoca di crescente interdipendenza globale, è fondamentale affrontare queste questioni per promuovere un futuro più equo e giusto.

Bibliografia

- Ghosh, Amitav (2022) "La maledizione della noce moscata".
- Mintz, Sidney (1985) "Storia dello zucchero".
- Williams, Eric (1944) "Capitalismo e schiavitù".
- Crosby, Alfred W. (1986) "Imperialismo ecologico".
- Ferdinand, Malcom (2019) "Un'ecologia decoloniale".

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